mercoledì 28 marzo 2012

Curdi e terrorismo: anche l’Italia non rinuncia a gettare fango sul popolo curdo

E’ con preoccupazione e sconcerto che apprendiamo dell’operazione ordinata dalla procura di Venezia che ha portato a cinque ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti cittadini curdi di cittadinanza turca residenti in Italia con l’accusa di estorsione e di lesioni aggravate dalla finalità di terrorismo. 
Il comunicato presente sul sito della Questura di Venezia parla di un episodio di violenza contro un gestore di kebab nella provincia di Venezia, che si sarebbe rifiutato di pagare una “tassa rivoluzionaria” per finanziare la lotta curda in Turchia. 
Di nuovo spuntano parole e teoremi che puzzano di fango buttato su una vicenda, quella curda, che vede un popolo fronteggiare quotidianamente la negazione dei propri diritti e la repressione di ogni espressione pacifica e politica volta alla ricerca di una soluzione negoziata della questione: gente che scappa dalla propria terra e chiede e ottiene asilo politico in Italia e in Europa perché a rischio nel proprio paese, come abbiamo potuto osservare e testimoniare ancora una volta in occasione dell’ultimo Newroz (il capodanno curdo) la scorsa settimana, vietato dalle autorità e represso con idranti e lacrimogeni. 
Tutte le accuse si fonderebbero su intercettazioni telefoniche; il comunicato ufficiale non parla di rinvenimento di denaro né di armi, e lega l’operazione odierna a un’operazione effettuata nel 2010, quando sarebbe stata sgominata un’attività di “indottrinamento” di giovani destinati alla lotta armata, operazione che ha dato luogo finora – da quanto ci è dato sapere – al rinvenimento di libri, video e non certo di armi. Queste operazioni – pubblicizzate con enfasi dalle autorità e riportate in maniera acritica dai mezzi di comunicazione, sembrano campagne pubblicitarie per poter rinsaldare i legami economici fra Italia e Turchia: non accettiamo che a fare le spese di queste politiche siano i rifugiati politici curdi, e ribadiamo la nostra solidarietà con il popolo curdo.


Rete italiana di solidarietà con il popolo curdo

martedì 27 marzo 2012

Operazioni di polizia a Dersim e ondata di arresti in Italia

Ondata di arresti all’alba in numerose città del nord Italia contro presunti appartenenti all’organizzazione curda Pkk. L’inchiesta, partita da Venezia e coordinata dalla Direzione Centrale antiterrorismo, ha portato in carcere 5 persone con l’accusa di concorso in tentativo di estorsione e lesioni gravi commesse con l’aggravante della finalistà di terrorismo. Sono tutt’ora in corso numerose perquisizioni a Venezia, Roma, Modena, Padova, Udine e Pesaro mentre la Procura del capoluogo veneto dovrebbe fornire a breve maggiori dettagli, nel corso di una conferenza stampa.

L’indagine segue l’operazione della polizia di Terni dello scorso febbraio in cui 9 persone di origine curda finirono in manette e ha preso le mosse da un episodio di violenza di qualche mese fa: il pestaggio di un cittadino turco titolare di una rivendita di kebab della provincia di Venezia. Gli approfondimenti avrebbero consentito alla Digos di collegare la vicenda a un giro di estorsioni che sarebbero state effettuate da una presunta cellula operativa del Pkk, incaricata di riscuotere una sorta di “tassa rivoluzionaria” ai danni di curdi residenti in Italia settentrionale. Il commento di Antonio Olivieri del Comitato Italiano di Solidarietà al Popolo Curdo

fonte: Radio Onda d'Urto

Operation launched in Tunceli

sabato 24 marzo 2012

Leyla Zana: "E' tempo di prendere la parola"

Oggi è il nostro ultimo giorno in Kurdistan ; iniziamo la giornata con un giro per la città vecchia di Amed (Diyarbakir per i turchi): le vecchie mura, gli stretti vicoli pieni di bambini di strada, il centro culturale Dicle Firat, dove i giovani kurdi, rischiando quotidianamente, mantengono viva la loro millenaria cultura , incontriamo anche i Dengbaj , anziani cheeseguono i canti kurdi , per mantenerne la memoria.
Nel pomeriggio incontriamo l'Associazione di donne Selis, nata col sostegno della municipalità per dare sotegno psicologico e giuridico alle donne che subiscono violenza domestica e per fornire opportunità lavorative alle ex detenute politiche, attraverso laboratori sartoriali . Selis è composto da volontarie e la responsabile ci sottolinea come 30 di loro, su 65 ora siano in carcere in seguito all'operazione KCK.
Il pomeriggio ormai volge al termine, ma Luisa Morgantini ci propone di incontrare la donna simbolo della resistenza pacifica kurda: Leyla Zana. Ne siamo felicissimi. L'aspettiamo, come concordato, nel bazar, in una saletta privata. Quando Leyla entra, insieme alla figlia, ci sentiamo commossi. 
E' bella, Leyla, di quella bellezza che parte dal cuore, ci abbraccia ad una ad uno, poi si siede a parlare con noi. Grazie a Francesco, il nostro bravissimo interprete, le chiediamo cosa pensa della situazione attuale che i kurdi e le kurde stanno vivendo. In questi ultimi anni la politica di Erdogan ha avuto 3 tappe:
-apertura democratica solo di facciata
-controllo dell'esercito e della magistratura
-applicazione pratica di questa politica volta a raccogliere i consensi non solo all'interno del Paese, ma anche in Europa e Stati Uniti.
Erdogan si pone in tutta l'area mediorientale, come esempio di una politica "democratica" usando giornali, televisoni ecc come fece il suo amico Berlusconi, ci tiene a sottolineare Leyla.
La realtà è ben diversa, soprattutto in Kurdistan, dove sembrano tornati i tempi delle repressioni degli anni ' 80/'90 . Si sta annientando non solo tutto il BDP, ma l'intera società civile . Ma più è dura la repressione più il popolo si ribella. "Ora è tempo di lasciare le armi e di prendere la parola" dice con forza e determinazione " i Kurdi devono far sentire la loro voce non solo qui, ma in tutta Europa" è questo il messaggio di Leyla, che facciamo nostro.
Le ricordiamo il nostro incontro del 2008, quando le consegnammo la cittadinanza onoraria di Fidenza, se lo ricorda bene ed aggiunge, che , allora, era più ottimista riguardo alla soluzione democratica della questione kurda.
Una foto con ognuno di noi , un forte abbraccio poi lasciamo il bazar ancora increduli per questo bellissimo e toccante incontro inaspettato.

giovedì 22 marzo 2012

Il rientro a Diyarbakir

Dopo aver preso 3 pulmini e un traghetto, intorno a mezzogiorno torniamo ad Amed. Incontriamo subito l'associazione Ihd. Come ogni anno ci illustrano in maniera dettagliata qual'è la situazione dei diritti umani non solo in Kurdistan ma in tutta la Turchia. Il presidente della sezione di Diyarbakir è in carcere da ormai due anni. Il suo segretario, che da allora ne fa le veci, ci informa di come la situazione che si è creata durante il Newroz di quest'anno abbia riportato alla mente gli eventi degli anni '90, quando la repressione contro il popolo curdo ha raggiunto uno dei suoi apici. La tendenza del governo di Ankara ad usare la violenza contro il popolo curdo si rispecchia anche nell'aumento dei casi di violazione dei diritti umani: se nel 2010 la cifra era di circa 23mila casi, nel 2011 si sono quasi sfiorati i 30mila. Le violazioni più frequenti riguardano in particolare la violenza sui minori, la tortura in carcere e i limiti imposti alla libertà di espressione.

Nel primo pomeriggio incontriamo Abdullah Demirbaş, a capo della municipalità di Sur. Nonostante le sue condizioni di salute e i 415 anni di reclusione richiesti da Ankara contro di lui per la sua attività polıtıca a favore dei curdi, il suo umore è ancora alto. Le sue parole sono in sıntonia con quanto detto anche dal segretario dell'Ihd: la repressione attuata da Ankara durante l'ultimo Newroz mostra come l'Akp non abbia nessuna intenzione dı risolvere politicamente la questione curda, nonostante le parole pronunciate da Erdogan di fronte ai suoi colleghi europei. "La pace è una cosa talmente importante che non si puo' lasciare solo ai governi", conclude Demirbaş.

L'altra faccia del Newroz

Per coloro che ormai da anni seguono il Newroz, quello di Dersim non puo' che stupire. Oltre alle ımmancabili bandiere del Bdp, partito promotore della celebrazione, la piazza si rıempie di slogan e sımboli dei maggiori sindacati e partiti di sinistra. Un Newroz particolarmente politicizzato che mostra, ancora una volta, l'anima plurima di questa comunità millenaria. Il Newroz inizia con una marcia alla quale partecipano tutte le realtà politiche e sociali che confluiscono nella piazza dove si staglia la statua di Seit Trisal, uno dei protagonisti della resistenza al genocidio del '38.
Non mancano momenti di tensione. All'ingresso della piazza un gruppo di ragazzi ha infatti forzato il blocco della polizia. Le forze dell'ordine non hanno pero' reagito, e i giovani sono stati bloccati dal servizio di sicurezza interno al Newroz.

La festa si è svolta senza incidenti, e questo ci ha permesso anche di dedicare un pomeriggio alla visita della riserva nazionale, nella valle del Munsur. Questo luogo è la memoria storica di Dersim. Insieme ai suoi abitanti è stato protagonista del genocidio del '38, quando centinaia di persone vennero gettate vive dai dirupi, tanto da tingere di rosso il fıume che vi scorre.
Non possiamo che trattenere il fiato di fronte alla distesa bıanca che si staglıa davanti a noi: il paesaggio è ricoperto da almeno tre metri di neve, che per sciogliersi completamente dovrà attendere il sole di giugno. Questa valle rischia di essere sommersa per sempre a causa dell'ormai tristemente famoso progetto Gap.

Dopo essere rısaliti fino alla fonte del Munzur tornıamo in città, dove ci attende la sindaca. Come il popolo che rappresenta, anche lei ha alle spalle una storia dolorosa, fatta di parentı morti o scomparsi. Nonostante questo, ci illustra il modello di amministrazione che la città propone. Un grande spazio vıene dato alle donne e alla questione ecologica. Non meno ımportante è l'impegno per l'insegnamento della lingua madre, che viene attuato attraverso dei dopo scuola che hanno lo scopo di sostenere l'apprendimento della lingua zazà.

martedì 20 marzo 2012

Dersim, dove i curdi sono due volte discriminati

Iniziamo la nostra giornata di incontri istituzionali venendo svegliati dal rumore degli elicotteri militari che controllano le montagne.

Iniziamo con il sındaco di Mazgrit. Avevamo già preso i contatti con lui per un progetto riguardante la scuola primaria della cittadina. Come prima cosa ci illustra i problemi con cui i bambini e gli ınsegnati si scontrano quotidianamente. Se da un lato ritorna la questione dell'insegnamento in lıngua madre, dall'altro l'istruzione dıventa un veicolo di assimilazione religiosa. Nonostante l'anima alevita che da secoli regna nella regione di Dersim, Ankara impone in ogni scuola l'ora obbligatoria di religione, rigorosamente sunnita. Gli consegnamo il nostro contributo, raccolto grazie alle cene di finanziamento a cui tutti voi avete partecipato (e se non l'avete fatto VERGOGNATEVI), oltre che il cd e i dısegni dei bambini genovesi che hanno partecipato al progetto dell'associazione Senza Paura Per finire in bellezza, gli abbiamo inoltre regalato la felpa dell'ANPI.

Successivamente abbiamo incontrato i membri dell'Associazione culturale di Dersim. Il progetto, che comprende 24 sedi sparse per tutta la Turchia, ha come scopo principale quello dı mantenere viva la memoria del genocidio del 1938, oltre che a sensibilizzare sulle questioni culturali ed ecologiche del territorio. La regione è infatti minacciata dal progetto Gap, un sistema di 22 dighe che rischia di sommergere il parco naturale del Munzur.

Tra un çai e l'altro, ascoltiamo la testimonianza dei rappresentanti del Kesk il più grande sindacato turco. In particolare incontriamo la formazione Egitim Sen, che si occupa in maniera specifica di educazione e cultura. Dopo aver sottolineato l'importanza dei rapporti internazionali tra i sindacati, l'attenzione si sposta sull'arresto delle 26 sindacaliste, avvenuto alla vigilia dell'8 marzo. Queste donne sono solo le ultime di una lunga serie dı vittime, dato che dal 1995 ben 35 persone appartenenti al Kesk sono state uccise, e dal 2000 almeno 42 sındacalisti di Dersim sono stati costretti al confino. Oltre a questo, sono 600 gli studenti universitari attualmente in carcere, colpevoli di aver manifestato per i propri diritti, tra cui quello dell'insegnamento in lingua curda.

Non contenti ıncontriamo anche i membrı dell'Accademia Alevita, nata un anno e mezzo fa. Dopo averci brevemente illustrato i fondamenti di questa affascinante religione millenaria, l'attenzione si sposta sul problema dell'assimilazione. Il governo turco sta infatti promuovendo un modello edulcorato della religione alevita, in modo da poterla trasformare in una dottrina vicina ad Ankara. Non è infatti un caso che l'Accademia sia stata chiusa il 12 febbraıo, in seguıto all'arresto della sua sua presidentessa, Aisel Dogan, accusata di separatismo.

Per concludere questa intensa gıornata dı incontri e çai, veniamo ricevuti da un'associazıone di avvocati che opera sul territorio. I rappresentanti ci spiegano come funziona l'assegnazione dei legali d'ufficio e quali sono i problemi che riscontrano più frequentemente, dalle accuse di collaborazionismo con il Pkk agli espropri condotti dal governo per il progetto Gap.

Maggiori dettagli circa questi incontri verranno forniti nel report che sarà steso al nostro rientro in Italia.
Dopo questa intensa giornata, ci sentiamo in dovere di rıngraziare il nostro interprete Francesco, che oggi ha dato il meglıo di sè.

Newroz, Pıroz Be!!

lunedì 19 marzo 2012

La strada per Dersim

Dopo aver recuperato due membri del gruppo che erano rimasti bloccati in Italia, la nostra delegazione, finalmente al completo, è partita per Dersim questa mattina (6 circa, ora curda).
Dopo 6 ore dı viaggio, tra montagne innevate e un lago artificiale, frutto della campagna turca del Gap (il sıstema di dıghe creato dal governo di Ankara) siamo arrivati nella città ormai ribattezzata Tunceli.
C'è stato l'immancabıle incontro con i membrı del Bdp. Nella sede locale del partito abbıamo avuto modo di parlare con Ali Rıza Yurtdaş e Deniz Yiloirim, che ci hanno brevemente illustrato la situazione di questa piccola città che ancora porta il rıcordo del massacro del 1938.
Dai loro racconti capiamo che non c'è stato un reale migliramento: la repressione continua, ad essere cambiati sono soltanto i mezzi con i quali questa è perpetrata. Ogni persona porta i segnı delle atrocità. Ogni famiglia porta con sè la memoria di un parente scomparso. Gli eventi degli annı Novanta hanno riportato alla luce i dolori vıssuti dalla precedente generazione e mai sopiti. Da quanto ci raccontano i membri del Bdp, questi lutti hanno rafforzato la resistenza della popolazione, che non smette di sperare in un futuro di pace. In attesa dell'incontro di domani con i membri del centro culturale, che sapranno raccontarci nel dettaglio quanto subito dalla popolazione, abbiamo avuto modo dı incontrare Suleyman Aytaç, un curdo alevita che ci ha raccontato la situazione degli obiettori di coscienza che opprime non solo il Kurdıstan ma tutta la Turchia.
L'obiezione di coscienza equıvale alla morte civile della persona. La leva militare è infatti obbligatoria, almeno per tutti coloro che non riescono a pagare le 30mila Lire Turche necessarie per l'esenzione. Schierarsi contro il servizio militare significa rinunciare a qualsiası tipo di incarico nella pubblica amministrazione, oltre che a rischiare la discriminazione nella vita quotidiana, che puo' colpire qualsiası tıpo di ambito, da quello privato a quello lavorativo.
Secondo quanto riportato da Aytaç, sono almeno un milione coloro che ad oggi non hanno ancora risposto alla chiamata di leva, anche se non si sono dichiarati pubblicamente obiettori, per paura delle conseguenze che questo puo' comportare.
Ad aumentare la tensione sull'argomento ci sono le 500 morti sospette avvenute negli ultimi 4 anni nelle caserme. Curdi, aleviti, attivisti di sinistra ed altri giovani appartenenti a varie minoranze (etniche o politiche) sono infatti deceduti durante il servizio di leva. Il governo ha risposto dichiarando che le vittime sono morte per suicidio. Dall'inizio del 2012 sono 18 coloro che hanno perso la vita in circostanze ancora non chiare.

domenica 18 marzo 2012

O libertà o libertà: il Newroz proibito

Al nostro arrivo ad Amed ci è giunta la notizia che il Newroz in programma per il giorno dopo, e che ogni anno accoglie circa 1 milione di persone, era stato ufficialmente rimandato al 21 marzo.
Le tre delegazioni appena giunte dall'Italia si sono quindi riunite per decidere come sostenere la lotta della popolazione curda. Un membro del Bdp ci ha proposto dı unirci ad una marcia di protesta e di avvicinamento al luogo del Newroz, che avrebbe avuto luogo la mattına seguente. Cırca 5 gruppi, dislocati in altrettante sedi del Bdp, si sarebbero mosse sfidando il divieto di Ankara di avvicinarsi alla spianata del Newroz, in modo da poter permettere lo svolgimento delle celebrazioni.
Questa mattına la nostra delegazione si è quindi recata alla sede del Bdp di Kayapinar, dove siamo stati accolti dai membri del partito e del Parlamento. Mentre i ragazzi più giovani scandivano slogan di protesta, una camionetta della polizia li intimava di fermarsi. Il clima di tensione che si respirava era dovuto anche al fatto che, durante la mattina, tre ragazzi erano finiti in ospedale a seguito delle ferite riportate dagli scontri con la polizia.
Abbiamo quindi iniziato una marcia pacifica guidata dal nostro striscione che recitava "lıbertà per Hatip Dicle". Nonostante questo, dopo circa un chilometro, un blindato della polizia, seguito da alcune camionette, ci ha costretti a fermarci.
Dopo una trattativa portata avanti dai membri del Bdp, è stato deciso di dividersi in piccoli gruppi, in modo da poter raggiungere la spianata del Newroz separatamente, senza così dare nell'occhio. Abbiamo raggiunto il luogo dei festeggiamenti con due taxi, ma già lungo la strada si vedevano i primi segnali degli scontri tra la polizia e la popolazione curda: cariche, blindati, elicotteri che minacciosamente scaricavano gas lacrimogeni sulle nostre teste e su quelle di coloro che volevano festeggiare il capodanno in pace.
Abbiamo quindi tagliato per i campı e finalmente siamo riusciti a raggiungere il luogo del Newroz.
Alla vista del nostro striscione siamo stati accolti da uno scroscio di applausi, che ci ha accompagnato fin sotto al palco. Gli scontri fuori dalla spianata non accennavano pero' a fermarsi, come testimoniavano le nubi di fumo nero e l'odore acre dei lacrimogeni. Per protesta contro l'informazione a senso unico della Tv di Stato sono state incendiate alcune postazioni mobili della televisione turca.
Nonostante questa situazione di paura e di incertezza, sembra che almeno tra le 500 e le 600 mıla persone si siano riversate nella spianata del Newroz per celebrare una ricorrenza che ancora una volta ıl governo turco ha tentato di proibire. A poco a poco la folla si è animata grazie anche alla presenza di ragazzi, giovani con gli abiti tradizionali, famiglie, nonni con bambini. Lunghissime fila di bandiere gialle, rosse e verdi sono state innalzate insieme a quelle del Bdp per decorare il palco. Quando ormai la piazza era gremita di gente, due autobus trionfanti hanno fatto il loro ingresso nella spianata. A bordo del primo c'era il sındaco di Diyarbakir, da sempre in prima fila nella lotta per i diritti del suo popolo, che è stato accolto da uno scroscio di applausi.
Nonostante le premesse la giornata, almeno fino ad ora (16 cırca, ora curda), è continuata in un clima di festa popolare.

mercoledì 14 marzo 2012

Vietati i manifesti per il Newroz

La Corte vieta i manifesti e gli striscioni del Newroz

13 marzo 2012
Lo slogan"O libertà o libertà" bandito dal tribunale di Diyarbakir
L'Alta Corte Penale ha vietato gli striscioni e i manifesti che sono stati appesi sui muri delle città in occasione delle celebrazioni del Newroz.
Tale provveimento è stato giustificato dal fatto che lo slogan "An Azadi, an azadi" (O libertà o Libertà), viene adottato dal PKK e dai nuovi movimenti di resistenza.
La Corte ha affermato che il logo con i tre fiammiferi costituirebbe una forma di "propaganda per la diffusione del PKK".

fonte: ANF​​/AMED

mercoledì 7 marzo 2012

Scioperi della fame

All’Opinione Pubblica,
Desideriamo informarVi in merito agli scioperi della fame, intrapresi dai politici curdi detenuti nelle carceri Turche. Il primo gruppo di scioperanti ha iniziato la protesta il 15 gennaio 2012, in occasione del 13°anniversario dalla cospirazione internazionale che ha portato alla consegna di Abdullah Ocalan alla Turchia. Tra i 400 scioperanti ricordiamo i 2 deputati del BDP, Selma Irmak e Faysal Sariyildiz, che si trovano agli arresti, a cui dal 28 febbraio si è aggiunto il collega di Urfa Ibrahim Ayhan. Numerosi esponenti dei sindacati, sindaci e membri delle organizzazioni della società civile curda, stanno aderendo allo sciopero e decine di curdi provenienti da tutta Europa, hanno proclamato uno sciopero della fame a oltranza il 1° marzo a Strasburgo. Selma Irmak, Faysal Sariyildiz e la moltitudine di persone che stanno aderendo agli scioperi della fame, chiedono il rilascio di Abdullah Oclalan e la fine delle strategie di annientamento che il Governo AKP sta attuando ai danni della popolazione Curda.

Fino a questo momento, le Autorità Turche hanno scelto di affrontare la questione Curda, tramite l’uso della violenza e dell’annientamento, rifiutando il dialogo e la negoziazione. Negli ultimi mesi le operazioni militari transfrontaliere hanno provocato la morte di ben 41 civili e l’Esercito Turco ha utilizzato armi chimiche (in violazione della Convenzione di Parigi), contro le forze della guerriglia Curda. Il 28 dicembre 2011, l’Aviazione Militare Turca ha sferrato un attacco mortale, bombardando e uccidendo 34 civili innocenti nel villaggio di Roboski.

Secondo quanto espresso in una dichiarazione dal Co-Presidente del BDP Selahattin Demirtas, dal 2009 le operazioni anti KCK contro i politici curdi, si sono intensificate con una portata senza precedenti. Le carceri Turche stanno ospitando Parlamentari, sindaci, consiglieri comunali, scrittori, giornalisti, attivisti dei diritti umani, rappresentanti di organizzazioni non governative, avvocati, sindacalisti e studenti. Nel complesso, oltre 6000 persone si trovano attualmente dietro le sbarre con l’accusa si essere membri o di fare propaganda a una organizzazione terroristica.

I negoziati iniziati nel 2006, tra il leader del popolo kurdo Ocalan e lo Stato Turco hanno subito una brusca battuta d’arresto nel luglio 2011, dietro istruzioni del governo dell'AKP. L’isolamento a cui sono sottoposti Ocalan e altri 5 detenuti presso la prigione dell'isola di Imrali, è drasticamente peggiorato. Il dialogo con Abdullah Ocalan costituisce un elemento vitale per la risoluzione della questione Curda e negli ultimi sette mesi, la Turchia sta adottando una strategia volta a neutralizzare la lotta per la libertà e il diritto di resistenza legittima del popolo Curdo.
I negoziati hanno lasciato il posto alla guerra e alle politiche violente.

Le ondate di arresti e l’isolamento del leader del popolo Curdo Ocalan, sono operazioni contro chi lavora e lotta per la giustizia e la democrazia. Le vicende degli ultimi mesi, costituiscono solo l'ennesimo capitolo di un genocidio politico che dura ormai da decenni, il cui obiettivo è creare una società silenziosa e sottomessa. Il resto del mondo non deve sottovalutare la regressione delle libertà civili in Turchia. La Comunità Internazionale, dopo tanti anni di sostegno al Governo dell'AKP, deve riconoscere la tragica realtà e aprire gli occhi sul fatto che la Turchia è uno Stato autoritario e ultra-conservatore.

UIKI Onlus

martedì 6 marzo 2012

Abusi sui minori nelle carceri turche

Emergono nuove rivelazioni sugli abusi dopo le denunce di Pozantı

Al nostro arrivo, siamo stati costretti più volte ad attraversare completamente nudi i raggi x. I soldati colpivano le nostre dita mentre ci prendevano le impronte digitali. Poi ci portarono in una stanza buia dove siamo stati costretti a denudarci. Ci hanno versato addosso dell’acqua gelida e ci hanno percosso con i tubi di gomma. "Così V. Y. (17 anni) ricorda il suo periodo di detenzione nel carcere Pozantı, dove ha trascorso quattro mesi e mezzo quando aveva 13 anni.
Quando le notizie in merito agli abusi della prigione di Pozantı, sono state diffuse anche dai media, l’IHD ha iniziato a riceve numerose testimonianze correlate a tali crimini.
V.Y. ricorda di essere stato stipato insieme ad altri 24 prigionieri in una cella originariamente creata per 14 persone e di essere stato costretto a chiamare i propri carcerieri “Signori”. Dichiara inoltre che, “ i prigionieri malati non ricevevano cure mediche e i prigionieri politici erano esclusi dalle attività sociali e dalle visite. Coloro che si ribellavano a tali trattamenti, venivano portati fuori dalle guardie e ritornavano con i pantaloni calati”.
V.Y. che è stato sottoposto a torture non solo nel carcere di Pozantı ma anche nella stazione di polizia e nella casa circondariale di tipo C, ha chiesto all’IHD di Adana assistenza legale.
Le famiglie dei minori detenuti, sono allarmate in merito alla decisine presa dal Governo di trasferire i detenuti minorenni nella prigione Sincan di Ankara. "Invece di trasferirli in una lontana prigione, dove non saremo in grado di far loro visita, dovrebbero migliorare le condizioni di Pozantı", dice Abdullah A, il cui figlio CA (17) è stato incarcerato per sei mesi.
ISelahattin Güvenç Presidente del GOC-Der di Adana, ha dichiarato "dalla fondazione della Repubblica turca, lo Stato mira a abusare dei bambini curdi", riferendosi ai crimini sessuali sulle bambine vittime di adozioni forzate e illegali, dopo il massacro Dersim nel 1938.
"Questa è la politica del Governo. Lo Stato ci toglie i bambini e li sottopone a molestie e abusi sessuali. E’ accaduto 74 anni alle bambine trapiantate nelle case dei soldati e sta accadendo anche oggi nelle carceri ", ha dichiarato Güvenç.

fonte : FIRAT

domenica 4 marzo 2012

Ricorso per la strage di Roboski

Corte penale internazionale accetta ricorso per strage di Roboski
29 febbraio 2012 - Dopo il ricorso presentato alle Nazioni Unite, il partito filo-curdo Bdp si è rivolto alla Corte penale internazionale per il massacro di Roboski, e la richiesta è stata accolta.
La notte del 28 dicembre 2011 a Roboski, un piccolissima frazione del distretto di Uludere, nella provincia di Sirnak, in Turchia, sono morti 35 civili, 17 dei quali giovanissimi. Si tratta di una strage compiuta da velivoli dell’aviazione nazionale turca, durante un'operazione all’interno del confine iracheno, a caccia di ribelli del Pkk.

La Turchia e "il tempo dei cavalli ubriachi".