lunedì 27 ottobre 2014

ISIS intensifica gli attacchi a Kobanê

Violenti scontri continuano sui fronti sud, est e ovest della città di Kobanê del Kurdistan occidentale, Rojava nel 41° giorno di attacchi intensificati delle bande di ISIS che mirano a occupare la città.
Reporter di ANHA sul posto hanno fatto sapere che i combattimenti tra le forze delle YPG [Unità di Difesa del Popolo] e le bande di ISIS sono diventati più pesanti sul fronte sud dove viene riferito che sono stati uccisi 14 componenti delle bande.
Pesanti scontri sono in corso anche sul fronte est, dove secondo i primi rapporti riusciti a trapelare, sono stati uccisi 9 componenti delle bande. Combattenti delle YPG si sono impossessati di una bomba che doveva essere usata in un attacco suicida.
Viene riferito che le bande stanno lanciando continui attacchi con mortai sul centro della città e che mirano ai civili.
Sul fronte ovest, i combattenti delle YPG hanno fatto un’azione contro le bande nella zona tra i villaggi di Pinder e Sosanê, distruggendo due veicoli e infliggendo pensanti perdite alle bande.
Combattenti delle YPG hanno anche distrutto un veicolo carico di armi pesanti appartenente alle bande nella zona tra il sud e l’ovest di Kobanê.
Altri due component di bande sono stati uccisi in un’altra azione dei combattenti delle YPG tra i villaggi di Menazê e Gulmet

Il prezzo di una donna al mercato del terrore

di Emanuela Irace – Un’intervista shock ad una giovane yazida rapita dai terroristi dello Stato islamico. Lei è riuscita a fuggire, le altre donne della sua famiglia sono rimaste prigioniere degli jihadisti.
Ci sono dolori troppo forti per essere raccontati. Le immagini ricompaiono. E la paura toglie il fiato. Difficile riuscire ad esprimere sentimenti, specie se hai solo diciassette anni e il tuo paese è in guerra. Una guerra asimmetrica. Preparata minuziosamente dall’estremismo islamico quasi un decennio fa. È il 2006, l’anno in cui la cellula irachena di Al-Qaeda si salda con lo Stato Islamico dell’Iraq. Il movimento nato per unificare sotto una unica sigla la galassia jihadista post Saddam Hussein. Ma il salto di qualità è nel 2010, quando Abu Bakra al-Baghdadi trasforma lo scacchiere siriano nella piattaforma del terrorismo internazionale finanziato da comparti geo-politici antagonisti. Ad agosto lo sceicco proclama lo Stato Islamico della Siria del Levante e dell’Europa sud occidentale. Conosciuto in Italia come ISIS. È l’inizio della fabbrica del terrore.
Il califfato tra Siria e Iraq sembra diventare un problema da affibbiare nel 2017 al prossimo inquilino della Casa Bianca. E la recente coalizione più un’operazione di facciata che una reale deterrenza. Politicamente la forza della barbarie, che negli ultimi mesi ha spazzato via intere comunità è un coacervo inestricabile. Alla volontà di riscatto sunnita verso gli sciiti – saliti al potere in Iraq in seguito all’invasione statunitense del 2003 – c’è il solito corollario. Il controllo delle risorse energetiche e la suddivisione della rendita petrolifera. Il resto è cronaca di questi giorni. Cronaca di guerra. Come per il Rojava, dove i kurdi difendono da mesi il proprio territorio e la città di Kobane. Diventata simbolo di resistenza per tutte le minoranze. Yazidi e cristiani compresi. Popolazioni perseguitate e massacrate sotto lo sguardo silenzioso della comunità internazionale. È l’emergenza profughi. Un milione e mezzo solo nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno.
Abasha è yazida. Ha i capelli lunghi e il fisico minuto. Fino a due mesi fa viveva a ovest di Mossul. In un villaggio a pochi chilometri dal confine con la Siria. Per settanta giorni e stata ostaggio dei terroristi dello Stato Islamico. Rapita. Insieme ad altre quindici donne della sua stessa famiglia. Ora abita nel distretto di Dahuk. Nel Kurdistan Iracheno. Abasha è un nome di fantasia. Mi chiede di non essere fotografata. Ha paura della vendetta jihadista. “Se parlo le uccideranno tutte. Io sono riuscita a scappare ma loro sono ancora li”, dice. Sediamo su un tappeto. Con me c’è l’interprete. Una cooperante francese e una attivista kurda. Abasha ha gli occhi grandi e seri. La sua età è poco più di quella di mia figlia. L’abbraccio e inizia a raccontare. Con fatica. “Sono scappata due volte ma la prima non è andata bene. Mi hanno catturata e rinchiusa”.
Ti ha aiutata qualcuno?
“No. Ho fatto tutto da sola”
Hai elaborato un progetto di fuga e in che modo sei riuscita a scappare?
“Avevo notato che il momento migliore era durante la cena. C’era più confusione e meno controllo. Una sera ci siamo messi a mangiare alle otto. Eravamo in tanti. Ho preso qualcosa, del cibo, e mi sono sporcata le mani. Ho chiesto di andare al bagno per lavarmele. Invece sono entrata in una stanza dove c’erano tutti i niqab, i veli neri preparati dai jiadisti per la nostra conversione, ne ho indossato uno e sono uscita. Ho corso e sono entrata in una casa. Ma quando hanno capito che ero una delle ragazze rapite mi hanno mandata via. Allora sono andata in un altra casa. E loro mi hanno aiutata. E adesso sono qui. Ma le altre donne sono ancora prigioniere”.
Cosa succede alle donne sequestrate?
“Donne e ragazze sono vendute al mercato. Vengono portate in Siria…”.
Abasha non se la sente più di proseguire. “Può raccontarti lui” mi dice indicandomi l’interprete, “lui lo sa. Era presente quando sono arrivata qui. Sono passati pochi giorni e per me è troppo doloroso. Troppo faticoso parlare..”. L’interprete è un ragazzo giovane. Mi dice che quando Abasha è arrivata al villaggio è stato straziante. Ha raccontato di una bambina violentata da 20 soldati. E la paura che potesse succedere anche a lei. E poi la fuga. E le botte. Dice che lei non è stata violentata. Ma non riesce più a dormire e ha smesso di sorridere. Ha il terrore che possa succedere qualcosa alle donne della sua famiglia.
Quanto costano e a chi vengono vendute le donne rapite?
“I prezzi variano dai 30.000 dinari ai 200 dollari. Ma adesso non valgono più niente. Spesso vengono cedute e basta. O usate dai soldati dello Stato Islamico. Abasha non è stata valutata. Ma è stata trattenuta, il suo prezzo sarebbe stato 200 dollari. Quelli che le comprano sono capi di tribù arabe e gli sceicchi delle Monarchie del Golfo .”
La comunità yazida accoglie queste ragazze?
“Adesso le accoglie. Prima sarebbe stato diverso. Meno di un mese fa Babasher, uno dei capi della comunità yazida responsabile del Consiglio Religioso, ha detto pubblicamente che bisogna rispettare le ragazze rapite. Ha anche parlato di aiuti psicologici e ha chiesto l’appoggio di associazioni europee”.
Abasha si alza in piedi e mi saluta. Si è fatto tardi anche per noi. Le dico di essere forte. Annuisce senza sorridere. Poi mi abbraccia.

fonte : NoiDonne

giovedì 23 ottobre 2014

Appello per la prevenzione immediata di una tragedia umana nella regione di Sinjar

Nuovi attacchi dell’ISIS ai kurdi Yezidi sui Monti Sinjar.I kurdi Yezidi si trovano ancora una volta sotto la costante minaccia di genocidio.
I terroristi dell’ISIS hanno intensificato gli attacchi, iniziati una settimana fa, per portare a termine la pulizia etnica della catena del Shengal, nel Kurdistan iracheno.
Il nuovo attacco mira ad allontanare i curdi Yezidi dalla propria terra durante la stagione invernale, per massimizzare le atrocità e le sofferenze. Le uniche forze a Shengal, che stanno proteggendo gli abitanti, sono le HPG (Forze di Difesa del Popolo) e YBS, che è l’unità di protezione degli Yezidi. Sinjar (Shengal), una città considerata sacra dai curdi Yezidi, è stata occupata da bande ISIS fin dalla notte del 2 agosto. Quando le bande sono entrate nella città di Sinjar e hanno appeso le loro bandiere nere, le persone sono fuggite per paura di un massacro. L’occupazione della città ha sfollato circa 200.000 curdi Yezidi.
Ci sono ancora più di 12.000 civili sui Monti Sinjar e, in questo momento, stanno affrontando un massacro. Seguirà sicuramente una tragedia umanitaria, poiché essi non hanno accesso ad acqua e cibo.
Tra i civili ci sono migliaia di bambini. La comunità internazionale, in particolare l’ONU e l’UE, non dovrebbe abbandonare i civili al loro destino. Deve essere evitata immediatamente una tragedia umanitaria, poiché vi è un alto rischio di morti per fame e sete.
L’ISIS continua a compiere crimini contro l’umanità, dopo i suoi attacchi brutali contro la popolazione nel Rojava e contro i cristiani a Mosul. L’ISIS ha dichiarato apertamente che ha intenzione di trasformare la demografia della regione. Con i suoi metodi spietati, ha gettato l’intera regione in un futuro incerto e pericoloso.
La minaccia di un nuovo massacro contro il popolo curdo Yezidi di Sinjar sta diventando una possibilità reale e il pericolo sta aumentando ora dopo ora. Sostenere la resistenza curda contro l’ISIS significherebbe impedire l’ennesimo genocidio degli Yezidi.
KNK-Congresso Nazionale del Kurdistan

ISIS starebbe usando armi chimiche a Kobane

Asya Abdullah co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD), che si trova a Kobane, ha raccontato a Kurdish Question che questa sera (21 ottobre) è stato compiuto un attacco chimico in un quartiere orientale della città. Abdullah ha affermato che non sanno da dove sia arrivato l’attacco perché non si è registrata alcuna esplosione.
Essa ha dichiarato: “Potrebbe essere stato un missile silenzioso o un missile piazzato precedentemente nel quartiere. Molte persone hanno perso conoscenza e stanno lottando per riuscire a respirare e vedere. Stiamo indagando la situazione ma non abbiamo l’attrezzatura tecnica necessaria per fare i test.”
Il Dr. Welat, uno dei quattro medici a Kobane, ha riferito a Guney Yildiz, un giornalista della BBC World, che sospettava che l’attacco chimico fosse gas cloro o proiettili al fosforo. Il Dr Welat ha dichiarato: “Non possiamo confermare un attacco chimico senza prove adeguate e chiediamo perciò che le attrezzature mediche possano essere paracadutate.”
Questo è il secondo incidente che si verifica, in cui lo Stato Islamico potrebbe aver usato armi chimiche a Kobane.

domenica 19 ottobre 2014

Il muro della vergogna tra Turchia e Kobane

Il report del primo giorno in Kurdistan degli attivisti Egidio Giordano e Luca Manunza
Pubblichiamo un testo inviatoci dagli attivisti partiti ieri per il Kurdistan ed arrivati nella città di Suruç, la città curda sul confine turco che accoglie i profughi della battaglia di Kobane che si svolge pochissimo oltre il confine. Il loro scopo, è di fare informazione dal basso, video-documentare le voci di chi è arrivato nei campi profughi da Kobane, ma anche di chi sul confine cerca di sostenerli e subisce la repressione turca che è sempre attiva in Kurdistan. E soprattutto cercano di capire con relazioni dirette quali sono le forme per esprimere solidarietà internazionalista concreta per le donne e gli uomini che si trovano là.
La prima impressione che abbiamo a poche ore dall’arrivo a Suruç è quella di una città divisa. Da una parte il tetro colore dell’esercito, che chiude cinicamente ogni varco, ogni strada, ogni via d’accesso al confine e non contento si fa rifornire ancora dal Governo di Ankara di mezzi per impermeabilizzare ancora di più la frontiera. Dall’altra l’umanità viva e vera dei curdi. L’enorme massa umana che si distribuisce tra i campi profughi in cui si accalcano le famiglie (soprattutto anziani e bambini) dei partigiani che lottano incessantemente dall’altra parte dei blocchi.
Una massa a cui si uniscono progressivamente anche i feriti, che tornano indietro e superano il confine per farsi curare, clandestinamente e rischiando l’arresto. Poi ci sono i giovani, tanti ma non sappiamo ancora dire quanti, che si accalcano sulle colline in attesa che si apra una porta. La sensazione che si respira forte è che questa città stia solo aspettando di speronare quel muro di soldati e vergogna per invadere Kobane e riprendersi i territori dalle mani fasciste di ISIS.
Dall’altra parte, ci dicono, il cibo e le munizioni stanno finendo, nonostante la resistenza continui e porti risultati importanti. Suruç però sa cosa accade dall’altra parte, a una manciata di chilometri, e preme per tendere la mano a chi resiste. Tra poche ore incontreremo il sindaco della città e proveremo a farci raccontare cosa è accaduto in queste ultime settimane in questo posto ai confini dell’Europa, dove va in scena delle più eclatanti rappresentazioni dell’ingiustizia delle frontiere e della necessità di distruggerle.
Intanto a Kobane si combatte ancora, infatti pochi minuti fa a 1 km dalla città si udivano spari ed esplosioni, ed in questo momento sono iniziati i bombardamenti aerei sulle basi d’appoggio dell’IS.
fonte : Global Project

Sciopero della fame per Kobane

18 ottobre:
Circa 4 mila detenuti del PKK e del PAJK(Parito della liberazione delle donne del Kurdistan) hanno avviato in 92 carceri i uno sciopero della fameper protestare contro la collaborazione del governo dell’AKP con ISIS di fronte agli attacchi in corso delle bande di ISIS alla città curda di Kobanê nel Kurdistan occidentale, il Rojava.
Allo sciopero irreversibile e a tempo indeterminato avviato dalle detenute del PAJK il 9 Ottobre a Gebze ,vi hanno aderito di migliaia di altri in 92 carceri dal 15 Ottobre.
Rilasciando un comunicato per conto dei detenuti, Deniz Kaya ha affermato che:”Come detenuti del PAJK e del PKK dichiariamo la nostra solidarietà ai combattenti delle YPG e delle YPJ e annunciamo che stiamo avviando uno sciopero della fame per condannare la collaborazione AKP-ISIS,l’atteggiamento ostile della polizia dell’AKP contro la rivolta della nostra gente,e continueremo questa azione fino a quando la minaccia del genocidio incombe su Kobane,fino a quando continuerà la collaborazione AKP-ISIS e fino a quando il governo aprirà un corridoio umanitarione nel Rojava.Se la nostra richiesta non verrà accolta radicalizzeremo la nostra azione.
Kaya ha anche chiesto al popolo curdo di aumentare la loro solidarietà con l’eroica resistenza di Kobanê e di esporre la collaborazione AKP-ISIS.

lunedì 13 ottobre 2014

Kobani, le lacrime di chi combatte per la vita

Mi sono ricordata di te e ho pianto. Azad ha una bella voce. Anche lui ha pianto quando stava cantando. Anche a lui manca sua madre che non vede da un anno.
Ieri abbiamo aiutato un amico ferito. É stato ferito da due proiettili. Non sapeva molto della seconda ferita quando stava indicando la prima pallottola nel petto. Stava sanguinando troppo dai suoi fianchi. Abbiamo fasciato la ferita e gli ho dato il mio sangue. Siamo nel lato est di Kobani, madre…A sole poche miglia ci troviamo tra noi e loro. Vediamo le loro bandiere nere, sentiamo le loro radio, qualche volta non capiamo cosa dicono quando parlano lingue straniere, ma possiamo dire che sono spaventati.
Noi siamo un gruppo di nove combattenti. Il più giovane Resho è di Afrin. Ha combattuto a Tal Abyad è si unito a noi. Alan è di Qamishlo, la zona migliore ,ha combattuto a Sere Kaniye e poi si è unito a noi. Ha qualche cicatrice sul suo corpo. Ci ha detto che sono per Avin. Il più vecchio è Dersim, viene dalle montagne di Kandil e sua moglie ha subito il martirio a Diyarbekir e lo ha lasciato con 2 bambini.
Siamo in una casa alla periferia di Kobani. Non sappiamo molto dei suoi proprietari. Ci sono foto di un uomo anziano e una di un giovane uomo con un nastro nero, un martire… C’è una foto di Qazi Mohamad, Mulla Mustafa Barzani, Apo e una vecchia mappa ottomana che cita il nome Kurdistan.
Non abbiamo avuto il caffè per un po‘, abbiamo scoperto che la vita è bella anche senza caffè. Onestamente non ho mai avuto un caffè buono come il vostro mamma. Siamo qui per difendere una città pacifica. Non abbiamo mai preso parte all’uccisione di nessuno, invece abbiamo ospitato molti feriti e rifugiati dei nostri fratelli siriani. Stiamo difendendo una città musulmana che ha decine di moschee. Le stiamo difendendo da forze barbare.
Mamma, io vi verrò a trovare una volta che questi sporca guerra, che è calata su di noi, sarà finita. Io sarò lì con il mio amico Dersim che andrà a Diyarbekir per incontrare i suoi figli. A noi tutti manca casa e vogliamo tornare, ma questa guerra non sa cosa significa mancare.
Forse non tornerò madre. Allora sii certa che ho sognato di vederti per così tanto tempo ma io non sono stata fortunata.
So che visiterete Kobani un giorno e cercherete la casa che ha visto i miei ultimi giorni… è sul lato est di Kobani. Parte di essa è danneggiata, ha una porta verde che ha molti buchi da colpi da cecchino e vedrete tre finestre, su di una sul lato est, vedrete il mio nome scritto in inchiostro rosso … Dietro quella finestra madre, ho aspettato contando i miei ultimi momenti, guardando la luce del sole mentre penetrava nella mia stanza dai fori di proiettile in quella finestra... Dietro quella finestra, Azad ha cantato la sua ultima canzone su sua madre, aveva una bella voce quando diceva “mamma mi manchi”.
tua figlia Narin (da Retekurdistan.it)

“Mi sono ricordata di te e ho pianto” scrive alla propria madre una miliziana kurda delle Unità di difesa del popolo asserragliata nella Kobanê assediata. E sembra di vederla quella mamma simile alle donne incontrate sulla via d’un più antico dolore.
Scempi che si rinnovano e trovano nuovi attori nei jihadisti dell’Isis che assediano il simbolo d’una speranza, mentre sono rinnegati da islamici pronti a rigettare ogni presunzione di guerra santa. Una santificazione che appare malata e percorre esaltazioni prodotte dall’imperialismo, quello arabo saudita da anni suggeritore e finanziatore di certo fondamentalismo, quello occidentale cui piace il fuoco della “pax romana”. Sembra la santificazione reazionaria della guerra ‘igiene del mondo’ percorsa dai nazionalismi più biechi, anche quando a cantarne le lodi erano aedi d’indubbie qualità letterarie come Ernst Jünger e Louis-Fernand Céline. Diversamente da loro c’è chi non crede alle guerre come “il più potente incontro fra popoli”. C’è chi come la guerriglia kurda le combatte, è costretta a combatterle, sia che si ribelli cercando una società nuova, sia che si difenda opponendo dignità e speranze, rincorrendo un futuro di vita, non di morte.
Non lanciamo manicheismi. Non si vuole santificare una parte e mostrare gli avversari come demoni senz’anima. Fuori da apriorismi ideologici, s’osserva un panorama fortemente ideologizzato che espone chiaramente da un lato il senso di coesione e gestione armonica dell’esistenza non inficiata da esasperazioni etniche, religiose, politiche, all’opposto un desiderio d’imposizione, omologazione, pensiero unico. Due tipologie di presente e futuro, una rivolta alla vita, la seconda oscura come i propri vessilli. Vorremmo leggere, se mai verrà scritta, la missiva d’un jihadista dell’Isis alla propria madre, per comprendere se al possibile lirismo mostrato da altri esaltatori della sopraffazione s’unisce l’afflato del sentimento. Ora abbiamo sotto gli occhi le descrizioni minute di chi ha un gran cuore: un manipolo di nove combattenti asserragliati in una casa difesa con armi leggere. Tutto mentre il nemico bombarda dalle colline e possibili ‘alleati’ sono fermi sul proprio confine. C’è speranza nella mente della guerrigliera Narin, c’è anche l’ipotesi di non poter vedere cosa accadrà domani. E lo strazio delle madri che sopravvivono ai figli è attenuato solo dall’ideale di trovare nel loro sacrificio un percorso che continua. Salvare Kobanê è l’impegno di Narin e dei guerriglieri dell’Ypg perché la vita prosegua.
fonte contropiano.org

domenica 12 ottobre 2014

ISIS attacca i civili vicino al confine

11 ottobre
In un comunicato che annuncia il bilancio degli scontri che hanno avuto luogo tra venerdì e sabato mattina,il centro stampa delle YPG ha dichiarato che l’avanzata di ISIS è stata fermata sui fronti orientale,occidentale e meridionale.
Le YPG hanno riferito che 70 membri delle bande sono stati uccisi e che anche gli attacchi aerei degli ultimi giorni si sono dimostrati influenti e hanno contribuito a infliggere perdite alle bande.
Le YPG hanno anche affermato che 5 combattenti sono morti negli scontri nelle ultime 24 ore.Affermano che le loro forze stanno resistendo con una forte determinazione e spirito di devozione contro le bande che attaccano con tutte le loro forze da est,ovest e a sud di Kobanê con l’obbiettivo di impadronirsi della città.
Le YPG hanno richiamato l’attenzione che”le bande hanno un alto vantaggio tecnico,ma,di fronte alla forte risposta delle nostre forze,hanno quindi difficoltà nell’ avanzare nel centro della città, e adesso hanno iniziato a lanciare attacchi suicidi e a bombardare i civili in città e nelle zone vicino ai confini.
I duri scontri che sono iniziati ieri mattina a est di Kobanê sono continuati fino a questa mattina,affermano le YPG aggiungendo:”Le nostre forze,lanciando offensive di volta in volta, hanno fermato l’avanzata delle bande, per quanto abbiamo potuto accertare ,29 membri delle bande sono stati uccisi sul fronte orientale”.
Il comunicato informa che sul fronte meridionale le bande hanno avviato bombardamenti con carri armati e artiglieria sulle postazioni delle forze delle YPG:”Mentre le bande hanno tentato di avanzare attraverso i bombardamenti,le nostre forze hanno risposto duramente e per quanto possa essere uccidendone 17 membri”.
Poichè sono stati ostacolati sul fronte orientale e meridionale, le bande hanno tentato di ottenere alcuni risultati attraverso l’uso di camion carichi di esplosivo.
1 attacco suicida sul fronte orientale, e un altro sul fronte meridionale sono stati impediti prima che i camion carichi di esplosivo raggiungessero le postazioni delle YPG ed i camion sono stati distrutti nelle loro aree.
Sul fronte occidentale,afferma il comunicato,le forze delle hanno YPG la scorsa notte hanno lanciato un’operazione contro una base delle bande situato appena fuori della città.Due veicoli sono stati distrutti e 22 loro membri sono stati uccisi nell’attacco.
Il comunicato afferma che 5 combattenti delle YPG sono caduti negli scontri.Le YPG hanno anche condiviso informazioni sugli attacchi aerei delle forze della coalizione:””A parte gli scontri tra le nostre forze e le bande di ISIS,nei giorni scorsi sono stati effettuati attacchi aerei da parte della coalizione attorno a Kobanê.
Gli attacchi aerei della coalizione hanno dimostrato essere influenti infliggendo perdite sulle bande.Hanno dimostrato che è importante che gli attacchi aerei continuino in modo più influente al fine di rompere la forza delle bande e di respingerle.

Kobane: la resistenza curda respinge di nuovo i jihadisti

11 ottobre:
Secondo le notizie rilanciate da numerosi media locali, i combattenti delle milizie popolari sarebbero riuscite a bloccare durante la notte l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico verso il centro della città di Kobane, nel Rojava siriano al confine della Turchia.
"C'è stato un assalto dell'Isis dalla parte meridionale della città, con l'obiettivo di raggiungere il centro, ma è stato respinto dai combattenti curdi dopo violenti combattimenti" ha spiegato alla France presse Rami Abdel-Rahman, il direttore dell'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, una ong vicina ai ribelli islamisti 'moderati' con base a Londra.
Scontri sporadici sono in corso questa mattina nella zona meridionale, sud-occidentale e orientale della città, e all'alba la coalizione internazionale guidata dagli Usa ha lanciato due nuovi raid aerei nel sud e nell'est della zona.
In queste ore i combattenti curdi stanno anche lanciando "operazioni speciali" nell'est della città, penetrando nelle zone controllate dall'Isis per uccidere membri dell'organizzazione jihadista e ritirarsi poi nelle loro postazioni.
I jihadisti dello Stato islamico hanno conquistato ieri una porzione consistente della città, compreso il quartier generale delle forze curde. A cadere nelle mani dell'Isis era stata ieri l'intera "area di sicurezza" cittadina, che comprende il complesso militare delle Unità di protezione del popolo (YPG), la base di Assayech e la sede del consiglio locale.
Intanto ieri sera era arrivato a 31 morti e a più di 360 feriti il bilancio ufficiale dei quattro giorni di violenta repressione da parte delle forze di sicurezza turche contro le manifestazioni dei curdi e dei gruppi della sinistra antimperialista turca che sono scesi in piazza in tutto il paese contro la complicità del regime islamista di Erdogan con lo Stato Islamico. A fornire il bilancio è stato il ministro degli Interni turco Efkan Ala nel corso di una conferenza stampa realizzata ad Ankara. La stragrande maggioranza delle vittime sono manifestanti curdi, a volte giovanissimi (c'è anche un bambino di otto anni) falciati dalle pallottole sparate dai militari, dai poliziotti ma anche dai membri dell'estrema destra turca legata ai 'Lupi Grigi', e di organizzazioni islamiste radicali come Hezbollah (movimento fondamentalista sunnita turco fondato negli anni '80 e che non ha nulla a che fare con l'omonimo partito sciita libanese) o i 'cugini' curdi di Huda-par. Negli scontri hanno perso la vita anche due poliziotti e 139 sono rimasti feriti.
I civili feriti sono stati 221, in 35 città nelle quali sono scoppiati gli scontri. Oltre mille i fermati, 58 dei quali poi arrestati formalmente. "Negli scontri 778 edifici sono stati danneggiati o distrutti tra cui 212 scuole, 67 stazioni di polizia, 25 uffici pubblici e 29 sedi di partiti politici" ha dichiarato il ministro del governo Davutoglu.
fonte : Contropiano

venerdì 10 ottobre 2014

Lettera di una combattente alla madre da Kobane

10 ottobre
Mi sono ricordata di te e ho pianto.Azad ha una bella voce.Anche lui ha pianto quando stava cantando.Anche a lui manca sua madre che non vede da un anno.
Ieri abbiamo aiutato un amico ferito.É stato ferito da due proiettili.Non sapeva molto della seconda ferita quando stava indicando la prima pallottola nel petto.Stava sanguinando troppo dai suoi fianchi.Abbiamo fasciato la ferita e gli ho dato il mio sangue.Siamo nel lato est di Kobani,madre…A sole poche miglia ci troviamo tra noi e loro.Vediamo le loro bandiere nere,sentiamo le loro radio,qualche volta non capiamo cosa dicono quando parlano lingue straniere,ma possiamo dire che sono spaventati.
Noi siamo un gruppo di nove combattenti.Il più giovane Resho è di Afrin.Ha combattuto a Tal Abyad è si unito a noi.Alan è di Qamishlo,la zona migliore,ha combattuto a Sere Kaniye e poi si è unito a noi.Ha qualche cicatrice sul suo corpo.Ci ha detto che sono per Avin.Il più vecchio è Dersim, viene dalle montagne di Kandil e sua moglie ha subito il martirio a Diyarbekir e lo ha lasciato con 2 bambini.
Siamo in una casa alla periferia di Kobani.Non sappiamo molto dei suoi proprietari.Ci sono foto di un uomo anziano e una di un giovane uomo con un nastro nero, un martire …C’è una foto di Qazi Mohamad, Mulla Mustafa Barzani, Apo,e una vecchia mappa ottomana che cita il nome Kurdistan.
Non abbiamo avuto il caffè per un po‘, abbiamo scoperto che la vita è bella anche senza caffè. Onestamente non ho mai avuto un caffè buono come il vostro mamma. Siamo qui per difendere una città pacifica. Non abbiamo mai preso parte nell’uccisione di nessuno,invece abbiamo ospitato molti feriti e rifugiati dei nostri fratelli siriani. Stiamo difendendo una città musulmana che ha decine di moschee. Le stiamo difendendo da forze barbare.
Mamma, io vi verrò a trovare una volta che questa sporca guerra ,che è stata costretta su di noi, è finita.Io sarò lì con il mio amico Dersim che andrà a Diyarbekir per incontrare i suoi figli.A noi tutti manca casa e vogliamo tornare,ma questa guerra non sa cosa significa mancare.
Forse non tornerò madre.Allora sii certa che ho sognato di vederti per così tanto tempo ma io non sono stata fortunata.
So che visiterete Kobani un giorno e cercherete la casa che ha visto i miei ultimi giorni …è sul lato est di Kobani. parte di essa è danneggiata,ha una porta verde che ha molti buchi da colpi da cecchino e vedrete 3 finestre,uno sul lato est, vedrete il mio nome scritto in inchiostro rosso …
Dietro quella finestra madre, ho aspettato contando i miei ultimi momenti, guardando la luce del sole mentre penetrava nella mia stanza dai fori di proiettile in quella finestra ..
Dietro quella finestra, Azad ha cantato la sua ultima canzone su sua madre, aveva una bella voce quando diceva “mamma mi manchi”.
MAMMA MI MANCHI Tua figlia, Narin

mercoledì 8 ottobre 2014

Kobanê è sola?

Pubblichiamo con piacere questo contributo di Sandro Mezzadra apparso su Euronomade che, oltre a inquadrare con lucidità la genealogia della resistenza che si sta portando avanti a Kobanê, dà anche una prospettiva di mobilitazione europea. Un movimento contro la guerra può essere ricompositivo e trasversale a tutto il continente nel momento in cui si posiziona contro i motivi del conflitto, trovando un filo conduttore con la straordinaria esperienza della Rojava: una nuova forma di vita comunitaria basata sull'autogoverno inconciliabile con la guerra stessa. Contrapporsi allo scontro armato non vuol dire vedere ogni sua componente in modo indifferenziato: significa scendere in piazza perché si crede che l'autogoverno, l'inclusività della cittadinanza oltre i nazionalismi, l'uguaglianza reale di diritti e decisionale sia una condizione necessaria alla cessazione della guerra. Questo è ciò che impariamo dalla grandiosa lotta dei e delle curdi/e. Buona lettura.

Nei giorni scorsi, H&M ha lanciato per l’autunno una linea di capi d’abbigliamento femminili chiaramente ispirata alla tenuta delle guerrigliere curde le cui immagini sono circolate nei media di tutto il mondo. Più o meno nelle stesse ore, le forze di sicurezza turche caricavano i curdi che, sul confine con la Siria, esprimevano la propria solidarietà a Kobanê, che da settimane resiste all’assedio dello Stato islamico (IS). Quel confine che nei mesi scorsi è stato così poroso per i miliziani jihadisti oggi è ermeticamente chiuso per i combattenti del PKK, che premono per raggiungere Kobanê. E la città curda siriana è sola davanti all’avanzata dell’IS. A difenderla un pugno di guerriglieri e guerrigliere delle forze popolari di autodifesa (YPG/YPJ), armati di kalashnikov di fronte ai mezzi corazzati e all’artiglieria pesante dell’IS. Gli interventi della “coalizione anti-terrorismo” a guida americana sono stati – almeno fino a ieri – sporadici e del tutto inefficaci. Già qualche bandiera nera sventola su Kobanê.

Ma chi sono i guerriglieri e le guerrigliere delle YPG/YPJ? Qui da noi i media li chiamano spesso peshmerga, termine che evidentemente piace per il suo “esotismo”. Peccato che i peshmerga siano i membri delle milizie del KDP (Partito Democratico del Kurdistan) di Barzani, capo del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno: ovvero di quelle milizie che hanno abbandonato le loro posizioni attorno a Sinjar, all’inizio di agosto, lasciando campo libero all’IS e mettendo a repentaglio le vite di migliaia di yazidi e di appartenenti ad altre minoranze religiose. Sono state le unità di combattimento del PKK e delle YPG/YPJ a varcare i confini e a intervenire con formidabile efficacia, proseguendo la lotta che da mesi conducono contro il fascismo dello Stato islamico.

kobaneSì, perché è pur vero che l’IS è stato “inventato” e favorito da emirati, petromonarchie, turchi e americani: ma sul terreno non è altro che fascismo. Ce lo ricorda l’ultima pallottola con cui si è uccisa l’altro giorno a Kobanê la diciannovenne Ceylan Ozalp, pur di non cadere nelle mani degli aguzzini dell’IS. Qualcuno l’ha chiamata kamikaze: ma come non vedere il nesso tra quella pallottola (tra quell’estremo gesto di libertà) e la pastiglia di cianuro che, dall’Italia all’Algeria e all’Argentina, hanno portato in tasca generazioni di partigiani e combattenti contro il fascismo e il colonialismo?

E come non vedere le ragioni per cui l’IS ha concentrato le proprie forze su Kobanê? La città è il centro di uno dei tre cantoni (gli altri due sono Afrin e Cizre) che si sono costituiti in “regioni autonome democratiche” di una confederazione di “curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni”, come recita il preambolo della straordinaria Carta della Rojova (come si chiama il Kurdistan occidentale o siriano). È un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di “ricerca di un equilibrio ecologico”. Nella Rojova il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora: coerentemente con la svolta anti-nazionalista del PKK di Öcalan, a cui le YPG/YPJ sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo curdo. E questo nel Medio Oriente di oggi, dove per ragioni confessionali o etniche semplicemente si scanna e si è scannati.

Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’YPG/YPJ, che non è difficile trovare in rete, per capire che questi ragazzi e queste ragazze, questi uomini e queste donne hanno preso le armi per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare. È facile allora capire le ragioni dell’offensiva dell’IS contro Kobanê. Ma è facile anche capire perché non intervengano a sua difesa i turchi, colonna della NATO nella regione, e perché sia così “timido” l’appoggio della “coalizione anti-terrorismo”. Vi immaginate che cosa possono pensare gli emiri del Golfo dell’esperimento della Rojova e del principio della parità di genere? E gli americani, gli “occidentali”? Be’, le ragazze che sorridono con il kalashnikov in mano saranno pure glamour, ma per gli USA e per la UE il PKK è pur sempre un’organizzazione “terroristica”, il cui leader è stato consegnato alle galere turche dall’astuzia della “volpe del tavoliere” (Massimo D’Alema, per chi non ricordasse). E d’altronde: non è nato come organizzazione marxista-leninista, il PKK? Dunque, si tratta pur sempre di comunisti.

YGPE allora? Dovremmo essere noi a rivendicare quel comunismo, a scendere in strada e a schierarci a difesa di Kobanê e della Rojova. A reinventare a partire da qui, del tutto materialmente, l’opposizione alla guerra. Nella Rojova dobbiamo riconoscere le connessioni con la nostra storia più recente, dobbiamo essere in grado di ascoltare gli echi di Seattle, di Genova, dello zapatismo. Perché questi echi ci sono. E dobbiamo soprattutto vedere che se c’è un filo di continuità che si dipana dalle rivolte nel Maghreb e nel Mashreq del 2011, passando attraverso il 15M spagnolo e occupy, le sollevazioni brasiliane e turche dello scorso anno, quel filo oggi passa per le strade di Kobanê e della Rojova.

La guerra lambisce oggi i confini dell’Europa, entra nelle nostre città attraverso i movimenti di donne e uomini in fuga, quando non restano sui fondali del Mediterraneo. Ma, dentro la crisi, la guerra minaccia anche di saldarsi con l’irrigidimento dei rapporti sociali e con il governo autoritario della povertà. Guerra e crisi: non è un binomio nuovo. Ma nuove sono le forme con cui si presenta: nella relativa crisi dell’egemonia statunitense, che costituisce un tratto saliente di questa fase della globalizzazione, la guerra dispiega la propria violenza “destituente” senza che all’orizzonte si profilino scenari realistici – fossero pure a noi avversi – di “ricostruzione”. Le vicende della “coalizione anti-terrorismo” sono una plastica illustrazione di questa impasse.

Rompere l’impasse è una condizione necessaria perché le stesse lotte contro l’austerity in Europa abbiano successo. Ed è possibile soltanto affermando in modo del tutto materiale principi di organizzazione della vita e rapporti sociali radicalmente inconciliabili con le ragioni della guerra: è per questo che l’esperienza della Rojova assume per noi caratteri esemplari. Mentre a Kobanê si combatte casa per casa, migliaia di persone manifestano a Istanbul e in altre città turche, scontrandosi con la polizia, e centinaia di curdi hanno fatto irruzione nel Parlamento europeo di Bruxelles. Si sente spesso dire che chi parla di un’azione politica a livello europeo pecca d’astrazione. Ma provate a immaginare quale sarebbe la situazione in questi giorni se a fianco dei curdi ci fosse un movimento europeo contro la guerra, capace di una mobilitazione analoga a quella del 2013 contro l’attacco all’Iraq ma finalmente con un interlocutore sul terreno! Non ve ne sono le condizioni? Ragion di più per impegnarsi a costruirle. È un sogno? Qualcuno diceva che per vincere bisogna sognare.

Notizie da Kobani

7 ottobre 2014
Nei quartieri a est di Kobanê sono in corso intensi e violenti scontri tra le bande di ISIS che stanno compiendo attacchi intensificati contro Kobanê e le forze delle YPG che resistono eroicamente agli attacchi. Anche gli attacchi di ISIS dal fronte sud incontrano una forte resistenza da parte delle YPG.
La storica resistenza di Kobanê contro gli attacchi delle bande continua eroicamente per il 22° giorno. Secondo informazioni da un reporter di ANHA sul posto, gli attacchi di ISIS che entrava nei quartieri a est di Kobanê sono proseguiti per tutta la notte. Rispondendo con forza agli attacchi, i combattenti delle YPG hanno inflitto gravi perdite alle bande. Mentre dagli attacchi non hanno ottenuto risultati, le bande hanno avuto dozzine di perdite.
Violenti scontri hanno avuto luogo sui fronti sud, est e ovest della città per tutta la notte. Mentre non è stato chiarito l’esatto numero delle perdite subite dalle bande, viene riferito che gli scontri nelle prime ore del mattino si sono intensificati sui fronti a est e a sud.

Il sacrificio di Arîn Mirkan, la linea della resistenza delle YPG

6 ottobre 2014
Il centro stampa delle YPG (Unità di Difesa del Popolo) ha rilasciato una dichiarazione sugli ultimi scontri a sud e a est di Kobanê, in cui si afferma che ci sono stati combattimenti corpo a corpo in 50 punti. Ha anche annunciato che una donna combattente, Arîn Mirkan, ha condotto un attacco suicida a Miştenur. Le YPG hanno affermato che 74 componenti delle bande [di ISIS] sono stati uccisi e che anche 15 combattenti [delle YPG] hanno perso la vita nel corso di scontri.
Le YPG hanno anche fornito dettagli sull’identità della combattente della YPJ Arîn Mîrkan che si è sacrificata in un attacco contro postazioni delle bande a Miştenur.
Combattimenti corpo a corpo in 50 punti
Le YPG hanno riferito che “Le nostre forze stanno continuando a resistere agli attacchi delle bande [di ISIS] contro Kobanê, che sono ora al 20° giorno. Dalla prima mattina di oggi ci sono stati combattimenti corpo a corpo nelle zone di Megtel e Botan nel sud e nell’est della città. Abbiamo accertato che 74 componenti delle bande [di ISIS] sono stati uccisi in questi scontri.”
Sono morti 15 combattenti delle YPG/YPJ
La dichiarazione afferma che 15 combattenti delle YPG/YPJ sono morti eroicamente resistendo agli attacchi delle bande [di ISIS] contro Kobanê
Il sacrificio di Arîn Mirkan, la linea della resistenza delle YPG
“La compagna Arîn, una delle 15 nostre compagne e compagni caduti, ha condotto un’azione contro le bande [di ISIS] sacrificando la sua vita. Con questa azione ha ucciso dozzine di componenti delle bande [di ISIS] e dato prova della determinazione della resistenza delleYPG e YPJ. Se necessario, tutti i/e le combattenti delle YPG e YPJ seguiranno il suo esempio e alle bande [di ISIS] non verrà permesso di raggiungere il loro obiettivo di conquistare”, hanno sottolineato le YPG e fornito i seguenti dati sull’identità della combattente delle YPJ:
Nome di battaglia: Arîn Mîrkan
Nome e Cognome: Dilar Gencxemîs
Nome della madre: Wahîde
Nome del padre: Şûkrû
Luogo di nascita: Afrîn
Caduta il: 5 ottobre 2014 a Kobanê.

Salih Muslim:Chi ha intenzione di agire deve agire ora

6 ottobre 2014
Il co-presidente del PYD Salih Muslim ha richiamato l’attenzione sull’intensificarsi degli attacchi a Kobanê, dicendo:”chi ha intenzione di agire dovrebbe farlo ora.Che il nostro popolo si sollevi adesso ovunque.”Muslim ha aggiunto che hanno informato tutti gli organismi internazionali sugli attacchi a Kobanê,e che sono rimasti in silenzio,chiedendo alle forze internazionali un intervento urgente.
Il co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD) Salih Muslim ha riferito ad ANF che gli attacchi delle bande di ISIS stavano continuando e che c’erano scontri nei quartieri esterni della città. Muslim ha aggiunto :”Le YPG e le YPJ e la popolazione di Kobanê stanno sostenendo una grande resistenza.Tutti devono vederlo e dimostrare solidarietà”.
Salih Muslim ricorda che il popolo curdo sta fronteggiando il massacro aggiungendo:”Il mondo è rimasto in silenzio come se in collaborazione con questi massacri.Tutto sta avendo luogo di fonte a loro,ma non fanno niente.Vogliamo armi,ma non vogliono nemmeno vendercele”.
I curdi dovrebbero insorgere ovunque
Salih Muslim ha anche condannato lo stato turco per aver attaccato le popolazioni che aspettano al confine, affermando:La gente preoccupata per i loro parenti è andata al confine.Li hanno attaccati con gas lacrimogeni.I razzi di ISIS cadono su questo lato,ma loro collaborano ancora con ISIS.
Il co-presidente del PYD ha aggiunto che hanno informato tutti gli organismi internazionali sugli attacchi a Kobanê, dicendo:”Dicono che abbiamo ragione ma non dicono nulla.Gli Stati Uniti hanno bombardato alcune posizioni attorno a Kobanê,ma non è sufficiente.Se gli Stati Uniti erano seri potevano respingerli in breve tempo”.
Salih Muslim ha chiesto al popolo curdo di intensificare le proprie azioni,aggiungendo:”chi ha intenzione di agire dovrebbe farlo ora.Che il nostro popolo si sollevi adesso ovunque”.