venerdì 13 gennaio 2012

Nuovi arresti e perquisizioni

Dalle prime ore di questa mattina sono in corso perquisizioni domiciliari e incursioni di polizia ad Ankara, Istanbul, Mersin, Batman, Diyarbakir, Siirt, Van, Urfa, Adana, Agri e Mardin. L'operazione ha preso di mira il BDP (Partito della Pace e la Democrazia) e il KESK (Unione nazionale per l'occupazione). E 'stato confermato che l'ex co-presidente del BDP di Van Fatma Kurtulan è stata arrestata, così come molte altre persone la cui identità non è ancora nota. A Urfa varie perquisizioni sono state effettuate anche presso l'edificio principale del BDP, dell'associazione Kurdi-DER e nelle case di politici del BDP. A Istanbul la polizia ha perquisito la casa del presidente del BDP Zekiye İlbasan, che è stato preso in custodia. A Mersin e Siirt le perquisizioni sono ancora in corso. Ad Ankara la polizia ha fatto irruzione nel edificio dove a sede il sindacato KESK. Tra le case perquisite risulta anche quella del giornalista dell'agenzia DIHA Murat Çiftçi. 
fonte : ANF

lunedì 9 gennaio 2012

Scontri a Cudi

8 Gennaio 2012: Pesanti scontri e uso di armi chimiche segnalate sui monti Cudi.

Il BDP chiama la popolazione a recarsi nell’area degli scontri.


Da ieri la regione di Sirnak è stata caratterizzata da una massiccia presenza militare e nella giornata odierna sono stati segnalati numerosi scontri nell' area di Cudi. Un ingente numero di veicoli militari ed elicotteri è stato inviato nella zona delle operazione e si riportano scontri e caduti. Un intensificarsi delle azioni militari è stato segnalato anche nella regione di Besta.
L’ Iniziativa Popolare del Kurdistan, ha invitato la gente di Botan ad agire come scudi umani, implementando la resistenza e le azioni di protesta nella zona, per proteggere i guerriglieri e per porre fine al massacro del popolo curdo.
In una dichiarazione in merito alle operazioni in corso, Selahattin Demirtas Co-presidente del BDP, ha messo in evidenza che fonti locali denunciano l’uso di armi chimiche negli scontri sui monti Cudi.
Demirtas ha esortato gli abitanti di Botan a ribellarsi contro le politiche di guerra nella zona delle operazione. "Il nostro popolo soffre per le morti provocate da questi atti. Le azioni democratiche del popolo sono quindi il modo più efficace per porre fine a questi strazi ", ha ribadito poi, l’intenzione del BDP di essere pronto a protestare per porre fine alla guerra e alle azioni militari attualmente in corso.

fonte : ANF ​​News Agency

giovedì 5 gennaio 2012

Rapporto sul massacro di Uludere

A seguito di un esteso sopralluogo ad Uludere, una delegazione composta dalle associazioni MAZLUMDER, IHD, CHD, TIHV, KESK, TTB e membri del sindacato DISK ha rilasciato una dichiarazione congiunta sul massacro di Roboski. La dichiarazione delle organizzazioni stabilisce che a Roboski è avvenuto un massacro in cui sono stati uccisi 35 civili, si tratta di "una esecuzione extragiudiziale e una strage di massa considerando il numero delle persone uccise." Sulla base delle dichiarazioni di testimoni oculari, il rapporto contraddice le accuse da parte dei funzionari turchi e sottolinea che il gruppo non era stato avvertito di "fermarsi" prima del bombardamento. E' stato anche rilevato che nessuna delle persone del gruppo stava trasportando armi, né ha risposto ai soldati prima del bombardamento. Parlando a nome della delegazione, il presidente dell'IHD (associazione per i diritti umani) Öztürk Türkdoğan ha sottolineato che l'autopsia sui corpi è stata superficiale e che la delegazione ha stabilito che "alcuni dei corpi sono stati bruciati e i loro organi interni strappati." Türkdoğan ha anche fatto notare l'elevata potenza distruttiva delle munizioni utilizzate nei bombardamenti e ha dichiarato che queste persone erano coinvolte nel commercio transfrontaliero da molti anni e le autorità militari della regione ne erano a conoscenza. La dichiarazione della delegazione ha ricordato anche le testimonianze su alcuni feriti morti per il freddo e la mancanza di cure mediche a causa del divieto di entrare nella zona del massacro imposto ad ambulanze e agli ufficiali sanitari.
fonte : Firat News

domenica 1 gennaio 2012

La Turchia "modello" fa strage di civili kurdi.

Mercoledì notte F-16 dell’aviazione turca e droni senza pilota (l’ultimo acquisto delle forze armate di Ankara) hanno bombardato i dintorni di un villaggio chiamato Roboski (Ortasu in turco) al confine con l’Iraq. Raccontano i testimoni di aver sentito un odore acre di bruciato, di carne bruciata. Gli abitanti di Roboski sono accorsi subito sul luogo, nonostante la neve. Sicuri di quello che avrebbero trovato. Di fronte a loro i corpi mutilati di decine di giovani e uomini, animali sventrati. Racconta al telefono un giornalista kurdo dell’agenzia Diha di aver sentito un urlo squarciare il silenzio tetro di quella visione: una mamma disperata in cerca dei suoi due figli. Morti entrambi in quel bombardamento. Quel giornalista è uno dei pochi scampati al carcere nell’ultima offensiva delle autorità turche che hanno, in 24 ore, arrestato 49 giornalisti kurdi e di sinistra. Scomodi testimoni della guerra sporca condotta contro i kurdi sia con le armi che con il carcere e la repressione. Scomodi testimoni anche di quest’ultimo massacro.

Le foto dei corpi avvolti nelle coperte delle vittime di Roboski stanno facendo – lentamente – il giro del mondo. E intanto si cominciano a conoscere le biografie di questi uomini che le forze armate turche hanno «scambiato per terroristi».

Zahide Encu è la madre di Aslan, 12 anni, ucciso nei bombardamenti di mercoledì notte. «Il mio figlio maggiore – racconta – è rimasto ferito camminando su una mina. Ha perso una gamba. Aslan comprava e vendeva cose di contrabbando al confine anche per racimolare i soldi per una protesi per suo fratello. Me l’hanno ammazzato», grida, la voce si perde in un lamento che fa venire i brividi. Aslan era andato a comprare al mercato nero della frontiera due taniche di benzina per rivenderle. «Il contrabbando – dice Halit Encu, parente di Aslan – è l’unica fonte di guadagno che abbiamo». Il contrabbando, la frontiera. Storie che si incrociano, storie di miseria, guerra, fame. Le abbiamo viste al cinema, nel film pluripremiato del regista iraniano Bahman Ghobadi. Il tempo dei cavalli ubriachi. Raccontava queste storie il regista kurdo di Adana Yilmaz Guney, negli anni ‘60. Non è cambiato molto alla frontiera kurda. La gente cerca di sopravvivere ma ha un nuovo nemico, la guerra. Una guerra voluta da Ankara che non accetta di riconoscere non solo l’esistenza del popolo kurdo, ma nemmeno le sue sofferenze. Il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) ha negli anni proposto, attraverso cessate il fuoco unilaterali, alternative al conflitto. Ma ha incontrato solo silenzio e porte chiuse. Lo stesso vale per il Bdp (Partito della pace e della democrazia) che ha eletto 36 deputati al parlamento turco lo scorso 12 giugno. Un deputato (Hatip Dicle) è stato privato del suo mandato e si trova in carcere come altri cinque parlamentari in carica ma dietro le sbarre. L’offensiva del governo dell’Akp (che significa, ironia della sorte, partito della giustizia e sviluppo) guidato da Recep Tayyip Erdogan (uomo con il mito di se stesso, non a caso grande amico del nostrano Silvio Berlusconi) ha raggiunto livelli molto alti in questi ultimi mesi. In carcere sono finiti migliaia di kurdi e oppositori di sinistra: amministratori locali, intellettuali, studenti, sindacalisti, donne, avvocati, giornalisti. Tutti rei, secondo il teorema Erdogan, di essere membri o sostenitori del Pkk.

Risulta difficile capire se il premier turco abbia in mente di eliminare (sbattendoli in galera o uccidendoli) i 20 milioni di kurdi che vivono in Turchia. Le ultime operazioni militari e di polizia inducono a pensare che qualcosa sia sfuggito di mano a Erdogan. Oppure, grazie al colpevole silenzio dell’occidente, davvero Ankara pensa di risolvere così la questione kurda. Cosa evidentemente impossibile. Ma è chiaro che, consapevole di questo, Erdogan ha intenzione di indebolire più che può l’opposizione kurda e di sinistra. Che qualcosa stia sfuggendo di mano al premier lo dimostrano le schizofreniche dichiarazioni dei suoi ministri. Per un vice premier (Bulent Arinç) che annuncia un nuovo pacchetto di «riforme» che prevede tra l’altro di depenalizzare (sì perché adesso è reato e si finisce in galera per apologia di terrorismo) l’uso del titolo «signor» per parlare del leader del Pkk Abdullah Ocalan, ecco il ministro degli interni Idris Naim Sahin dichiarare che «il terrorismo il Pkk lo fa anche con pennelli, penne, fotografie, musica, arte e cultura». Dichiarazioni che si fermano sulla soglia del dichiarare che il Bdp è parte del Pkk. Così come parte del Pkk sarebbero gli elettori del Bdp e per estensione i kurdi, compresi i 35 civili uccisi mercoledì notte. Nena News

Questo articolo e’ stato pubblicato il 30 dicembre 2011 dal quotidiano Il Manifesto