sabato 28 marzo 2015

In memoria delle vittime del Newroz di Hasakah

Le Unità di difesa del popolo e le unità di difesa delle donne (YPG-YPJ) hanno lanciato un’operazione militare in memoria delle persone che hanno perso la vita negli attentati di ISIS ad Hasakah durante le celebrazioni del Newroz.
L’operazione, che è stata lanciata nell’ambito delle operazioni avviate per ripulire l’intera regione di Kobanê dalle bande di ISIS è segnalata per essere stata un successo, con cinque membri delle bande morti. Le YPG hanno anche riferito che sono stati presi i cadaveri di 27 membri delle bande negli scontri delle ultime 24 ore, oltre a una grande quantità di munizioni.
Secondo una dichiarazione rilasciata dall’Ufficio Stampa delle YPG, le forze delle YPG/YPJ hanno lanciato un’operazione contro le bande di ISIS in memoria dei martiri di Hasakah, uccisi in attentati dinamitardi da parte delle bande nelle celebrazioni del Newroz a Hasakah. Circondando le bande piazzate nel villaggio di Horik, a sud-est di Kobanê, le forze delle YPG/YPJ hanno compiuto attacchi contro le bande, uccidendo 5 di loro e distruggendo 2 veicoli.
Le YPG hanno inoltre riferito che i villaggi di Qazan, Baxe, Til Xemir e la collina di Derfilik sono stati liberati dalle bande, mentre le strade per i villaggi di Xerabeşk e Çelebi a sud est di Kobanê, che hanno un’importanza strategica per la difesa, sono state prese sotto il controllo delle forze YPG/YPJ.
Le YPG hanno anche detto che i cadaveri di 27 membri delle bande sono stati presi durante gli scontri delle ultime 24 ore, oltre a grandi quantità di munizioni.
Le YPG hanno concluso la loro dichiarazione ribadendo che le operazioni delle forze YPG/YPJ proseguono su tutti e tre i lati di Kobanê.
24 marzo 2015
ANF/Kobane

giovedì 26 marzo 2015

Newroz a Diyarbakir

Diyarbakir (Turchia), 24 marzo 2015, Nena News - “Biji Biji Kobane, Viva Viva Kobane”: questo lo slogan intonato a gran voce dalle oltre un milione di persone presenti il 21 marzo 2015 al Newroz di Diyarbakir (Amed in lingua curda), il saluto alla primavera, la più importante festività kurda.
Un momento di celebrazione vietato dal governo di Ankara fino all’anno 2000; ancora oggi seppur ormai legalizzato, viene spesso represso o osteggiato in varie forme. Quando si tenta di reprimere un popolo la prima cosa su cui si agisce è la sua felicità: in questo giorno dai colori sgargianti verde, giallo e rosso l’identità kurda si esprime al suo massimo livello, cosi la volontà di resistere e di andare avanti.
Nonostante la forte pioggia i discorsi si alternano a musiche e balli, gli applausi si mescolano al segno di vittoria fatto con la mano. “Questo è un Newroz di resistenza – inizia così Asia Abdullah, co-presidente del PYD, il Partito dell’unione Democratica del Rojava, qui appositamente da uno dei cantoni kurdi presenti in Siria – Nessun potere può indebolire il fuoco del Newroz” continua, riferendosi ai due sanguinosi attacchi terroristici avvenuti proprio il giorno prima al Newroz di Hesekê nel cantone Cizirê del Rojava, dove due autobombe hanno lasciato 20 morti e 70 feriti.
Secondo l’osservatorio per i diritti umani della Siria oltre ai due veicoli vi è stata una terza esplosione nel quartiere di Al-Mufti causata da un kamikaze dell’Isis. Le gang del califfato di  Al-Baghdadi avevano già minacciato i kurdi di trasformare in un bagno di sangue la loro festività principale.
“Biji Biji kobane,Viva Viva Kobane” viene scandito nuovamente in segno di resistenza. Infine, quando la lettera di Ocalan, il leader kurdo per antonomasia, giunge dal carcere Imrali dove è detenuto dallo stato turco fin dalla sua cattura avvenuta nel 1999, il boato fra della folla è immenso. Il messaggio viene letto emblematicamente sia in curdo che in turco e tra i vari punti recita come le “guerre di identità insensate e spietate” sono il risultato della “crisi neo-liberale causata dal capitalismo imperialista e dai suoi collaboratori a livello locale”.
Ribadisce inoltre la linea tenuta dal 2013, sempre annunciata durante un Newroz : “Riteniamo che sia necessario che il Pkk convochi un congresso straordinario per mettere fine a 40 anni di conflitto armato con la Repubblica di Turchia e per adeguarsi allo spirito di questa nuova era”.
La folla si perde all’orizzonte, le bandiere sfuggono alle moltitudini, il volto del loro leader, le effigi dei due principali gruppi combattenti in Siria YPG e YPJ, il simbolo dell’associazione per le donne e molti altri, non si contano davvero più. Nena New
*Osservatore internazionale, delegazione Italiana Newroz 2015 – Diyarbakir (Amed)
 http://nena-news.it/videofoto-un-milione-di-kurdi-festeggiano-il-newroz-e-la-lotta-di-liberazione/

mercoledì 25 marzo 2015

Il genocidio degli Yazidi e la solidarietà del PKK

Diyarbakir (Turchia), 20 marzo 2015, Nena News – Nel giorno e nelle ore in cui l’alto commissariato Onu per i diritti umani accusa Daesh (acronomo arabo per Isis) di aver compiuto un efferato genocidio contro l’indifesa popolazione degli yazidi, popolo di origine sincretica presente secolarmente sul territorio mesopotamico, la delegazione italiana di Osservatori Internazionali per il Newroz 2015 – Diyarbakir si trova proprio di fronte ai cancelli di un campo profughi Yazid. Sono profughi dei monti del Gebel Singiār (Iraq) e il campo rappresenta un esempio tangibile della fuga dal massacro, a quelli che si possono definire, già oggi, i sopravvissuti.
Un signore dallo sguardo sofferto ma ancora ospitale ci racconta la sua storia, emblema di molte altre che abbiamo ascoltato, compreso e condiviso, con la mente attenta e il cuore solidale: “Ringraziamo il Pkk perché se non fosse per loro (del popolo degli Yazidi) non ne sarebbe sopravvissuto neanche uno”.
La comunità internazionale si trova di fronte ad un genocidio ancora in corso, ancora vivido, ancora disperatamente presente in questi giorni.
I kurdi combattenti, diramazione del partito clandestino Pkk, sono i soli ad aver aiutato la popolazione degli yazidi, ad aver garantito loro una via di fuga conquistata con il sangue ed il sudore, per poi ospitare i sopravvissuti in un evidente coerenza solidale in quella che è considerata da molti la capitale del Kurdistan Turco: Diyarbakir. Nena News
*Osservatore internazionale, delegazione Italiana Newroz 2015 – Diyarbakir (Amed)

sabato 21 marzo 2015

Notizie da Amed

Le visite della delegazione italiana si sono spostate verso Est nella provincia di BATMAN a 90 km ad Est di Diyarbakyr.
Chiamateli EZIDI, non YEZIDI !
Dopo un violento acquazzone arriviamo al Campo “Ugurku Village” di Besiri a nord di Batman, dove l’amministratore del campo ci accoglie nella tenda all’ingresso, presto affollata di ragazzi incuriositi.
E’ la seconda volta che visitiamo un campo di rifugiati EZIDI, dopo quello alle porte di Diyarbakyr.
Il campo ospita una comunità circa 1000 persone giunte qui a metà settembre, dopo un lungo viaggio che li ha portati da Shengal (e solo in parte da Mosul), passando la frontiera tra Iraq e Turchia il 26 Agosto 2014 presso Robosky. Hanno scelto Besiri perché nella zona sono già presenti 3 villaggi fondati dopo precedenti esodi che caratterizzano la storia di questo popolo perseguitato da centinaia di anni. Paradossalmente qui si sono sentiti subito accolti dalla comunità locale. Una persona del luogo di stesse origini, ha messo a disposizione il terreno su cui sorge la distesa di tende.
La Municipalità di Batman e i “compagni”, come li chiama, hanno poi fatto trovare loro tutto già predisposto: le tende, i servizi igienici, l’ambulatorio, la scuola, le cucine per ogni tenda, che permette loro una certa autonomia. Anche qui, come nell’altro campo di Diarbakir, vengono visitati settimanalmente da medici volontari e solo per le emergenze ricorrono all’ospedale. La discriminazione nei loro confronti è tale che molti medici turchi si rifiutano di visitarli o dar loro medicine. Il supporto sanitario quindi, nei casi più gravi passa per la rete di solidarietà organizzata dalla municipalità che da loro anche un certo sostegno economico. Denunciano che il Turco invia fondi solo per i profughi siriani e mentre le organizzazioni internazionali si sono attivate per aprire corridoi umanitari per mettere in salvo i cristiani, per loro si profilano lunghe attese. Anche nella condizione di rifugiati sono considerati di “secondo grado”.
Alcuni di loro sono riusciti ad ottenere agli uffici di Ankara, e a proprie spese, il tesserino di “extra comunitario”, che non ha nessun valore giuridico, permette loro di essere almeno riconosciuti in caso di fermo. Per il resto viene confermata la storia raccontataci nel Campo “Shengal” : Per ottenere lo status di rifugiato, le prefettura fissano appuntamenti a 3/7 anni. Nonostante la condizione di clandestinità e grazie alla solidarietà delle organizzazioni Kurde ( “del Partito”) si sentono paradossalmente a casa propria. Nessuno di loro tornerebbe a Shengal. “Impossibile vivere in una terra di arabi musulmani che hanno compiuto tante atrocità”. E’ qui che ritornano i racconti delle atrocità vissute nei secoli passati fino al regime di Saddam Hussein. All’epoca nessuno di loro, pur in possesso di un titolo di studio, poteva accedere ad alcuna carica amministrativa, politica, pur essendo ben 800.000 persone. Le proprie comunità erano abbandonate senza servizi ed assistenza e molte persone sono morte ben prima dell’attacco finale dell’ISIS.
Ci confermano che i primi attacchi avvennero dagli abitanti sunniti dei villaggi vicini a SHENGAL, che si sono uniti ai “barbari” al loro arrivo. Gli americani lasciarono al zona 5 anni prima, lasciandola in mano a gruppi che appartenevano alla forza militare sunnita di Saddam Hussein. Molti ufficiali del vecchio esercito iracheno sono infatti confluiti nelle file di Isis e la sola differenza fra prima e dopo è che ora le torture e le uccisioni e vengono divulgate in tv.
Nella zona di Shengal c’erano invece i Peshmerga, esercito federale curdo che, nonostante un buon armamento pesante ha abbandonato il territorio, lasciandoli di fatto soli. Anche prima della offensiva ISIS l’unico supporto proveniva dalla popolazione kurda, non certo dal Governo Regionale di Barzani. L’arrivo dell’ISIS li fa piombare nel dramma e fa iniziare la loro fuga verso le montagne. Ci parlano di almeno 1.500 bambini sono caduti in mano all’Isis che li addestra a diventare assassini, Donne stuprate a decine ogni giorno e vendute al mercato per 100 dollari, seguendo un’antichissima tradizione araba. In tutto sono scomparse oltre 7.000 persone delle quali nonostante siamo nell’epoca della alta tecnologia non si sa più nulla. Ci racconta anche di un incredibile episodio in cui alle donne, separate dai loro figli per giorni, sono stati dati da mangiare i loro bambini. Sembra una storia ai limiti dell’impossibile.
E’ stato solo l’aiuto delle forze combattenti KURDE del PKK e del ROJAVA (YPG-YPJ) che molti di loro sono stati tratti in salvo. L’intervento militare (mentre la comunità internazionale guardava basita n.d.r.) ha permesso l’apertura di un corridoio umanitario che ha salvato la vita ad almeno 200.000 persone. Mentre si preparano a vivere una estate sotto il sole cocente nelle tende del campo, cominciano a rivendicare una terra per il loro futuro. E’ l’unica richiesta forte che ci fanno: aprire dei corridoi umanitari per permettere loro di trovare una terra, ovunque sia, dove possano vivere in pace, con la loro cultura, la loro religione e la loro identità, quella degli Ezidi, e non Yezidi, che è il termine dispregiativo con cui venivano indicati dagli iracheni che li accostavano agli YEZIZI, gli assassini del nipote di Maometto…un torto alla loro religione basata sulla non violenza e sul rispetto degli altri.
INCONTRO ALLA DIGA DI HASANKAYEF CHE CANCELLERA’ 12.000 ANNI DI STORIA
La resistenza del popolo curdo non si ferma solo all’affermazione dei propri diritti e alla realizzazione di quel progetto lanciato dal leader Ocalan di Confederalismo Democratico che garantirebbe a tutti pari dignità, ma riguarda anche la salvaguardia dell’ecosistema e dell’ambiente dalle politiche neoliberiste.
Per questo abbiamo incontrato gli attivisti dei partiti HDP e BDP che si battono contro la costruzione della diga di Hasankayef, nella provincia di Batman, a circa 90 km dalla città di Diyarbakir.
Il Movimento è composto da contadini e da tutti gli abitanti che non vogliono essere deportati in un’altra zona del territorio di Hasankayef dove saranno costretti a pagare profumatamente le nuove case costruite.
Hasankayef è una città che si trova sul fiume Tigri con una storia di oltre 12.000 anni che dovrebbe essere parte del patrimonio dell’UNESCO (visto che soddisfa i 10 criteri stabiliti) e che con la costruzione della diga sarebbe completamente sommersa, cancellando la sua storia e la sua natura.
Ma la diga, che serve per alimentare le centrali idroelettriche, sommergerà non solo Hasankayef ma anche altri 170 villaggi, stravolgendo la vita di oltre 170.000 persone. Il progetto è ormai in fase di completamento (siamo all’85%) , si trova a 77 km dalle rovine dell’antica città eavrà un bacino enorme di oltre 400 km2.
Il primo progetto venne inizialmente sostenuto da banche svizzere, austriache, tedesche che a seguito di una forte campagna internazionale furono costrette a ritirare i loro finanziamenti. Oggi è in mano a Banche Turche ( ma c’è anche l’interessamento di Unicredit) ha un costo di 20 miliardi di dollari e l”esecuzione dei lavori è stata affidata ad aziende turche .
La Turchia ha in progetto di realizzare 1500 centrali idroelettriche; questi progetti faraonici servono al governo turco per garantirsi in futuro una risorsa fondamentale come l’acqua e costruire la sua egemonia sul tutto il Medioriente. Da tempo il movimento contro la diga propone al governo turco di puntare sulle energie rinnovabili abbandonando per sempre questi grandi opere che devastano territori ricchi di storia.
“Qui in Mesopotamia nacque la civiltà è per questo che tutto il mondo si dovrebbe opporre a tale progetto”.
ASCOLTA LA CORRISPONDENZA A RADIO ONDA ROSSA
http://www.ondarossa.info/newsredazione/alla-vigilia-del-newroz
BATMAN – INCONTRO CON ASSOCIAZIONE delle FAMIGLIE DEI MARTIRI
Incontriamo Sukru Baytar, co-presidente della sede di Batman, aperta nel 2007, che conta circa 20 volontari. La sede centrale dell’associazione, diffusa in tutto il paese, si trova a Amet (Diyarbakir).
L’associazione segue le famiglie di circa 1.200 “martiri”, intendendo tutti coloro che sono morti sostenendo la lotta de popolo curdo. Quindi militanti del PKK ma anche del MLKP – il partito marxista leninista della Turchia che si è unito alla lotta dei curdi -; combattenti delle YPG, YPJ, YJstar (Unità di difesa delle donne)
L’associazione si occupa prevalentemente del sostegno psicologico, supporto nella gestione delle relazioni, aiutando nella ricerca di un impiego, mentre per il supporto economico c’è l’impegno delle municipalità
Non si fidano del processo di pace in corso né del Governo turco del rest quest’ultimo pur non esercitando violenze direttamente su di loro è sempre stato ostile alle associazioni curde, cercando di screditarle agli occhi della popolazione, impedendo il regolare svolgimento delle loro attività (ad esempio ostacolando il normale svolgimento dei cortei funebri cercando in ogni modo di farle chiudere.
E’ per tale motivo che cercano di stare vicini alle famiglie, spesso strette nella morsa della povertà, per tenerle aggiornate e collegate a tutto il movimento.
Riguardo alle persone scomparse, sono in collegamento con le Madri della pace, anche se hanno ruoli diversi. Dei 1200 martiri, circa 200 sono persone scomparse nella zona di Batman, in città e nei villaggi vicino, anche se il numero esatto non si conosce. Tuttora nella zona, in particolare nei cantoni di Sason, Haskif, Kozlig e Kercewse, si stanno continuando a trovare fosse comuni con decine di corpi, che non vengono denunciate al Governo per timore che questo “archivi il caso” indicandoli come resti di animali. Ma intanto si stanno attrezzando ad effettuare test del DNA, per costruire una vera e propria banca-dati che permetterà in futuro di dare riconoscimento a questi crimini, che si stanno perpetuando dagli anni 80 e sono proseguiti orientativamente fino ai primi anni del 2000.
La delegazione Italiana a Diyarbakir/Amed

Strage al Newroz di Hasake

20 marzo 2015
Almeno 35 persone sono morte e 70 sono rimaste ferite nei multipli attacchi alle celebrazioni del Newroz (nuovo anno curdo) nella città nel cantone di Cezira di Hasake, nel Rojava-Kurdistan occidentale (Siria settentrionale).
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani un IED (ordigno esplosivo improvvisato) è esploso nell’area delle celebrazioni del Newroz ad Hasake, e poi un sospetto membro di una banda ISIS si è fatto esplodere nel quartiere di Al-Mufti della stessa città, dove le celebrazioni del Newroz si svolgevano.
È stato riferito che molte persone gravemente ferite sono state condotte nei vicini ospedali e che è stato fatto un appello urgente per il sangue. Le bande di ISIS stanno minacciando di trasformare il Newroz in un bagno di sangue e oggi hanno decapitato tre combattenti peshmerga nel Kurdistan del sud, con il ricatto che se le celebrazioni del Newroz continueranno, bruceranno altri 21 peshmerga.
Reports continuano ad arrivare e il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare.
KQ News Desk

martedì 17 marzo 2015

Rojbas

Rojbas, siamo di partenza per la settimana in Kurdistan, come delegazione italiana. Andremo a Diyarbakir, Amed in Kurdo, per partecipare al più numeroso Newroz, si attendono 2 milioni di Kurdi. 
Assisteremo alle lettura della lettera di Ocalan e festeggeremo insieme ai compas. 
Saremo anche nei campi profughi di Amed e Suruc per incontrare le tante persone costrette a fuggire da Kobane e Singar, parleremo con gli esposnenti del partito filo kurdo e con gli attivisti per i diritti umani. Saremo in tantissimi , 136, ripartiti in 7 delegazioni. 
Ogni tanto leggeteci su questo blog o nel sito di uikionlus... 
Biji Kurdistan Nelly e i 17 della delegazione

lunedì 9 marzo 2015

Aiutaci a fare tornare a casa quattromila profughi di Kobane

A poco più di un mese dalla nascita della Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus, vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto la nostra associazione, che, così giovane, conta già quasi quattrocento soci. In queste settimane abbiamo collaborato con realtà di tutta Italia, impegnate nell’organizzazione di eventi, dibattiti e proiezioni, raccolte di farmaci, progetti a favore delle popolazioni civili colpite dalla guerra.
Entrando in contatto con associazioni e singoli, enti locali e aziende, dovunque abbiamo trovato una grande attenzione verso ciò che sta accadendo nel sud-ovest e nel sud del Kurdistan e verso l’emergenza umanitaria dei profughi di Kobanȇ e Șengal, unita a una grande voglia di portare solidarietà attiva alle popolazioni del Kurdistan che ormai da anni stanno resistendo ai brutali attacchi dell’ISIS.
Nelle prossime settimane una delegazione della nostra Onlus farà visita al campo profughi di Suruҫ per valutare di persona le iniziative più urgenti da mettere in campo nei mesi a venire.
I primi aiuti finanzieranno il rientro a Kobanȇ di circa 4mila persone che, fuggite durante i mesi dell’assedio, si trovano adesso a centinaia di chilometri da casa.
Il ritorno di queste famiglie nella loro terra e nelle loro case, il ritorno degli uomini e delle donne alle proprie attività e dei bambini e delle bambine alle proprie scuole, è uno dei tanti interventi necessari alla ricostruzione di Kobanȇ e alla creazione di un presente e di un futuro di pace e serenità per i suoi abitanti.
Solo per il trasporto servono 20mila euro: donando anche solo 5 euro, si consentirà a una persona di tornare finalmente a casa
Facciamo quindi appello a sostenere questo importante progetto, donando anche piccole quote tramite i riferimenti bancari e il link per la donazione on-line che trovate sul sito www.mezzalunarossakurdistan.org, indicando come causale “rientro dei profughi”.
La resistenza e la vittoria di Kobanȇ è stata una vittoria per l’umanità e sarà un esempio nella storia. Di fronte alla barbarie di ISIS, Kobanȇ si è sollevata per l’umanità. Ora, è tempo che l’umanità della comunità internazionale si sollevi per Kobanȇ.”

domenica 8 marzo 2015

Ocalan: la nostra rivoluzione è la rivoluzione delle donne

Messaggio di saluto per l’8 marzo del rappresentante del popolo curdo Abdullah Öcalan di quest’anno!
“Uguaglianza e libertà possono essere ottenute solo a partire dalla questione femminile. Per questo la nostra rivoluzione è una rivoluzione delle donne,” recita il messaggio del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan per l’8 marzo, Giornata Internazionale delle Donne.
Ceylan Bağrıyanık, Congresso delle Donne Libere (KJA, già DÖKH) componente della delegazione di İmralı, ha letto un messaggio del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan per l’8 marzo, Giornata Internazionale delle Donne. Leggendo il messaggio indirizzato alle donne, che già si sono raccolte nel villaggio di Mehser, al confine di Kobanê, Bağrıyanık ha riferito il seguente messaggio del leader curdo: “Le donne hanno aperto gli occhi verso una nuova vita e civilizzazione personificata a Kobanê nello spirito della resistenza di Arin Mirkan. Con questi sentimenti vi saluto con rispetto, donne coraggiose, e celebro la vostra Giornata Internazionale delle Donne.”
‘Un amore sociale e comunitario’
Öcalan ha sottolineato che vogliono incrementare la libertà delle donne, proseguendo come segue: “Ora tutto il mondo ha iniziato a vedere la resistenza delle donne e a rappresentare questa bellezza su riviste e giornali. È da qui che è cresciuta la passione per la libertà delle donne. Per questa realtà bisogna conoscere il Kurdistan e la sociologia dell’amore nella realtà curda. Non rinnego l’amore, l’affetto e la famiglia. La lealtà rispetto a questo è una lealtà nobile, ma non significa niente senza una vita libera. Ciò di cui parlo è un amore sociale e comunitario.”
‘La donna più bella è quella che conduce una vita libera’
Nel suo messaggio il leader curdo ha detto che la libertà delle donne è per lui la cosa più importante, sottolineando che per lui la donna più bella è quella che conduce una vita libera. Ha proseguito; “Nessuna bruttezza può essere disonorevole e disgustosa come unirsi e integrarsi con donne schiave e uomini dominanti. Nessuna unità e integrità potrebbe essere bella e giusta come vivere una vita libera con donne libere e la mascolinità liberata dal dominio. Ormai da 30 anni tutti i miei sostenitori più importanti sono le donne. Il mio dialogo e accordo con le donne è importante. Migliorerete il contratto sociale delle donne che devono combattere tutti i tipi di pratiche dal femminicidio alla circoncisione femminile e allo stupro. Va affrontato in modo approfondito. Non fidatevi degli uomini e distruggete il dogma maschile. Fidatevi della vostra femminilità. Uguaglianza e libertà possono essere ottenute solo a partire dalla questione femminile. Questa è la ragione perché la nostra rivoluzione è una rivoluzione delle donne.”
‘Senza donne non può esistere alcuna vita’
Evidenziando che non può esistere vita senza donne e nessuna etica e estetica senza libertà, il leader curdo ha detto: “Quella che chiamo etica delle donne è il potere delle donne di decidere. Accettare o permettere è inaccettabile per una donna. Le donne devono rivendicare di appartenere a loro stesse e a nessun altro, compresi i loro mariti, padri, fratelli o sorelle. Le donne devono essere se stesse e la formula per compiere questo è lavorare con passione, concentrarsi per illuminare l’oscurità.”
‘Non posso far parte di un paese dove le donne vengono uccise’
Sottolineando che il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta dicendo l’esatto opposto, Öcalan ha detto: “Sta parlando di tre figli e di sposarsi presto. Lo sta dicendo deliberatamente, come lo sto dicendo io. Le due prospettive si contrappongono. Vedremo chi vincerà, o lui o noi. La libertà delle donne è il primo articolo nei titoli della Risoluzione Democratica che ho evidenziato. Non lo capiscono, chiedendo ‘cosa c’entra questo con una risoluzione democratica?’ Io parlo in modo chiaro; la libertà delle donne ha un’evidente relazione con una risoluzione democratica. Come ho detto prima, non posso fare parte di un paese dove così tante donne vengono uccise. Il raggiungimento di una risoluzione dipende dallo stato della libertà. La condizione delle donne e la libertà per me sono fondamentali.”
‘Sono vostro compagno per la risoluzione’
Il messaggio di Öcalan prosegue; “So che le donne traggono forza da me e io mi identifico come vostro compagno per la risoluzione. La cultura del dominio maschile vecchia di cinquemila anni è una cultura dello stupro. Con le donne libere stiamo cercando di rivitalizzare la realtà delle donne, vecchia di novemila anni. Questa è la ragione per la quale il lavoro delle donne costituisce l’essenza di tutti i nostri sforzi negoziali perché la questione delle donne è una questione politica, economica e sociologica. Il mio dialogo con lo stato si basa sull’unire il progetto di società democratica in favore della libertà delle donne.”
‘Io sono libero, anche voi sarete libere’
Il leader curdo ha concluso il suo messaggio con le seguenti osservazioni: “Lo slogan delle donne ‘Non saremo libere finché non sarà liberato Öcalan’ è bello perché io sono libero e anche voi sarete libere. Su questo confido molto in voi, donne resistenti. Devo dire che il fatto che per la prima volta delle donne sono parte di una delegazione negoziale in questo processo storico è di importanza storica. Credo che il 21° secolo vedrà la liberazione delle donne. Su questa base vi saluto con amore e rispetto e vi auguro successo nella lotta per la libertà.”

mercoledì 4 marzo 2015

A Kobane vince la terza via

La città di Kobane, nel nord della Siria è stata liberata dopo aver resistito per 135 giorni all’assalto del sedicente “Stato Islamico”. In prima fila per impedire la caduta della città le Unità di difesa popolare e femminili, composte prevalentemente da curdi. Le donne e gli uomini che hanno eroicamente resistito hanno innalzato la loro bandiera sulle ultime colline che circondano la città, dopo averle liberate dalle forze dell’ISIS. 
La resistenza contro l’estremismo islamico è stata guidata soprattutto da combattenti vicini al partito di liberazione curdo PKK, attivo nelle regioni curde della Turchia e al Partito di Unione Democratica (PYD), presente nelle zone settentrionali della Siria, tradizionalmente abitate da curdi e da altre minoranze. 
All’inizio del 2014 alcuni cantoni come Kobane, appartenenti alla Rojava, denominazione che indica le zone occidentali del Kurdistan, si sono proclamati autonomi e hanno iniziato ad autogestirsi. Si è trattato di un vero e proprio processo rivoluzionario basato su una concezione laica, democratica e progressista di governo dal basso, che ha rifiutato la deriva settaria e integralista che ha coinvolto e sconvolto molte altre realtà del Medio Oriente. Le Unità di Difesa Popolare curde avevano lanciato da tempo l’allarme sull’azione delle forze integraliste e sulle complicità che queste ricevevano dall’esterno. 
 Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno pensato invece di poterle usare contro il regime baasista di Assad. Solo quando queste forze hanno messo in pericolo il regime irakeno e il governo regionale del Kurdistan dell’Iraq, guidato da forze da tempo alleate all’occidente, l’occidente si è mobilitato per fermare l’ISIS. L’Unione Europea e gli USA hanno messo da anni nella “lista nera” delle organizzazioni considerate terroristiche, il PKK e altre organizzazioni del movimento di liberazione curdo. 
All’interno della Siria il movimento di liberazione curdo non si è allineato né con il regime di Assad, né con le forze subordinate alle potenze occidentale e soprattutto alle milizie integraliste e reazionarie (non solo dell’ISIS), finanziate da Arabia Saudita e Qatar, con la complicità più o meno aperta della Turchia. La vicenda di questi mesi a Kobane, come in altre realtà del mediorientale, dimostra invece che le forze realmente terroristiche e criminali sono in gran parte nutrite e finanziate dagli stati alleati degli USA e dell’Europa. 
Per questo le forze democratiche chiedono la cancellazione del PKK dalla “lista nera”. Il successo della difesa di Kobane è derivato dalla determinazione e dal coraggio del popolo curdo ma anche dal fatto che esso rappresenta un’alternativa in una regione dominata dall’odio etnico e religioso. 
L’obbiettivo dei curdi di Rojava, ispirati dal pensiero di Oçalan, il leader del PKK da anni imprigionato dai turchi in una piccola isoletta rigidamente controllata dai militari, non è di costituire uno Stato ma di creare un’alternativa al capitalismo globale rivendicando l’autonomia regionale, la liberazione delle donne e la cooperazione di tutti i popoli della regione attraverso quello che è stato definito come un sistema di “confederalismo democratico”.