mercoledì 31 dicembre 2014

Una dottoressa argentina a Kobane

31 dicembre 2014
Maria Claudia Garcia, una dottoressa argentina che è venuta a Kobanê per fornire cure mediche, ha invitato i suoi colleghi argentini a sostenere la ‘ epica resistenza’ a Kobanê.
L’interesse internazionale per la resistenza Kobanê è in aumento nel settore dei servizi sanitari e sociali, oltre che in quello militare. La dottoressa argentina Maria Claudia Garcia sta fornendo cure mediche e cercando di conoscere la resistenza. Maria Claudia Garcia, nata a Buenos Aires, è membro del Comitato di Solidarietà con il Kurdistan in Sud America e del Partito socialista di Argentina. Ha parlato con ANF delle sue impressioni su Kobanê.
Come mai hai deciso di venire a Kobanê?
Dopo i primi attacchi contro Kobanê ho cominciato a seguire quello che stava accadendo. Ho cominciato a studiare la storia del Kurdistan e le teorie di Abdullah Öcalan. Stando qui sto vedendo come la teoria viene messa in pratica. Prima di venire a Kobanê sono andata nei campi profughi a Çınar e Sisre ad Amed. Sono venuta qui dieci giorni fa perché volevo vedere la resistenza e osservare lo stato dei servizi medici. Il lavoro dei medici qui è parte cruciale della resistenza. Lavorano in condizioni incredibilmente difficili. Volevo anche vedere il ruolo delle YPG/YPJ. Tengo un diario in modo che possa condividere tutto con gli amici in America Latina. Una parte è già stata pubblicata. Desidero che esperti in vari settori si interessino a quello che sta succedendo qui. Soprattutto per convincere la gente a dare un contributo in modo che il cibo e le medicine necessari siano forniti alla gente di qui.
Quali sono le tue impressioni su Kobanê?
Si tratta di una resistenza eroica ed epica, e quali altri aggettivi devo scegliere, basta questo. Il mondo ha bisogno di saperlo. Le persone stanno lottando contro ISIS che dispone di armi moderne, e che è stato creato dai governi internazionali e regionali. La lealtà e il rispetto delle YPG-YPJ è un riflesso della loro coscienza. Stanno lottando per una rivoluzione sociale e la libertà delle donne.
Qual è la situazione dei civili, le loro condizioni di salute?
Contrariamente a quello che dice il governo turco, il posto è pieno di civili. I servizi sanitari sono limitati. Un numero ridotto di medici sta cercando di fornire servizi in un ospedale da campo. Sempre più civili stanno tornando, il che significa che c’è bisogno di più medici. I bambini e gli anziani sono i più colpiti da queste condizioni. Ci sono malattie causate dal freddo, e infezioni e malanni causati da una alimentazione insufficiente.
C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?
L’Argentina è conosciuta per la lotta condotta dall’internazionalista Che Guevara, stiamo cercando di seguire le sue orme. Il nome della mia organizzazione è Convergencia Socialista (Unità Socialista). Io continuerò a rimanere a Kobanê e contribuire alla lotta. Invito i miei colleghi a unirsi a me qui. E’ anche necessario che gli internazionalisti siano a conoscenza della situazione dei prigionieri politici in Turchia, in particolare quella di Abdullah Öcalan.
ANF/SEDAT SUR – KOBANÊ 27.12.2014

Appello di Heyva Sor Kobanê per aiuti medici e umanitari urgenti

31 dicembre 2014
Operatori della mezzaluna rossa curda Heyva Sor a Kurdistan Kobanê, che ha recentemente annunciato la sua nuova sede nel cantone, hanno diramato un comunicato stampa
di fronte all’edificio in cui l’organizzazione sta svolgendo le sue attività nella città assediata.
Parlando a nome degli operatori di Heyva Sor a Kurdistan Kobanê, il dottor Menaf Kitkanî ha lanciato un appello per aiuti medici e umanitari urgenti da parte di organizzazioni internazionali che operano nel campo della salute e dell’aiuto umanitario.
Il dottore Menaf Kitkanî ha sottolineato che ogni istituzione deve fare la sua parte per garantire le necessità fondamentali e urgenti a Kobanê, e ha invitato il personale medico a recarsi a Kobanê e partecipare all’assistenza sanitaria.
ANF – KOBANÊ 31.12.2014

venerdì 26 dicembre 2014

Amnesty denuncia le torture sessuali alle donne yazide

Torture, incluso lo stupro e altre forme di violenza sessuale,subite da donne e ragazze yezide della minoranza Yezida in Iraq che sono state rapite dal gruppo armato che si definisce stato Islamico,mette in evidenza la ferocia delle regole dello Stato Islamico(IS)lo ha affermato oggi in una nuova conferenza Amnesty International.
La fuga dall’inferno della tortura,dalla schiavitù sessuale nella prigionia dello Stato Islamico in Iraq fornisce una panoramica dei terrificanti abusi subiti da centinaia di donne e ragazze yezide che sonos state sposate con la forza,”venduto” o date come “regali” ai combattenti di IS o ai loro sostenitori.
Spesso, i prigionieri sono stati costretti a convertirsi all’Islam.“Centinaia di donne e ragazze Yezide hanno avuto la loro vita distrutta dagli orrori della violenza e della schiavitù sessuale nella prigionia di IS,ha affermato Donatella Rovera consulente esperto di risposta alle crisi di Amnesty international,che ha parlato di più di 40 ex prigioniere nell’Iraq settentrionale.”Molti di coloro che sono detenuti come schiavi sessuali sono ragazzine di 14/15 anni o anche più giovani.
I combattaenti di IS usano lo stupro come un’arma d’attacco alla pari dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità.”
Le donne e le ragazze sono tra le migliaia di Yezidi della regione di Sinjar che sono state prese di mira da Agosto nell’ondata di pulizia etnica da parte dei combattenti di IS intenzionati ad annientare le minoranza etniche nella zona.Gli orrori sopportati durante la prigionia di IS hanno lasciato queste donne e e queste ragazze così gravemente traumatizzate che alcune sono state spinte a porre fine alla propria vita.
La diciannovenne Jilan ha commesso siucidio mentre veniva tenuta prigioniera a Mosul perchè temeva che sarebbe stata stuprata,lo ha detto ad Amnesty International suo fratello.
Una delle ragazze che è stata tenuta nella stessa stanza come Jilan e altre 20,incluse due ragazze di 10 e 12 anni,hanno dichiarato a Amnesty International:””Un giorno ci hanno dato vestiti che sembravano costumi di ballo e ci hanno detto di fare il bagno e indossare quei vestiti.Jilan si è uccisa nel bagno.Si è tagliata i polsi e si è impiccata.Lei era molto bella;Penso che lei sapeva che stava per essere portati via da un uomo e questo è il motivo per cui si è uccisa”.La ragazza era tra coloro che poi sono fuggite.
Wafa, 27, un altra ex prigioniera,ha raccontato ad Amnesty International di come lei e sua sorella hanno tentato di togliersi la vita una notte dopo che i loro rapitori le hanno minacciate con il matrimonio forzato.Hanno tentato di strangolarsi con la sciarpa e ma due ragazze che dormivano nella stessa stanza si sono svegliate e le hanno fermate.Abbiamo legato le sciarpe al collo e tirato a distanza l’una dall’altra più forte che abbiamo potuto,fino a quando sono svenuta….
Dopo quello non ho potuto parlare per diversi giorni”ha detto.
La maggior parte degli autori sono uomini iracheni e siriani;molti di loro sono combattenti di IS ma gli altri si ritiene siano sostenitori del gruppo.Diversi ex prigioniere hanno affermato che state tenute in case di famiglie dove hanno vissuto insieme ai loro rapitori,alle loro mogli e bambini.
Molti sopravvissuti yezidi sono doppiamente influenzati in quanto stanno combattendo con la perdita di decine di loro parenti che o rimangono in prigionia o sono stati uccisi da IS.
Randa,unaragazza di 16 anni di un villaggio vicino al Monte Sinjar è stata rapita con decine di membri della sua famiglia,tra cui la madre pesantemente incinta.Randa è stato “venduta” o data come “regalo” per un uomo del doppio della sua età che l’ha violentata.Ha descritto l’impatto del suo calvario ad Amnesty International:”E ‘così doloroso quello che hanno fatto a me e alla mia famiglia.Da’esh (IS) ha rovinato le nostre vite …Cosa accadrà alla mia famiglia?
Non so se riuscirò mai rivederli ancora.” Il tributo fisico e psicologico della violenza sessuale terrificante che queste donne hanno subito è catastrofica.Molte di loro sono state torturate e trattate come bene mobile.Anche coloro che sono riuscite a fuggire rimangono fortemente traumatizzate “, ha dichiarato Donatella Rovera.
Il trauma delle vittime della violenza sessuale è ulteriormente aggravata dalla stigmatizzazione circostante dello stupro.
I sopravvissuti sentono che il loro “onore”, e quello delle loro famiglie, è stato offuscato e temono che la loro posizione nella società diminuirà di conseguenza.Molti sopravvissuti alla violenza sessuale non continuano a ricevere l’aiuto e il completo sostegno di cui hanno disperatamente bisogno.”Il governo regionale del Kurdistan, delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni umanitarie che stanno fornendo sostegno medico e altri servizi di sostegno alle vittime di violenza sessuale devono intensificare i loro sforzi.Essi devono garantire rapidamente e attivamente tutti coloro che possono aver bisogno di loro, e che le donne e le ragazze siano a conoscenza del sostegno per loro “, ha detto Donatella Rovera.
Tali servizi dovrebbero includere servizi per la salute sessuale e riproduttiva, nonché consulenza e supporto al trauma.
Diha

martedì 23 dicembre 2014

Ricomincia la costruzione della diga di Ilisu

Fermare Ilisu – fermare la distruzione e l’instabilità!
Lo stato turco opere idrauliche(DSI) ha annunciato alcuni giorni fa,dopo quattro mesi di interruzione, che la costruzione della fortemente criticata diga di Ilisu e del progetto di centrale idroelettrica continueranno immediatamente.
Se la costruzione riparte,la diga di Ilisu sul fiume Tigri protrebbe essere finita il prossimo anno,il che porterebbe ad una enorme distruzione sociale,culturale ed ecologica e anche ad una maggiore instabilità politica.
La diga di Ilisu,la cui costruzione è stata avviata interamente nel 2010 dopo che un nuovo finanziamento è stato assicurato,è stata fermata nel 2014 dopo che tutti i lavoratori si sono dimessi.
In precedenza due importanti appaltatori della costruzione della diga erano stati arrestati dalle forze di difesa del popol(HPG).I guerriglieri del PKK li avevano avvertiti di non proseguire con la loro partecipazione nel progetto della diga di Ilisu e li hanno rilasciati dopo pochi giorni.
Tra gli altri, il PKK considera la diga di Ilisu come uno strumento contro di sé che approfondisce l’assimilazione della cultura curda.
Dopo le dimissioni dei lavoratori nell’agosto 2014 la costruzione della diga era stata completamente interrotta.Secondo il DSI 80% per cento della diga era stato completato prima dell’interruzione.
Alcuni metri di altitudine del corpo diga e una parte del canale di scarico e la maggior parte del lavoro della centrale idroelettrica non sono ancora state finite.
Il DSI ha informato che se la costruzione riparte, il sito della diga sarebbe protetto da un più alto numero di soldati di prima.Anche tutto il trasporto di materiale da costruzione al sito della diga sarebbe protetto dai militari.
Una visita al sito a metà novembre 2014 della nostra iniziativa ha affermato che le persone reinsediate del villaggio di Ilisu vivono in cattive condizioni.
Sono in debito perché le nuove case sono due volte più costose di quelle vecche.Erano abituati ad avere qualche opportunità di lavoro durante il periodo della costruzione,ma ora non sanno come guadagnare soldi.Non ci sono opportunità di reddito – in particolare perché non hanno più terra – nel loro quartiere.
Le infrastrutture sociali sono scarse.Quasi nessuna delle promesse è stata realizzata.C’è solo una scuola elementare e un parco giochi per bambini che sono stati costruiti.Oggi quasi nessuno dalle 45 famiglie a Ilisu considera la diga di Ilisu come un investimento positivo.
Dal 20006 nel contesto regionale tutti gli enti locali interessati hanno espresso che non vogliono la diga di Ilisu progetto.Tuttavia, il governo centrale ha cominciato a costruire questa diga, nonostante la maggior parte della popolazione regionale.
Chiediamo al DSI di prendere in considerazione che la continuazione della diga di Ilisu sarebbe un disastro per 80.000 persone colpite direttamente e per più persone nella più vasta regione.La natura unica e straordinaria del patrimonio culturale verrebbe distrutta in modo irreversibile.
Potrebbe anche portare ad un’instabiltà politica della Turchia perchè un’intervento militare del PKK può ripetersi.Questo può interessare negativamente il processo di negoziazione in corso tra il governo turco ed il PKK.Potrebbe essere interessato anche l’Iraq.
La guerra in corso negli ultimi mesi tra le diverse potenze mostra come i grandi progetti di infrastrutture idriche potrebbero accrescere il potenziale di conflitto.
Non c’è nessun altro progetto in Turchia in termini di potenziale di distruzione e di creazione di instabilità come la diga di Ilisu.
Di conseguenza, chiediamo in particolare alla società civile e ai responsabili politici in Turchia,in Iraq,in Medio Oriente e in Europa di protestare contro la decisione di DSI di continuare ccon questo progetto che potrebbe avere benefici solo per alcune aziende e gli interessi ristretti della Turchia a potenza regionale. La pressione politica sulla Turchia è più che mai necessaria.
fonte : Uiki Onlus

domenica 21 dicembre 2014

Simbel , un simbolo della lotta internazionale

Il seguente articolo è una traduzione dall’inglese di“Enternasyonal mücadelenin simgesi: Sibel” che originariamente è apparso su Özgür Gündem.
La resistenza contro l’ISIS a Kobanê la quale è in corso da più di tre mesi è diventata un simbolo della lotta internazionale.
Sibel Bulut una combattente dell’MLKP che ha perso la vita resistendo a Kobane dove stava combattendonel nome della solidarietà internazionale è entrata nella storia insieme a persone come Arîn Mîrkan e Kader Ortakaya.
La sezione di Istanbul del Movimento democratico delle donne libere(DÖKH)ha diramato un comunicato sctitto su Sibel Bulut(nome di guerra: Sarya Özgür)che ha perso la sua vita combattendo contro ISIS.
Nel comunicato,che indica come la rivoluzione delle donne ha continuato a crescere nel Rojava,si afferma che tutti gli attacchi contro Kobanê ed il Rojava più in generale sono stati effettuati consapevolmente[A causa di questo fatto].
Sono diventate la strada per la libertà
Il comunicato ha richiamato l’attenzione su tutti i combattenti di sesso femminile che sono state uccise a Kobanê:la compagna Sarya, una guerriera nella nostra lotta per la libertà delle donne che con tutto il cuore ha difeso la rivoluzione sulle barricate a Kobanê,ha dimostrato che la nostra lotta per la libertà è per tutti i popoli del Kurdistan e in Turchia e che non intendono tirarsi indietro da questa unità,proprio come ARIN Mîrxan e tutti i nostri compagni di sesso femminile e tutti i nostri martiri hanno anche dimostrato per questa ragione.Hanno aperto la strada alla vittoria e alla libertà per Kobanê e per la rivoluzione delle donne.”
Kobanê sarà incoronata con la vittoria
Il comunicato ha proseguito affermando che Sibel è passata alla storia come un simbolo delle di resistenza e di libertà delle donne,”Come tu hai portato la rivoluzione in tutte le direzioni ti facciamo questa promessa compagna Sarya:Kobanê sarà incoronata con la vittoria,Kobane verrà liberata e la marcia della rivoluzione delle donne continuerà nonostante tutti gli attacchi.Insieme costruiremo il socialismo democratico e la nazione democratica “.

Liberato il Centro della città di Sinjar

20 dicembre
L’ufficio stampa delle YPG ha riferito che il centro della città di Sinjar è stato liberato a seguito degli scontri che sono scoppiati sulla scia dell’operazione avviata oggi dalle forze delle HPGe e delle YBS per liberare Sinjar.
E ‘stato inoltre riportato dall’Ufficio Stampa delel YPG che aspri scontri continuano a verificarsi intorno Sinjar tra le bande e le forze delle HPG,delle YBS, come anche i combattenti delle YPG / YPJ che hanno ormai raggiunto Sinjar da Rojava.
Le YPG hanno affermato in un comunicato scritto che aspri scontri hanno avuto luogo nell’operazione avviata oggi alle 10 per liberare il centro di Sinjar,occupato dalle bende di ISIS dal 3 Agosto.
Il comunicato delle YPG è come segue:”Un’operazione è stata avviata oggi alle 10 allo scopo di liberare il centro della città di sinjar che è stato occupato dalle bende di ISIS il 3 Agosto.
Aspri scontri hanno avuto luogo nell’operazione,effettuata congiuntamente dalle forze delle HPG e delle YBS presenti sul Monte Sinjar e dei combattenti delle YPG/YPJ che hanno raggiunto la zona dal Rojava.A seguito degli scontri,il centro della città di Sinjar è stato liberato.
I dettagli dell’operazione saranno condivisi con il pubblico successivamente. “

martedì 2 dicembre 2014

Aperto un nuovo fronte dalla Turchia

Gli scontri tra l’ISIS e la resistenza di Kobanê hanno preso slancio dopo un’offensiva da parte delle bande dell’ISIS contro il confine di Mursitpinar, soprattutto dei villaggi di Serxet e Küçük Etmanek che si trovano sul territorio turco. Sono stati evacuati dall’esercito turco sotto il pretesto della sicurezza. Ora gli attacchi a Kobanê sono gestiti dai quattro fronti, est, sud, ovest e nord.
Questa mattina alle 5 un’autobomba proveniente dal territorio turco è esplosa mentre si stava dirigendo verso Kobanê dopo aver attraversato il confine di Mursitpinar. Dopo l’esplosione del veicolo, le bande dell’ISIS sono partite all’attacco su tutti e quattro i fronti. Hanno attaccato con armi pesanti e mortai sui fronti est, ovest e sud. Hanno anche attaccato il confine di Mursitpinar dalla Turchia.
Le bande dell’ISIS sono state viste nei pressi del silos situato proprio accanto al confine con il territorio turco. Le Unità di Difesa del Popolo, YPG e YPJ, hanno immediatamente replicato.
Le bande dell’ISIS sono anche state viste all’attacco dei villaggi di Kucuk Etmanek e Serxet dove occupano la moschea e le case. Eppure quei villaggi evacuati sono sotto costante sorveglianza da parte dell’esercito turco.
Il Prefetto di Urfa, Izettin Küçük, ha riconosciuto che l’ISIS era in territorio turco. Tuttavia, le forze di sicurezza turche vicino al confine non hanno in alcun modo risposto agli eventuali attacchi dal territorio turco da parte dell’ISIS.
Secondo un articolo di Diha apparso su Özgür Gündem, il governatore designato dallo stato(Vali)della provincia di Urfa, ha ammesso che ISIS ha combattenti in Turchia e sta attaccando Kobanê dal lato turco del confine.
L’ammissione segue un attacco di ISIS iniziato questa mattina alle ore 5.00 locali, al passaggio di confine di Mürşitpınar, quando un veicolo proveniente dalla Turchia è esploso lungo il confine.
Secondo funzionari delle YPG,i combattenti di ISIS hanno anche lanciato un’attacco al punto di passaggio del confine e alla città da posizioni all’interno di unità di silos per grano appartenenti alla TMO-organizzazione dello stato turco.
Nell’Incontro con il parlamentare dell’HDP İbrahim Ayhan il governatore Küçük ha ammesso che ISIS stava attaccando dalla Turchia.
Gli scontri continuano su tre fronti attorno al punto di passaggio del confine di Mürşitpinar a seguito degli attacchi di ISIS di questa mattina dalla Turchia di ISIS di questa mattina.Pesanti scontri sono scoppiati con ISIS dopo l’esplosione del primo camion bomba di questa mattina.
I combattenti di ISIS stanno anche continuando nei loro tentativi di infiltrare la città dai silos di grano della TMO, lungo il versante turco del confine vicino al passaggio di confine.Pesanti scontri sono in corso anche nei versanti orientali,occidentali e meridionali di Kobanê.

ISIS attacca Kobane dalla Turchia

29 novembre
Camion bomba dell’Isis fa 8 morti e 25 feriti.
Questa notte un finto camion di aiuti umanitari ha passato il gate del confine tra Turchia e Siria ed è entrato nella città di Kobane. Si è trattato in realtà di un camion-bomba esploso nella zona controllata da Ypg e Ypj che ha causato, ad oggi pomeriggio, 8 morti e almeno 25 feriti.
Già questo fatto è gravissimo, sia per la matrice terroristica adottata dall’Isis sia perchè è entrato da un confine strettamente controllato dall’esercito turco. Tanto per farvi capire, ieri abbiamo visto fermare al primo checkpoint militare un’ambulanza ed essere trattenuta a lungo.
L’altro fatto molto grave è che milizie dell’Isis hanno attaccato la città di Kobane dalla parte turca del confine, a nord della città di Kobane da alcuni silos di grano. Isis sta cercando di conquistare il gate, perchè questa zona rappresenta la principale via di approvvigionamento, nonché via di fuga per feriti e civili per Ypg e Ypj. E’ evidente l’importanza strategica di questo punto.Come si vede chiaramente dalla seguente foto i silos (sull’estrema destra dell’immagine) sono a poche centinaia di metri da un campo di militari turchi. Come è possibile che le milizie dell’Isis abbiano potuto attaccare indisturbate in una zona completamente controllata dall’esercito turco?
E’ da tempo che si denuncia che il confine sia poroso per l’Isis, ma oggi c’è stato un inquietante precedente.
Nel primo pomeriggio poi circa mille persone si sono radunate velocemente nel villaggio di Mehesser. Girava voce di un possibile sgombero del villaggio. Al calar del sole la minaccia è rientrata, però è da tempo che il governo turco vorrebbe creare una zona cuscinetto tra il confine e la città di Suruc. L’immediata mobilitazione di oggi è stata sicuramente un ottimo deterrente.
La difesa di questo e degli altri villaggi diventa fondamentale per impedire che il governo turco e l’Isis acquisiscano maggiore libertà di movimento.
fonte: ReteKurdistan

martedì 25 novembre 2014

La Mezzaluna Rossa curda lancia un appello per gli aiuti a Kobanê e Sinjar

23 novembre 2014
La campagna per gli aiuti per Kobane e Sinjar avviata da Heyva Sor a Kurdistan (Mezzaluna rossa curda)sta continuando.Il presidente dell’organizzazione di beneficienza, Suat Yalçın,ha affermato che hanno fornito milioni di euro in aiuti,e hanno chiesto alla gente di partecipare alla campagna. 
La Mezzaluna rossa curda ,che ha sede nella regione del Nord della Germania del Reno-Westfalia,continua la sua campagna di solidarietà con Kobanê e Sinjar.
Yalçın ha affermato che la campagna che hanno avviato il 5 Luglio ha assunto una nuova dimensione con gli attacchi di ISIS aggiungendo:”Molta gente è stata sfollata da questi attacchi.Dopo il 3 Agosto 6 carichi di camion sono stati inviati a Sinjar.E 250 tonnellate di cibo e 8 ambulanze sono state inviate al campo Newroz creato per gli yezidi nel cantone di  Cizire (Jazireh).Sono state soddisfatte anche le esigenze degli Yezidi nei campi del Nord Kurdistan. “
Yalçın ha aggiunto che tende sono state inviate nelle città di Amed, Şırnak, Mardin, Suruç, Malatya e Urfa per le popolazioni sfollate e 200.000 auro di attrezzature inviate a Kobanê. “Abbiamo anche fornito  un valore di 150.000 euro di aiuti per i campi per gli Yezidi a Sulaymaiyeh, Dohuk e Zakho nel Sud Kurdistan.Finora abbiamo inviato un totale di 1.825.000 euro di valore di materiali,20 tonnellate di medicine e di materiale sanitario.”
La gente deve continuare a sostenere la campagna
Suat Yalçın  ha dichiarato che la campagna sta continuando in tutta Europa,con la partecipazione della popolazione curda.Ha affermato inoltre che non sono stati in grado di assicurarsi la cooperazione delle istituzioni in Europa aggiungendo che questo ha dimostrato l’atteggiamento degli stati Europei verso i curdi.Ha detto inoltre che organizzazioni curde come la Federazione democratica degli Aleviti (FEDA),la Federazione delle associazioni degli Yezidi (FKÊ)e la Società islamica del Kurdistan(CİK) hanno lavorato con loro.
Suat Yalçın ha affermato che anche gente da America,Australia Giappone,Filippine, Georgia, Azerbaijan e Nuova Zelanda hanno contribuito alla loro campagna.Ha aggiunto che all’inizio avevano raccolto principalmente soldi,ma sono ora interessati anche a raccogliere cibo e vestiti da distribuire.
Egli ha detto che con l’arrivo dell’inverno la situazione peggiorerà. “Il nostro popolo non deve perdere il proprio spirito di mobilitazione. Ci devono aiutare con i soldi, medicine e attrezzature ospedaliere”, conclude.

sabato 22 novembre 2014

Serata di beneficenza per Kobane a Parma

Serata di beneficienza per Kobane, presso il circolo arci Zerbini, piazzale Santa Caterina n. 1 (su via Bixio) .
Alle ore 19:00 conferenza stampa sulla questione Kurda, interverranno Yilmaz Orkan rappresentante in Italia del congresso nazionale kurdo, e Nelly Bocchi membro della rete kurdistan in Italia.
A seguire cena tipica kurda, anche per vegetariani, caffè turco, musica kurda.
È necesaria la prenotazione, entro mercoledì 19, al numero 3207272604.
Vi aspettiamo numerosi!
Kobane non è sola, Kobane resiste!

domenica 16 novembre 2014

Gli Avvocati Europei Lanciano un Appello per la Rimozione del PKK dall’Elenco Europeo del Terrorismo

L’Associazione Europea dei Giuristi per la Democrazia e i Diritti Umani nel Mondo (ELDH), una organizzazione progressista senza scopo di lucro che riunisce attualmente avvocati in 18 paesi europei, ha lanciato un appello in cui si chiede la rimozione del PKK dall’elenco europeo del terrorismo, la revoca del divieto di attività, il sostegno al processo di pace e la rivalutazione legale del PKK da parte del governo tedesco, dei governi degli altri paesi europei, nonché dell’Unione europea.
Ricordando che dal 2002, su richiesta del governo turco, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) è stato indicato come un’organizzazione terroristica da parte del Consiglio dell’Unione europea, l’ELDH ha sottolineato che all’interno dell’Unione europea la Germania ha svolto un ruolo di avanguardia nel criminalizzare il PKK, vietando da oltre 20 anni al PKK e alle organizzazioni associate le attività politiche, ma anche il perseguimento di qualunque tipo di sostegno al PKK, nel senso più ampio.
“Come risultato di una tale politica, sono stati perseguiti migliaia di curdi in Turchia e negli Stati membri dell’UE. Organizzazioni associate o partiti politici e giornali curdi sono stati vietati, stazioni televisive sono state chiuse. I diritti di innumerevoli curdi e sostenitori politici alla libertà di espressione, libertà di riunione e libertà di stampa, sono stati violati da queste misure. Le disposizioni di legge in materia di stranieri, fino alle disposizioni in materia di espulsione degli stranieri, sono state applicate,” sostiene l’ELDH, sottolineando che la messa al bando del PKK non solo mette in discussione il diritto di soggiorno di decine di migliaia di curdi, ma porta anche alla loro criminalizzazione.
Nell’appello viene sottolineato che l’elenco delle organizzazioni terroristiche ha incontrato problemi generali del diritto, tra gli altri da parte dell’ex Presidente della Corte Costituzionale tedesca, Hans-Jürgen Papier, e dall’ex Relatore Speciale del Consiglio d’Europa, Dick Marty. Viene inoltre ricordato che le organizzazioni elencate sono colpite da restrizioni di viaggio e finanziarie, il congelamento di tutti i conti bancari e, allo stesso tempo, nessuna risorsa economica, finanziaria o di altro tipo, può essere erogata alla in questione o all’organizzazione.
L’appello ha evidenziato che la “lista dei terroristi non è riuscita a raggiungere una riduzione  significativa del terrorismo e può quindi essere considerata irragionevole e inefficiente. La validità giuridica del divieto di decisioni da parte dell’amministrazione in Germania o in altri paesi, anche se queste sono state confermate da decisioni giudiziarie, non può giustificare una stigmatizzazione senza limiti di un’organizzazione politica. Quando le circostanze concrete su cui si basavano non sono più valide, queste decisioni devono essere annullate. Le gravi violazioni dei diritti fondamentali causati dalle decisioni di divieto devono essere riesaminate regolarmente, per assicurarsi che siano ancora giustificate.”
Valutazione giuridica necessaria
L’ELDH ha inoltre sottolineato che politici alti in classifica e facenti parte della coalizione di governo in Germania e dei partiti di opposizione, devono riconoscere che alcuni risultati promettenti nella lotta contro l’avanzata del cosiddetto “Stato islamico” (IS) in Iraq e nelle regioni  autogovernate nella parte occidentale del Kurdistan/Siria settentrionale (Rojava), sono il risultato della battaglia senza precedenti e coraggiosa del PKK e delle sue forze alleate. Sempre meno politici mantengono i loro vecchi stereotipi nella valutazione del PKK.
“Le conclusioni necessarie devono essere tratte dal passaggio dalla guerra civile alla convivenza pacifica a titolo di esempio, come per l’Irlanda del Nord o per il Sud Africa,”​, ha aggiunto.
L’ELDH ha dichiarato che le seguenti circostanze richiedono una nuova valutazione giuridica del PKK da parte del governo tedesco, dai governi degli altri paesi europei, così come da parte dell’Unione europea:
- Nel giugno 2014 il Parlamento turco ha approvato ufficialmente i negoziati di pace tra governo turco e PKK.
- Il PKK ha già da tempo rinunciato alla lotta armata per poter perseguire gli obiettivi politici e ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti del governo turco.
- Il PKK non richiede la separazione del territorio curdo dalla Turchia, ma ora cerca un’amministrazione autonoma regionale democratica, sul modello di quella stabilita nella parte occidentale del Kurdistan/Siria settentrionale (Rojava).
- Il PKK organizza insieme con altre forze curde la resistenza armata contro le forze del cosiddetto “Stato islamico” (IS).
Chiede ai governi europei
- I sostenitori dell’appello richiedono anche al governo tedesco e ai governi degli Stati membri dell’Unione europea e ad altri governi europei, sostegno attivo al processo di pace in Turchia e in questo contesto, in particolare:
- Entrare in dialogo con il PKK, con l’obiettivo della sua legalizzazione
- L’abolizione del divieto di attività politiche per il PKK e le sue organizzazioni associate
- La fine di tutte le sanzioni effettuate ai sensi della legge riguardanti gli stranieri nei confronti di membri e sostenitori del PKK e delle sue organizzazioni associate
- Il PKK deve avere la possibilità di partecipare senza discriminazioni nel dibattito politico e nella formazione dell’opinione
- Il PKK deve avere la possibilità di avere parità di accesso ai mezzi di comunicazione e poter gestire i propri media allo stesso modo delle altre organizzazioni politiche
- L’amnistia per tutti coloro che sono stati condannati solo per l’appartenenza al PKK e alle sue organizzazioni associate o per il loro sostegno.
Chiede all’Unione Europea
I sostenitori dell’appello chiedono anche all’Unione europea il sostegno attivo al processo di pace in Turchia e in questo contesto, in particolare:
- L’abolizione generale della lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea
- Almeno la rimozione del PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea
Chiede al governo turco
I sostenitori di questo appello chiedono al governo turco:
- Il proseguimento costruttivo dei negoziati di pace tra il governo turco e il PKK con l’obiettivo di una pace duratura e la legalizzazione del PKK
- La legalizzazione del PKK e delle sue organizzazioni associate
- L’annullamento di tutti i procedimenti penali riguardanti l’appartenenza al PKK o alle organizzazioni associate o il sostegno di queste organizzazioni
- L’amnistia per coloro che sono stati condannati per appartenenza al PKK o alle sue organizzazioni associate o per il loro sostegno, tra cui il Presidente del PKK Abdullah Ocalan
- L’annullamento di tutte le procedure politiche in materia di libertà di espressione, libertà di stampa, libertà di riunione e di associazione e l’esercizio degli obblighi legali degli avvocati della difesa.

sabato 15 novembre 2014

Campagna di raccolta fondi

Come già in altri paesi, seguendo le indicazioni del KNK (Congresso nazionale Kurdo) e di rappresentanti dei cantoni del Rojava, anche in Italia l’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia  insieme a Rete Kurdistan Italia lancia una campagna di raccolta fondi per sostenere i profughi e alleviare le condizioni nei campi dove sono stati accolti.
Per evitare le spese di bonifico su conti esteri, abbiamo pensato di mettere a disposizione il conto corrente italiano dell’associazione Senzaconfine per la raccolta.In questo modo non verranno sprecati soldi in inutili spese bancarie, mentre tutto quanto arriverà sarà usato per gli scopi prefissati. Trasferiremo prontamente i soldi a Heyva Sor (Mezzaluna Rossa curda) che li userà per provvedere alle necessità dei profughi di Kobanê e di Şengal.

Per maggiori informazioni sulle attività di Heyva Sor nell’area, si legga qui (in inglese):


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Kobane, fortezza della Resistenza del ventunesimo secolo

Se da un lato gli attacchi delle bande armate di ISIS vedono ormai concludersi il secondo mese di combattimenti, una resistenza storica sta di pari passo continuando grazie ai guerriglieri e alle guerrigliere delle YPG/YPJ (Unità di Protezione del Popolo/Unità di Protezione delle Donne).
Enwer Muslim, co­presidente del Cantone di Kobanè, ha preso parte a una conferenza svoltasi ad Hewler (Erbil), capitale del Kurdistan del Sud. Muslim è passato da Suruç, distretto di Urfa per entrare a Kobanè. Il co­presidente Muslim ha parlato alla DIHA dei recenti sviluppi e della conferenza in Kurdistan. “La resistenza ha avuto un costo per l’umanità durante il secondo mese” ha affermato. Ed ha aggiunto “La resistenza è diventata ed ha creato speranza per un futuro a favore della democrazia, della libertà e dell’eguaglianza.”
“Kobanè è diventata la fortezza della resistenza del XXI° secolo”
Muslim ha sottolineato “Kobanè è il simbolo della resistenza” e, proseguendo il suo discorso, “Le bande armate di ISIS hanno rinforzato i loro attacchi tramite armi pesanti e sono posizionate tutte intorno allo scopo di occupare il cantone.Tuttavia, questo tentativo di occupazione si è scontrato con la storica
resistenza di Kobanè. Giovani uomini e donne di 18­19 anni stanno combattendo coraggiosamente contro armamenti pesanti. La nostra resistenza è divenuta simbolo dell’intera umanità. La resistenza curda ha impedito alle bande armate di prendere Kobanè. Circa 20 attacchi di auto bombe sono stati respinti e neutralizzati. Hanno anche provato a spaventare i civili con i loro mortai di artiglieria. Kobanè si è guadagnata l’amore e la stima della nazione, della resistenza e dell’umanità. Kobanè è divenuta la fortezza simbolo della resistenza del XXI°secolo.
“Ci basiamo sul valore dell’umanità”
Il co­presidente Enwer Muslim ha, in seguito, sottolineato riguardo alla Siria e al regime di Baath: “Il regime di Baath nega il riconoscimento di tutti i popoli ad eccezione del popolo arabo. Abbiamo dato avvio alla lotta del popolo per la libertà e l’eguaglianza già da prima della rivoluzione. Loro affermano che siamo in relazione con il regime. Si tratta di una calunnia. Abbiamo arruolato sia soldati siriani sia membri dell’esercito libero siriano che sono fuggiti dalle milizie barbare. Perchè ci basiamo e siamo ancorati all’umanità. La nostra lotta è per costruire una vita insieme attraverso una esistenza democratica e libera.
Come possono correlarci ad un regime che nega la libera esistenza dei popoli? Non stiamo in guerra; ci stiamo solo proteggendo. Siamo una forza che è parte di un progetto di pace. Stiamo usando le armi solo per difenderci. Non stabiliremo mai alcuna relazione con il regime siriano che nega il riconoscimento delle diverse identità. Vivremo tutti insieme in una Siria democratica”.
“Non siamo una minaccia per la Turchia”.
Migliaia di civili hanno scelto di non abbadonare le proprie terre a Kobanè e altre migliaia hanno iniziato a tornare nelle loro terre a mano a mano che le forze di YPG e YPJ guadagnavano terreno” nota Muslim.
Inoltre, ha affermato: “Ci sono migliaia di civili che aspettano vicino alla linea di confine. ISIS voleva mettere in atto un massacro. Critichiamo la Turchia per il suo atteggiamento e il suo approccio nei nostri confronti.
Abbiamo chiesto ufficialmente sostegno per le persone e per i combattenti di YPG e YPJ. Perciò, se ISIS occupa Kobanè in questo caso ci sarà una reale minaccia. I curdi del Rojava non sono una minaccia. La pace e l’ordine in Turchia sono positivi anche per noi”.

Kurdi e Assiri in Rojava

Nel mezzo di quello che è oggi “la Siria” siamo testimoni di eventi talmente dolorosi in cui viene condotta una pulizia religiosa ed etnica, particolarmente da parte dei gruppi armati di ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) e altri gruppi affiliati ad Al­Qaeda, incluso Al­Nusra. Questi gruppi stanno conducendo i più atroci crimini e massacri contro tutti i musulmani non sunniti o chiunque rifiuti la loro ideologia radicale.
I rapporti confermano che più di 200,000 civili cristiani sono fuggiti dalle province interne della Siria come Homs e Aleppo dove non potevano più trovare alcuno che li protegesse in questa guerra senza regole. Molti tra la quelli della popolazione civile cristiana sono sfuggiti ai gruppi armati jihadisti come ISIS e Jabhat al­Nusra. Per esempio, la maggior parte dei cristiani della provincia di Al­Raqqa sono fuggiti nella provincia di Jazira dopo che ISIS ha preso il controllo di Al­Raqqa.
I cristiani rappresentano tra l’8 e il 10 % della popolazione siriana; la maggior parte di loro vive nelle provincie di Homs, Jazira, Damasco e Aleppo. Essi appartengono a diverse identità nazionali come gli assiri che parlano la lingua assira e gli armeni.
I cristiani hanno provato a rimanere neutrali nel corso delle battaglie che si sono svolte in Siria, provando anche a resistere con i nuovi signori armati nelle loro aree ma non hanno più potuto andare avanti dopo che la guerra si è diffusa dappertutto e i cristiani sono diventati il bersaglio di molti gruppi jihadisti armati, tra cui ISIS e Jabhat Al­Nusra. Questa situazione li ha forzati a implicarsi nel conflitto siriano e a prenderne parte per difendere sé stessi e la propria esistenza.
La minoranza cristiana del cantone di Jazira
Il cantone curdo di Jazira è formato da un gruppo di cittadine del Nord­est della Siria come Qamishlo, Deriki, SereKaninye, Derbassiya, Tell Tamer, Amude, Hassaka, Tell Kochar, TirbSpi e Rumeylan. Oltre a numerosi villaggi che si trovano in questo cantone curdo.
Il Cantone di Jazira fa parte del Rojava (Kurdistan siriano) che è de facto una regione autonoma nel Nord e Nord­est della Siria. L’autonomia della regione è stata dichiarata nel Novembre 2013 da parte di un gruppo fromato da organizzazioni e partiti curdi, arabi e assiri. La regione del Kurdistan siriano comprende 3 cantoni nel Nord est e nel Nord della Siria: Jazira, Kobanè e Afrin. I cristiani del cantone di Jazira hanno 50 villaggi, in aggiunta a 2 altri villaggi in cui la popolazione cristiana è mista a quella curda. Essi vivono soprattutto nelle città di Qamishlo e Hasaka e nella cittadinana di Tell Tamer.
Nella città di Qamishlo hanno un quartiere vicino al centro della città chiamato “Quartiere Al- Wusta”
Nella città di Hasaka, i cristiani totalizzano un numero di circa 20.000 su un totale della popolazione della città che conta 210.000 residenti. Vivono in 3 quartieri che sono Nasrah,Kallasah e Massaken vicini al centro della città.
Nella cittadina di Tell Tamer che conta una popolazione di 7200 residenti (secondo i dati del censimento 2004) i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione. Non esiste un censimento affidabile sul numero di cristiani nel cantone curdo di Jazira ma essi raggiungono sicuramente il 5% del totale della popolazione. La situazione dei cristiani presenti nel cantone di Jazira è diversa da quella dei cristiani in altre zone della Siria; qui possono godere di sicurezza più che altrove nel Medio Oriente ed hanno anche la facoltà di esibire le loro proprie bandiere e simboli ed esercitare gli stessi diritti in quanto cristiani o assiri. Lavorano con le Unità di dfesa del Popolo (YPG), l’esercito ufficiale del Rojava, al fine di tenere i jihadisti fuori dalle loro zone.
I cristiani partecipano attivamente nella battaglia del Rojava
Dopo essere divenuti il bersaglio in diversi luoghi in Iraq e in Siria, i cristiani hanno deciso di prendere le armi per difendere sé stessi e la propria esistenza. Hanno formato un gruppo di forze di sicurezza sotto il nome di “Sutoro”(che significa “protezione”). Si sono, quindi, uniti ufficialmente alle forze di sicurezza del Rojava.
Le forze di Sutoro hanno 4 quartieri generali nel Rojava, presenti nelle città di Qamishlo, Hassaka, Deriki e Tirbespiyê allo scopo di mantenere la sicurezza nei quartieri cristiani e nei villaggi accanto. Le altre forze del Rojava come Asayish lavorano sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno del Rojava e sono dispiegate anche sulle linee del fronte per fare da retroguardia alle unità YPG. Attualmente c’è un gruppo delle forze Sutoro che sostiene le YPG attorno alla cittadina di Tell Hamis, dove le YPG cercano di respingere ISIS.
Salvare i civili a Tell Tamer
La cittadina di Tell Tamer che si trova 40 km a nord della città di Hasakah è a maggioranza cristiana. Inoltre, è doveroso menzionare che dal momento in cui i gruppi di ISIS hanno preso il controllo della provincia di Al­Raqqah, molti cristiani assiri da lì fuggiti si sono rifugiati a Tell Tamer e nelle aree circostanti. La cittadina di Tell Tamer è stata attaccata diverse volte da diversi gruppi armati islamici radicali ma l’esercito delle YPG, sostenuto dalle forze di sicurezza (Asayish e Sutoro) hanno potuto respingere tutti gli attacchi.
Le bande armate di ISIS sono posizionate a circa 13 km di distanza a ovest di questa cittadina sotto costante minaccia e possono scatenare attacchi nel momento più inaspettato! Là dove ISIS può contare su ogni sorta di armamento pesante come carri armati e artiglieria pesante, le YPG e le forze di sicurezza Sutoro e Asayish possiedono solo armi leggere. Praticamente, una situazione analoga a quella di Kobanè. Nonostante ciò, le YPG respingono ancora le offensive di ISIS in questo territorio e non le lasciano posizionarsi vicino alla cittadina. Se ISIS riuscirà ad assaltare questa cittadina, allora, migliaia di curdi e civili cristiani­assiri saranno dispersi, torturati e decapitati. E prenderanno le donne e le ragazze come schiave sessuali.
Lo stesso scenario che ripetono ogniqualvolta prendono il controllo di una nuova area. I cittadini di Tell Tamer sono molto spaventati da questo futuro incerto in cui ISIS rappresenta una minaccia giorno e notte. La sofferenza è palapabile qui. La paura è reale. Il movimento di IDP sta andando avanti. La resistenza dei curdi e dei cristiani delle YPG contro ISIS non cessa. Ma il silenzio del mondo è assordante. Il mondo agirà per aiutare i difensori di questo cantone? Oppure, passerà all’azione solo dopo che una catastrofe avrà colpito Tell Tamer?
fonte : Uikionlus 14-11-2014

lunedì 10 novembre 2014

Rapporto dalla città assediata di Kobane

Da quasi due mesi i miliziani dello Stato Islamico (IS) assediano la città curda di Kobanê nel Rojava. Ersin Çaksu è uno dei pochi giornalisti che quotidianamente riferiscono dalla città assediata.
Sono arrivato a Kobanê il 19 settembre, quattro giorni dopo l’inizio degli attacchi di IS. La maggior parte di civili che ho visto sono scomparsi. Alcuni di loro sono fuggiti in Turchia, altri purtroppo sono rimasti uccisi nei combattimenti.
A Kobanê e nei 360 villaggi circostanti vivono circa 400.000 persone. Ora sono rimaste solo 4.000 persone nelle zone sicure del centro cittadino. Altri 5.000 civili vivono a Til Sheir, un villaggio a est di Kobanê. La zona è fittamente minata e si trova tra il filo spinato lungo il confine con la Turchia e una via ferroviaria.
Quando IS ha iniziato con gli attacchi, molte persone sono fuggite in questa zona con i loro averi. Ci sono intere famiglie, ma i loro occhi sono rivolti a Pîrsûs (Suruç), la città di confine sul lato turco.
L’unica modalità di collegamento tra Kobanê e Pîrsûs è possibile con il cellulare. Le persone su entrambi i lati si preoccupano le une per le altre. Mentre i civili a Kobanê sono parte della lotta contro IS, i loro parenti a Pîrsûs come profughi lottano per la sopravvivenza.
L’est di Kobanê per via degli attacchi con i mortai e degli attacchi suicidi di IS con veicoli carichi di esplosivo e degli attacchi aerei della coalizione anti-IS sembra una montagna di detriti. Prima della guerra l’est faceva parte delle aree benestanti della città.
Anche se parte sud della città non è danneggiata quanto la parte est, ovunque è visibile la distruzione. In queste aree della città ci sono stati intensi combattimenti strada per strada e nessuna delle porte di queste case è stata aperta. Tutte le cose sono collegate tra loro tramite enormi buchi nelle pareti. È possibile passare da casa a casa attraverso questi buchi e di arrivare in un’altra parte della città, quattro o cinque strade più in la.
In ogni strada ci sono veicoli distrutti. Dall’inizio dei combattimenti le strade in città non sono state pulite e la città è stata assaltata dalle mosche. Ma ora il tempo qui è diventato più fresco e la puzza nelle strade non è più così intensa. La fame e la carenza di acqua hanno significativamente peggiorato la situazione per i cani randagi e altri animali che vivono in strada. La maggior parte dei civili sono o persone anziane o donne con bambini piccoli. Anche se non gli è permesso andare al fronte e combattere contro IS, alcuni infrangono il divieto.
Xale Osman, 67, si è armato e combatte al fianco dei suoi due figli. „Mentre qui muoiono i giovani, credi davvero che io abbia paura della morte?“, mi chiede.
Di notte i civili lasciano le loro case solo in casi di emergenza. Se qualcuno si ammala vengono avvisate le milizie locali e un veicolo delle unità di difesa (YPG/YPJ) viene e porta le persone dove ci si prende cura di loro.
Se c’è minaccia di un attacco o di altri pericoli da parte di IS, le YPG/YPJ proclamano rapidamente un’emergenza e portano le persone in altre case fino a quando è passato il pericolo.
A Kobanê c’è un’enorme solidarietà. Spostarsi per la città diventa più facile di giorno in giorno perché il primo veicolo che si incontra per strada si ferma e offre un passaggio.
Forse proprio questa solidarietà spiega perché Kobanê ha resistito così a lungo. Ci sono solo poche persone che ancora vivono nelle proprie case. Se necessario, le porte delle case sono aperte per persone bisognose in ogni momento. Quelli che ancora vivono nelle proprie case si dividono con le persone bisognose formaggio, cetrioli sottaceto, martellata e frutta secca che avevano messo da parte per l’inverno.
Anche se la gente ha poco per sopravvivere lo dividono tra loro. Quando ad esempio serve una macchina, le YPG/YPJ aprono un garage e annotano il nome del proprietario del veicolo e la targa e la macchina può essere usata.
Non ci sono attività commerciali in città. L’unico negozio che è ancora aperto è il forno. Il pane che viene cotto li viene distribuito gratuitamente alla gente. Altri generi alimentari, soprattutto i cibi in scatola provenienti dalle riserve e dagli aiuti umanitari vengono distribuiti in determinati giorni in modo uniforme. L’acqua viene distribuita in grandi bottiglie. L’amministrazione locale ogni tre giorni distribuisce anche farina. Cinque famiglie si dividono un sacco da 50 kg di farina.
Ci sono civili che vanno volontariamente al fronte per svolgere lavori di utilità comune. Aggiustano veicoli, armi e generatori in una città che da 18 mesi è senza corrente elettrica.
In molti casi aiutano i medici a trasportare i feriti, portano armi e munizioni al fronte, cucinano per i combattenti o gli cuciono vestiti.
Mentre qui piano piano arriva l’inverno le malattie e l’igiene sono diventate un problema vero.
In tutta la città ci sono solo cinque medici e per via dalla carenza di equipaggiamento sanitario e di medicine, i medici nella maggior parte dei casi possono curare le ferite solo con mezzi di fortuna. I tre ospedali nella città di Kobanê sono stati distrutti dai bombardamenti e i medici curano i feriti in un piccolo edificio.
Molti che si ammalano si rifiutano di andare dal medico. Un’anziana donna in proposito spiega che l’equipaggiamento sanitario è già scarso. „La medicina non va sprecata per noi. I nostri figli combattono e vengono feriti. Le cure sanitarie, le medicine, vanno usati per loro.“
Intanto che il cimitero di Kobanê è diventato un campo di battaglia, i morti vengono sepolti in altre parti della città. Xatun, una donna, dopo il funerale di una parente – una giovane combattente – mi dice che non hanno tempo per osservare davvero il lutto. „Non piangeremo ora. Quando Kobanê sarà liberata piangerò due volte. Una volta le lacrime scorreranno per la tristezza per i giovani che abbiamo sepolto. E poi lacrime di gioia perché hanno sacrificato la propria vita e in questo hanno liberato Kobanê.“
Ersin Çaksu, giornalista, Özgür Gündem, 07.11.2014

domenica 9 novembre 2014

Occidentali si uniscono a curdi, arabi, laici, yezidi, e cristiani siriaci contro ISIS

La lotta curda in Siria lentamente diventa internazionale dato che un numero senza precedenti di volontari stranieri si uniscono alle milizie pro-curde per combattere contro gli jihadisti di Stato Islamico (IS).
Il caso di cui si è parlato di più è quello del veterano dell’aviazione statunitense 43enne Brian Wilson e dell’ex-Marine statunitense 28enne Jordan Matson.
Secondo fonti locali all’interno della regione curda della Siria del “Rojava”, 10 cittadini statunitensi e centinaia di volontari non-curdi, compresi arabi siriani, cittadini turchi ed europei si sono già uniti alle Unità di Difesa del Popolo (YPG) che combattono contro gli jihadisti di IS.
“Non fornisco dati, ma c’è un numero considerevole di occidentali che combattono nei ranghi delle YPG e di compagne europee che si sono unite all’Unità di Difesa delle Donne (YPJ). Ci sono anche molti compagni turchi,” dice il 28enne Kristopher Nicholaidis, che ha lasciato la Grecia e si è unito alle YPG in Siria cinque mesi fa.
NICHOLAIDIS in Grecia era attivo come artista locale e usava la sua arte e la sua politica per difendere i migranti, compresi i musulmani.
“Vengo da una famiglia politicizzata e sono un socialista democratico. Ho usato la mia arte per difendere la comunità musulmana dagli attacchi avviati dai fascisti del partito Alba Dorata, ma considero gli jihadisti di IS come i fascisti del 21° secolo che costituiscono una grande minaccia a livello globale dato che diffondono barbaricamente l’islamofascismo a livello internazionale,” dice. “Credo che quindi le YPG stiano guidando la più grande lotta antifascista del nostro tempo nel combattere gli jihadisti di IS. Mi sono unito alla loro lotta contro il fascismo globale in difesa della democrazia e della pace nel Rojava curdo.”
Arsalan Celik, 26, studiava Scienze Politiche in una delle più prestigiose università turche, ma l’ha lasciata e si è unito alle YPG nell’aprile di quest’anno.
“Non sono turco-curdo, sono turco della città di Mersin. Sono venuto qui perché gli jihadisti di IS sono venuti da tutto il mondo fomentando una guerra contro l’umanità e il mio governo li aiuta. Volevo fare una presa di posizione concreta contro IS e le YPG sono l’unica milizia democratica che ho trovato nella regione che contrattacca questi jihadisti” dice.
“Ho visto molti siriani arabi musulmani e molti turchi di sinistra che combattono contro IS nei ranghi delle YPG e YPJ, ma non abbiamo fatto notizia tanto quanto i nostri compagni statunitensi,” dice scherzando e aggiunge, “Combattiamo contro gli jihadisti di IS per difendere i valori democratici di questa rivoluzione guidata dai curdi perché solo i curdi ora sono in grado di portare la pace al Kurdistan, alla Siria e alla Turchia.”
CELIK non è uno straniero per i curdi siriani perché dallo scorso anno decine di uomini e donne turchi si uniti alle YPG e YPJ e alcuni di loro hanno perso la vita.
Serkan Tosun è stato il primo combattente turco delle YPG ucciso mentre combatteva per respingere gli attacchi jihadisti per difendere la città a maggioranza curda di Serekaniye (Ras Al-Ain) nel settembre 2013.
Il 30enne Nejat Agirnasli, un accademico turco, è stato ucciso due settimane fa mentre combatteva nei ranghi delle YPG in difesa della città di Kobane.
Zuleikha Muhammad del Comitato delle Madri dei Martiri del Rojava, il cui unico figlio si unito alle YPG ed ha perso la vita l’anno scorso dice: “I volontari internazionali non sono ‘stranieri’ come qualcuno li descrive perché non li consideriamo ‘stranieri’, sono nostri figli e il Rojava è la loro patria.”
Dice: “Vogliamo bene ai volontari internazionali come ai nostri stessi figli perché stanno combattendo contro gli uomini armati di IS per difenderci e cadono martiri come i nostri figli e le nostre figlie per difendere la causa rivoluzionaria del Rojava per la fratellanza tra i popoli.”
Azad Hussein, capitano delle YPG nella città di Jaz’a, dice: “I combattenti delle YPG in maggioranza sono curdi, ma anche siriani provenienti da percorsi politici, religiosi ed etnici diversi si uniscono. Ci sono anche alcuni stranieri, è vero.”, ma rifiuta di dare numeri precisi dei combattenti stranieri nelle YPG, aggiungendo che la selezione dei volontari stranieri da parte delle YPG è un “processo complicato”.
“I compagni internazionali che sono combattenti qualificati e comprendono anche la nostra causa sono benvenuti. Tuttavia rifiutiamo chi vuole unirsi a noi solo perché disilluso rispetto alla propria vita e in cerca qualche tipo di avventura. Tra questi ultimi ci sono anche curdi europei. Rifiutiamo queste persone e abbiamo già respinto molti di loro ai nostri confini,” dice Hussein.
Il 19enne HERISH ALI, un curdo britannico, dice che ha chiesto di unirsi alle YPG con altri cinque curdi europei ad agosto, ma le guardie di confine delle YPG li hanno respinti al confine tra Iraq e Syria.
“Abbiamo incontrato i combattenti delle YPG e siamo stati con loro al valico di confine di Sihela verso il Kurdistan irakeno. Sono stati gentili e abbiamo pensato che sarebbe stato meraviglioso unirci a loro, ma ci hanno rifiutati quando abbiamo detto che eravamo studenti e che avevamo doppia nazionalità,” dice Ali.
Aggiunge: “Gli abbiamo detto che ci sentiamo disprezzati perché è come se non fossimo uomini adatti a questa lotta, ma hanno continuato a respingere i nostri argomenti e di tornare in Europa e di studiare. Poi ci hanno portati a un vicino checkpoint di peshmerga curdi irakeni, dove anche i peshmerga si sono rifiutati di prenderci come volontari.”
Alcuni esponenti della sinistra in occidente hanno iniziato a paragonare le milizie delle YPG e YPJ in Siria con le Brigate Internazionali e le milizie del POUM che operavano nella guerra civile in Spagna nel 1936, ma non è così che le YPG si percepiscono.
“Non siamo comunisti né chiediamo uno stato-nazione curdo separatista. Siamo democratici che sostengono la terza via in Siria basata sulla filosofia del Confederalismo Democratico di Abdullah Ocalan. Le YPG sono milizie popolari e il popolo è libero di sostenere qualsiasi ideologia,” dice Bahoz Berxwedan, uno dei comandanti delle YPG che gestisce letture di formazione politica nella provincia di Al-Hasakah.
“Qualsiasi democratico amante della pace può unirsi a noi, a prescindere da religione, etnia e ideologia, purché accetti i nostri principi fondamentali di uguaglianza di genere, coesistenza pacifica e autonomia di autogoverno per tutte le comunità,” spiega. “Per questo i combattenti delle YPG comprendono curdi e arabi musulmani, laici, yezidi, cristiani siriaci e anche qualche compagno statunitense ed europeo.”
 di Rozh Ahmad

sabato 8 novembre 2014

Lettera da Kobane

Kader Ortakaya, uccisa ieri al confine dai soldati, prima di entrare a Kobane aveva scritto una lettera da far avere alla sua famiglia. Ortakaya ha perso la vita prima che la lettera raggiungesse i suoi genitori. Nella lettera ha scritto che andava a Kobane per combattere per l’umanità e chiedendo alla sua famiglia di sostenere la sua lotta. Ortakaya faceva parte dell’Iniziativa Partito per la Libertà Sociale (TÖPG) e studiava all’Università Marmara.
Ecco la lettera scritta da Ortakaya alla sua famiglia prima di andare a Kobane per unirsi alla storica resistenza:
“Cara famiglia,
Sono a Kobanê. Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per tutti noi. Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’umanità. Se oggi manchiamo nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe colpiranno le nostre case. Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati. Io credo di poter essere più utile unendomi a questa guerra che andando a lavorare in un ufficio. Probabilmente vi arrabbierete con me perché vi rendo tristi, ma prima o poi capirete che ho ragione.
Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali. Non voglio che nessuno venga sfruttato per tutta la vita per avere un pezzo di pane o un riparo. Perché questi desideri si avverino, bisogna lottare e combattere.
Ritornerò quando la guerra sarà finita e Kobanê sarà riconquistata. Quando tornerò per piacere accogliete anche i miei amici. Per piacere non cercate di trovarmi. È impossibile farlo. Una delle ragioni importanti per la quale sto scrivendo questa lettera è che non voglio che facciate sforzi per trovarmi e che ne soffriate. Se mi succede qualcosa ne sarete informati.
Se non volete che venga incarcerate e torturata in carcere, per piacere non rivolgetevi alla polizia o ad altre istituzioni dello stato. Se lo farete, io, voi e i miei amici, tutti ne soffriremo. Non dite nemmeno ai nostri parenti che sono andata a Kobanê in modo che non sarò incarcerata quando tornerò. Strappate questa lettera dopo averla letta.
Se volete fare qualcosa per me, sostenete la mia lotta. Siete rimasti in silenzio rispetto a tutti i malfunzionamenti dello stato. Dite basta al fatto che la gente viene uccisa per la strada, esposta a bombardamenti con gas, bombardata come è successo a Roboski. Continuerei a partecipare alle manifestazioni e alle attività delle associazioni se vivessi con voi. Vi affido la mia lotta fino a quando tornerò.
Vi abbraccio tutti, mia madre, mio padre e Ada, Deniz, Zelal e Mahir che sta per nascere. Mando un saluto particolare a mio fratello Kadri. Farà quello che è più adatto a lui.
Vi abbraccio con tutti i miei sentimenti rivoluzionari.
Il telefono è un regalo di mio fratello. Dentro ci sono le nostre foto. Mando la mia tessera di studente a mia madre. Lasciatele comprare le sue medicine fino a quando torno.
Vi amo tutti molto.
Per il momento arrivederci”

venerdì 7 novembre 2014

In Kurdistan si combatte per l'umanità


Alla riconquista di Kobane

6 novembre 2014
Mentre le YPG/YPJ (Unità di Difesa del Popolo/delle Donne) continuano la loro storica resistenza contro le bande di ISIS che attaccano Kobanê dal 15 settembre e l’iniziativa è ora nelle mani delle forze delle YPG, la comandante delle YPG/YPJ Meysa Ebdo ha illustrato l’attuale situazione nella battaglia di Kobane per ANF.
Meysa Ebdo ha informato che le forze delle YPG/YPJ hanno colpito in modo importante le bande di ISIS sui tre fronti della città negli ultimi tre giorni, dicendo anche che hanno svolto operazioni con forze dell’ESL e dei peshmerga sul fronte occidentale.
Ebdo ha richiamato l’attenzione sull’importanza di queste operazioni in cui – ha detto – le forze di assalto delle bande sono state spezzate, in particolare nel villaggio di Mezra Ebosha dove le forze congiunte di operazione hanno inflitto gravi colpi ai rinforzi delle bande.
Meysa Ebdo ha detto che anche il fronte sud negli ultimi giorni è diventato un inferno per le bande e che l’iniziativa su quel fronte ora è nelle mani delle YPG.
La comandante delle YPG/YPJ ha fatto notare che suk fronte est le bande sono state spinte indietro e che le forze delle YPG sono avanzate dove si sono concentrati gli attacchi.
Meysa Ebdo ha notato che di fronte alla forte risposta, le bande di ISIS negli ultimi giorni hanno lanciato una nuova ondata di attacchi al valico di confine di Mürşitpınar da un’area vicina al confine, aggiungendo che questi attacchi sono stati respinti.
Ebdo ha anche dichiarato che è stato garantito un ambiente relativamente sicuro ora che la battaglia volge a favore delle YPG e che per questo molti residenti di Kobanê hanno iniziato a tornare nella città.
“L’iniziativa ora è delle nostre forze in tutte le aree “, ha sottolineato Ebdo facendo appello a tutti i giovani uomini e tutte le giovani donne lontani da Kobanê di tornare nella loro città e di unirsi ai ranghi delle YPG/YPJ per difendere Kobanê.
Riferendosi a una recente discussione sul fatto che Kobanê sarebbe una città araba, una tesi sostenuta principalmente dai media turchi e dal Primo Ministro e dal Presidente turchi, Ebdo ha detto che; “Questa discussione è un ragionamento sporco usato da alcuni poteri che mirano a creare un conflitto tra i popoli arabo e curdo che comunque stanno facendo cadere questo sporco gioco attraverso l’alleanza tra le forze Burkan Al Fırat e quelle delle YPG.
Fin dall’inizio abbiamo affermato la nostra lotta per una vita comune in una Siria democratica e libera. Kobanê è ovviamente una città curda, ma fa anche parte di una Siria democratica. Questa è una verità riconosciuta anche dalla popolazione araba. Stiamo conducendo la nostra lotta insieme ai rappresentanti del popolo arabo.”
fonte : Retekurdistan

mercoledì 5 novembre 2014

Il melograno del Rojava

Suruc è una cittadina di 100.000 abitanti nel kurdistan turco. Dopo l'avanzata dei tafkiri dell'Isis, sono stati aperti una decina di campi profughi aumentando la popolazione di altri 150000 rifugiati: due di questi sono gestiti direttamente dal governo turco, ospitano le popolazioni siriane e non è consentito accedervi. Gli altri otto sono gestiti dalla municipalità di Suruc, ospitano le popolazioni kurde scacciate dall'isis e non è stato facile, emotivamente parlando, entrarci.
Quando si entra nella cittadina di Suruc, nella piazza centrale si erge un monumento raffigurante una mano che stringe un melograno, frutto simbolo di questa terra e anche di questo periodo. Tant'è che anche di fronte alla piazza c'è dipinto un altro melograno aperto in due su una parete gigante. Questo bellissimo frutto, a nostro avviso, contiene in sé l'essenza e la sintesi del quadro politico e sociale che i kurdi vivono attualmente e lo utilizzeremo come metafora per raccontare questo secondo giorno di carovana che stiamo cercando di avviare al meglio delle condizioni possibili.
Prendiamo la nostra giornata e dividiamola in due, come quando si spacca il melograno: da un lato c'è la buccia che brilla di un amaranto irregolare e lo scrigno bianco, dall'altra, all'interno, custoditi come perle preziose, ci sono i chicchi.
L'amaro della buccia lo abbiamo assaporato questo pomeriggio quando siamo entrati all'interno dei campi profughi per distribuire i dolci ai bambini. Vedere centinaia di loro correre, a volte scalzi e magari senza genitori, aggrapparsi alle nostre braccia e riuscire comunque a ridere, vederci come un'ancora che distribuisce sicurezza, per noi che non c'è mai capitato di entrare in questi luoghi è stato qualcosa che ci ha lasciato senza parole e con le lacrime agli occhi. Distribuivamo delle merendine che per i nostri figli sarebbero state banali, eppure per loro erano un tesoro che fermava le lacrime e apriva un sorriso che si estendeva immediatamente ai loro occhi. Quando abbiamo finito di distribuire i dolcetti, siamo stati invitati ad entrare in una tenda per bere il tradizionale cay , il the che si beve ad ogni ora della giornata. In una tenda di otto mq saremmo stati in più di quindici; seduti in cerchio via hanno servito il cay e poi le donne hanno cominciato a intonare dei canti tradizionali ed altri che inneggiavano a Kobane e a tutta la resistenza kurda. A volte diventa facile capire una lingua che non si conosce, e le donne e gli uomini kurdi in questo sono maestri.
Quando siamo usciti da quegli accampamenti ci siamo diretti verso la postazione dove partono gli autobus per Mehser, il villaggio dove siamo ospiti, e quelli per Kobane. Nei secondi abbiamo visto tantissimi giovani ragazzi e nei loro occhi abbiamo intuito la fierezza e la determinazione di chi magari ha anche perso tutto, ma sa benissimo perché e contro chi si combatte: contro chi ha distrutto i propri villaggi e ucciso i propri cari e per un'idea nuova di libertà ed autonomia che si chiama Rojava. Ed è proprio il Rojava, Kobane e tutti villaggi liberi dei kurdi a comporre quel mosaico dei fantastici chicchi che trasformano l'amaro della buccia nel sapore unico dell'autonomia.
Stamattina sul confine fra Mehser e Kobane abbiamo sentito il rumore dell'artiglieria, l'odore della polvere da sparo e abbiamo riconosciuto il sapore del melograno. Perché se come crediamo questo mondo va ricostruito, bisogna farlo a partire dall'esempio che queste donne e questi uomini danno all'umanità.
E allora: che la lotta continui, che il simbolo della vittoria si posi su Kobane, che il Rojava si diffonda, che i melograni diventino anticorpi contro l'ignoranza e le malvagità di questo mondo! Lunga vita alle ribelli e ai ribelli di tutto il mondo!
Roberto Cipriano, cso Labàs

martedì 4 novembre 2014

Viaggio a Suruç

4 novembre 2014
Siamo arrivati a Suruç da meno di due ore, accolti da un calore immenso. Nel quartier generale del partito DBP c'è fermento. Le porte delle stanze si aprono in continuazione, la fila per arruolarsi per combattere i tafkiri (termine dispregiativo che indica gli estremisti dell'Isis, il cui significato letterale riguarda chi accusa gli altri di infedeltà, apostasia) cresce esponenzialmente durante il corso della giornata. Abbiamo la fortuna di incontrare Khaled Barkal, vice governatore del cantone di Kobane, che ci rilascia questa breve intervista. A margine cita un detto curdo: un leone è sempre un leone. Non importa se sia uomo o donna.
Siamo a SURUC e vorremmo sapere prima di tutto di Kobane . Qual è la politica del governo di Kobane ?
Vuoi sapere della politica riguardante il conflitto o più in generale la politica di governo?
Qual è la carta costituente del cantone di Kobane?
Come saprai a Kobane  noi siamo un'autonomia democratica. Noi siamo parte della Siria, ma proponiamo una Siria democratica, una Siria progressista, una Siria rappresentativa, una Siria equa che appartenga a tutti i siriani. Vorremmo questo mondo in tutte le zone. La nostra regione è il cantone di Kobane. Noi vorremmo lasciare libertà alla popolazione di scegliere la propria religione, la possibilità di autogovernarsi senza limitazioni, così che la gente possa decidere per se stessa. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ognuno viene giudicato solo per questo, senza guardare partiti o appartenenze religiose. Nel nostro cantone si combatte chi perseguita e giudica a partire dal proprio credo, che è quello che accade nel Daesh ( stato islamico, dispregiativo). Quella del Daesh è una guerra settaria e di discriminazioni. La nostra è una guerra ideologica. Chi ci fa la guerra ce la dichiara perché contrari alle nostre idee progressiste e contrari alla nostra idea di democrazia, ma soprattutto perché siamo riusciti a creare un'autonomia democratica e genuina. La nostra idea grida che la Siria è di tutti i siriani e siamo riusciti a rendere questo reale in tutto il Rojava ed anche nel cantone di Kobane. Questa è la più grande minaccia per i takfiri del Daesh.
Nella tua risposta ci sono molte domande che volevo porti. Qual è il ruolo delle donne a Kobane?
Dal punto di vista della rappresentanza fino ad arrivare al punto di vista del avoro della terra, la donna ha un ruolo centrale. Lo si vede come esempio nel ruolo che le donne ricoprono all'interno dell'Ypg. A differenza degli altri eserciti dove le donne hanno dei ruoli secondari e dove ci sono pregiudizi nei riguardi delle loro capacità, tra noi curdi e all'interno dell'Ypg non esiste assolutamente questa distinzione. Da noi nel Rojava non esiste nessuna separazione fra uomo e donna. Noi abbiamo delle donne che combattono mentre i mariti si occupano della casa e della terra.
Quando è nato l'Ypg? Cosa è? Da chi è formato? Curdi? Arabi? Stranieri che arrivano da fuori come volontari?
L'Ypg è nato come un contenitore che potesse essere riempito da chiunque lo desideri. Innanzitutto è composto da tutti coloro che hanno voluto difendere se stessi dagli assassini che si sono trovati di fronte nel proprio territorio. L'Ypg è stato riempito da tutti gli uomini e le donne dei villaggi che hanno subito scorribande a cui poi si sono uniti rivoluzionati da tutti i paesi del mondo: curdi, arabi, tedeschi...che però si uniscono per condividere l'idea di una Siria progressista, democratica che guarda ad una redistribuzione equa delle ricchezze, con nessuna separazione fra lo straniero che sceglie di vivere quelle terre, e l'arabo o il curdo che ci sono nati.

Come fa chi è in Europa, chi condivide questo pensiero a dare un aiuto concreto a Kobane?
Noi prendiamo tutti gli aiuti senza distinzione, anche volontari che vengono dalla Germania  e dagli Stati Uniti; hanno scelto di arruolarsi come combattenti nelle nostre fila. L'unica discriminante per chi viene da fuori è che sia mosso d'amore, e con ciò non si crea nessun problema in assoluto.
Come sta andando la guerra? 
Innanzitutto siamo tutti resistenti, tutta la nostra popolazione è la resistenza. Da oltre un mese e mezzo stiamo vivendo un conflitto devastante, una battaglia ad alta intensità. C'erano forze militari in Iraq, in Siria, che si sono opposte e che sono state spazzate via in poco tempo. Tutte le armi che i takfiri hanno preso, le hanno prese dagli eserciti in fuga, e hanno preso armi leggere e pesanti, corazzati, mezzi d'artiglieria e blindati anti proiettili e con questi hanno scorrazzato in lungo e in largo senza incontrare resistenze efficaci. Fino a quando non hanno trovato Kobane, fino a quando non hanno trovato noi. 
Daesh è riuscito a spazzare via l'intero esercito iracheno con tutti i suoi carri armati e armi avanzate in 24 ore. Eppure da un mese e mezzo hanno concentrato gran parte delle loro forze su una piccola città come quella del nostro cantone che non conta niente a livello geografico e militare. La resistenza ha difeso e continua a difendere questo piccolo pezzo di terra con sole poche armi leggere, rischiando di ritrovarsi le case bruciate, i parenti uccisi, ritorsioni di ogni genere. Perché queste persone sentono di difendere la comunità,  il comune, Kobane e tutto quello che rappresenta. Sentono che questa è la loro guerra, una guerra per la terra, una guerra per il futuro. Tutti i resistenti dicono che difenderanno Kobane fino all'ultima goccia di sangue e tutta la sua popolazione. E se i takfiri gridano "Kobane cadrà ", noi gridiamo "Kobane vivrà!" Inch' Allah.
Intervista a cura di Karim Franceschi dei Centri Sociali delle Marche, Sara Montinaro e Roberto Cipriano  Ya Basta! Bologna per www.globalproject.info

domenica 2 novembre 2014

Anche Rainews documenta come la Turchia appoggia ISIS

Dopo il video pubblicato dal Daily Mail  e altri video amatoriali dove si vedono combattenti dell'Isis scambiarsi saluti coi soldati turchi, in esclusiva per Rainews24, Gian Micalessin dalla città siriana di Qamishli ha documentato quelle che sembrano le prove del presunto appoggio di Ankara ai miliziani del terrore: Esclusiva Rainews.

Fermate la vendita delle donne schiave del sesso


Arresti per le manifestazioni pro Kobane

Decine di persone sono state poste sotto custodia in quattro centri con l’accusa di aver preso parte alle iniziative di solidarietà con Kobanê e alle proteste contro ISIS. La polizia turca e i corpi speciali hanno organizzato irruzioni nelle case nel distretto Tekman di Erzurum,nelmus distretto Nazili di Aydin,nel distretto Derik a Mardin e a Varto.Nelle irruzioni nelle case in questi centri,31 persone,per la maggior parte giovani,sono stati posti sotto custodia.I cittadini sono stati posti in detenzione con l’accusa di aver partecipato alle iniziative di solidarietà con Kobanê e aver protestato contro ISIS.

lunedì 27 ottobre 2014

ISIS intensifica gli attacchi a Kobanê

Violenti scontri continuano sui fronti sud, est e ovest della città di Kobanê del Kurdistan occidentale, Rojava nel 41° giorno di attacchi intensificati delle bande di ISIS che mirano a occupare la città.
Reporter di ANHA sul posto hanno fatto sapere che i combattimenti tra le forze delle YPG [Unità di Difesa del Popolo] e le bande di ISIS sono diventati più pesanti sul fronte sud dove viene riferito che sono stati uccisi 14 componenti delle bande.
Pesanti scontri sono in corso anche sul fronte est, dove secondo i primi rapporti riusciti a trapelare, sono stati uccisi 9 componenti delle bande. Combattenti delle YPG si sono impossessati di una bomba che doveva essere usata in un attacco suicida.
Viene riferito che le bande stanno lanciando continui attacchi con mortai sul centro della città e che mirano ai civili.
Sul fronte ovest, i combattenti delle YPG hanno fatto un’azione contro le bande nella zona tra i villaggi di Pinder e Sosanê, distruggendo due veicoli e infliggendo pensanti perdite alle bande.
Combattenti delle YPG hanno anche distrutto un veicolo carico di armi pesanti appartenente alle bande nella zona tra il sud e l’ovest di Kobanê.
Altri due component di bande sono stati uccisi in un’altra azione dei combattenti delle YPG tra i villaggi di Menazê e Gulmet

Il prezzo di una donna al mercato del terrore

di Emanuela Irace – Un’intervista shock ad una giovane yazida rapita dai terroristi dello Stato islamico. Lei è riuscita a fuggire, le altre donne della sua famiglia sono rimaste prigioniere degli jihadisti.
Ci sono dolori troppo forti per essere raccontati. Le immagini ricompaiono. E la paura toglie il fiato. Difficile riuscire ad esprimere sentimenti, specie se hai solo diciassette anni e il tuo paese è in guerra. Una guerra asimmetrica. Preparata minuziosamente dall’estremismo islamico quasi un decennio fa. È il 2006, l’anno in cui la cellula irachena di Al-Qaeda si salda con lo Stato Islamico dell’Iraq. Il movimento nato per unificare sotto una unica sigla la galassia jihadista post Saddam Hussein. Ma il salto di qualità è nel 2010, quando Abu Bakra al-Baghdadi trasforma lo scacchiere siriano nella piattaforma del terrorismo internazionale finanziato da comparti geo-politici antagonisti. Ad agosto lo sceicco proclama lo Stato Islamico della Siria del Levante e dell’Europa sud occidentale. Conosciuto in Italia come ISIS. È l’inizio della fabbrica del terrore.
Il califfato tra Siria e Iraq sembra diventare un problema da affibbiare nel 2017 al prossimo inquilino della Casa Bianca. E la recente coalizione più un’operazione di facciata che una reale deterrenza. Politicamente la forza della barbarie, che negli ultimi mesi ha spazzato via intere comunità è un coacervo inestricabile. Alla volontà di riscatto sunnita verso gli sciiti – saliti al potere in Iraq in seguito all’invasione statunitense del 2003 – c’è il solito corollario. Il controllo delle risorse energetiche e la suddivisione della rendita petrolifera. Il resto è cronaca di questi giorni. Cronaca di guerra. Come per il Rojava, dove i kurdi difendono da mesi il proprio territorio e la città di Kobane. Diventata simbolo di resistenza per tutte le minoranze. Yazidi e cristiani compresi. Popolazioni perseguitate e massacrate sotto lo sguardo silenzioso della comunità internazionale. È l’emergenza profughi. Un milione e mezzo solo nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno.
Abasha è yazida. Ha i capelli lunghi e il fisico minuto. Fino a due mesi fa viveva a ovest di Mossul. In un villaggio a pochi chilometri dal confine con la Siria. Per settanta giorni e stata ostaggio dei terroristi dello Stato Islamico. Rapita. Insieme ad altre quindici donne della sua stessa famiglia. Ora abita nel distretto di Dahuk. Nel Kurdistan Iracheno. Abasha è un nome di fantasia. Mi chiede di non essere fotografata. Ha paura della vendetta jihadista. “Se parlo le uccideranno tutte. Io sono riuscita a scappare ma loro sono ancora li”, dice. Sediamo su un tappeto. Con me c’è l’interprete. Una cooperante francese e una attivista kurda. Abasha ha gli occhi grandi e seri. La sua età è poco più di quella di mia figlia. L’abbraccio e inizia a raccontare. Con fatica. “Sono scappata due volte ma la prima non è andata bene. Mi hanno catturata e rinchiusa”.
Ti ha aiutata qualcuno?
“No. Ho fatto tutto da sola”
Hai elaborato un progetto di fuga e in che modo sei riuscita a scappare?
“Avevo notato che il momento migliore era durante la cena. C’era più confusione e meno controllo. Una sera ci siamo messi a mangiare alle otto. Eravamo in tanti. Ho preso qualcosa, del cibo, e mi sono sporcata le mani. Ho chiesto di andare al bagno per lavarmele. Invece sono entrata in una stanza dove c’erano tutti i niqab, i veli neri preparati dai jiadisti per la nostra conversione, ne ho indossato uno e sono uscita. Ho corso e sono entrata in una casa. Ma quando hanno capito che ero una delle ragazze rapite mi hanno mandata via. Allora sono andata in un altra casa. E loro mi hanno aiutata. E adesso sono qui. Ma le altre donne sono ancora prigioniere”.
Cosa succede alle donne sequestrate?
“Donne e ragazze sono vendute al mercato. Vengono portate in Siria…”.
Abasha non se la sente più di proseguire. “Può raccontarti lui” mi dice indicandomi l’interprete, “lui lo sa. Era presente quando sono arrivata qui. Sono passati pochi giorni e per me è troppo doloroso. Troppo faticoso parlare..”. L’interprete è un ragazzo giovane. Mi dice che quando Abasha è arrivata al villaggio è stato straziante. Ha raccontato di una bambina violentata da 20 soldati. E la paura che potesse succedere anche a lei. E poi la fuga. E le botte. Dice che lei non è stata violentata. Ma non riesce più a dormire e ha smesso di sorridere. Ha il terrore che possa succedere qualcosa alle donne della sua famiglia.
Quanto costano e a chi vengono vendute le donne rapite?
“I prezzi variano dai 30.000 dinari ai 200 dollari. Ma adesso non valgono più niente. Spesso vengono cedute e basta. O usate dai soldati dello Stato Islamico. Abasha non è stata valutata. Ma è stata trattenuta, il suo prezzo sarebbe stato 200 dollari. Quelli che le comprano sono capi di tribù arabe e gli sceicchi delle Monarchie del Golfo .”
La comunità yazida accoglie queste ragazze?
“Adesso le accoglie. Prima sarebbe stato diverso. Meno di un mese fa Babasher, uno dei capi della comunità yazida responsabile del Consiglio Religioso, ha detto pubblicamente che bisogna rispettare le ragazze rapite. Ha anche parlato di aiuti psicologici e ha chiesto l’appoggio di associazioni europee”.
Abasha si alza in piedi e mi saluta. Si è fatto tardi anche per noi. Le dico di essere forte. Annuisce senza sorridere. Poi mi abbraccia.

fonte : NoiDonne