mercoledì 4 marzo 2015

A Kobane vince la terza via

La città di Kobane, nel nord della Siria è stata liberata dopo aver resistito per 135 giorni all’assalto del sedicente “Stato Islamico”. In prima fila per impedire la caduta della città le Unità di difesa popolare e femminili, composte prevalentemente da curdi. Le donne e gli uomini che hanno eroicamente resistito hanno innalzato la loro bandiera sulle ultime colline che circondano la città, dopo averle liberate dalle forze dell’ISIS. 
La resistenza contro l’estremismo islamico è stata guidata soprattutto da combattenti vicini al partito di liberazione curdo PKK, attivo nelle regioni curde della Turchia e al Partito di Unione Democratica (PYD), presente nelle zone settentrionali della Siria, tradizionalmente abitate da curdi e da altre minoranze. 
All’inizio del 2014 alcuni cantoni come Kobane, appartenenti alla Rojava, denominazione che indica le zone occidentali del Kurdistan, si sono proclamati autonomi e hanno iniziato ad autogestirsi. Si è trattato di un vero e proprio processo rivoluzionario basato su una concezione laica, democratica e progressista di governo dal basso, che ha rifiutato la deriva settaria e integralista che ha coinvolto e sconvolto molte altre realtà del Medio Oriente. Le Unità di Difesa Popolare curde avevano lanciato da tempo l’allarme sull’azione delle forze integraliste e sulle complicità che queste ricevevano dall’esterno. 
 Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno pensato invece di poterle usare contro il regime baasista di Assad. Solo quando queste forze hanno messo in pericolo il regime irakeno e il governo regionale del Kurdistan dell’Iraq, guidato da forze da tempo alleate all’occidente, l’occidente si è mobilitato per fermare l’ISIS. L’Unione Europea e gli USA hanno messo da anni nella “lista nera” delle organizzazioni considerate terroristiche, il PKK e altre organizzazioni del movimento di liberazione curdo. 
All’interno della Siria il movimento di liberazione curdo non si è allineato né con il regime di Assad, né con le forze subordinate alle potenze occidentale e soprattutto alle milizie integraliste e reazionarie (non solo dell’ISIS), finanziate da Arabia Saudita e Qatar, con la complicità più o meno aperta della Turchia. La vicenda di questi mesi a Kobane, come in altre realtà del mediorientale, dimostra invece che le forze realmente terroristiche e criminali sono in gran parte nutrite e finanziate dagli stati alleati degli USA e dell’Europa. 
Per questo le forze democratiche chiedono la cancellazione del PKK dalla “lista nera”. Il successo della difesa di Kobane è derivato dalla determinazione e dal coraggio del popolo curdo ma anche dal fatto che esso rappresenta un’alternativa in una regione dominata dall’odio etnico e religioso. 
L’obbiettivo dei curdi di Rojava, ispirati dal pensiero di Oçalan, il leader del PKK da anni imprigionato dai turchi in una piccola isoletta rigidamente controllata dai militari, non è di costituire uno Stato ma di creare un’alternativa al capitalismo globale rivendicando l’autonomia regionale, la liberazione delle donne e la cooperazione di tutti i popoli della regione attraverso quello che è stato definito come un sistema di “confederalismo democratico”.

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