Da Senigallia a Kobane
“Gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi del fronte”.
(Non c’è nessun dopoguerra – Wu Ming, Yo Yo Mundi)
Una giornata di primavera. Un cielo limpido. Un respiro trattenuto
tra Istanbul e Bologna. Un aeroporto. Il volto di Karim che appare tra
la folla. Gli abbracci.
Sono passati tre mesi. In Rojava. A Kobane. Volontario nelle file delle Forze di Difesa del Popolo (YPG). A combattere Isis.
Tre mesi a difesa di un progetto politico laico, femminista,
comunitarista ed ecologista chiamato “confederalismo democratico” o
“democrazia senza stato”. La vita in ballo. Ancora una volta, socialismo
o barbarie.
Tre mesi in guerra.
Guerra, qualcosa di estraneo a noi occidentali nati e vissuti da decenni in questa pace.
Guerra, una parola che abbiamo imparato a pronunciare con pudore.
Guerra, quello spazio che lambisce i confini d’Europa a sud, come a est. A sole poche ore di volo dalla “nostra” pace.
Karim ha attraversato questi spazi, quello d’occidente e d’oriente,
quello della pace e della guerra. Così lontani, così vicini, così
intersecati. Ed è tornato. Vivo.
Ora è il tempo del racconto. Condividere un’esperienza straordinaria,
nel senso etimologico del termine, fuori dall’ordinario. Un racconto
pubblico, che vuole divenire comune, perché ogni scelta partigiana è una
scelta politica.
Ancora una volta, vogliamo che le prime parole siano le sue.
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