12 / 9 / 2015
L'assedio di Cizre è finito questa mattina, all'alba.
Dal 4 settembre i suoi centodiecimila abitanti sono stati stretti dalla morsa dell'esercito turco. I carri armati hanno sbarrato le strade di accesso alla città per circa sei giorni, mentre truppe di polizia antisommossa caricavano tutti quelli che tentavano di passare, arrestavano giornalisti, allontanavano i (pochi) osservatori stranieri presenti. All'interno, intanto, le truppe dei reparti speciali hanno letteralmente scatenato l'inferno. Esattamente come l'Isis a Kobane, i cecchini militari si sono piazzati sul tetto dell'ospedale con l'ordine preciso di aprire il fuoco su tutti i civili che avessero violato il coprifuoco imposto da Erdogan: e così hanno fatto. Per gli abitanti non è stato possibile uscire da casa nemmeno per prendere pane, acqua e medicine. Fonti curde parlano di 31 morti in 8 giorni, tutti civili, il più piccolo dei quali aveva solo 35 giorni. Come a Kobane la popolazione si è barricata nei propri quartieri, costruendo barriere con sacchi di sabbia e stendendo teli tra le case per ostacolare la visibilità ai cecchini, esattamente come abbiamo visto fare dentro Kobane contro gli sniper del Califfato Nero.
Il blocco delle autorità turche alle reti internet e GSM non è riuscito a fermare le notizie che arrivavano dall'interno, anche se nessuno tra i principali media mainstream ha riportato nulla di ciò che è accaduto. Forse perchè l'aguzzino questa volta non era un califfo jihadista e tagliagole, ma un solido partner dell'occidente e pilastro della NATO, atteso anche all'EXPO milanese tra un paio di giorni.
Ora che il coprifuoco è finalmente finito, la dimensione e la crudeltà dell'assedio sono sotto gli occhi di tutti: edifici sventrati, centinaia di caricatori vuoti lungo le strade, pullman e automezzi crivellati di colpi. Le foto stanno facendo il giro del web, mentre decine di migliaia di persone in festa hanno invaso le strade e si sono riprese la città, acclamando a migliaia Selahattin Demirtas, il co-presidente dell'HDP, partito filocurdo che a Cizre ha incassato il 93% delle preferenze alle ultime elezioni.
In solidarietà ai cittadini di Cizre, il KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) ha indetto una serie di mobilitazioni rivolte a tutta la popolazione. “Il popolo curdo”, si legge nel comunicato, “deve insorgere immediatamente nelle quattro regioni del Kurdistan e ovunque si trovi, mostrando anche solidarietà con tutti i propri affini sottoposti a strage, repressione e persecuzione”. E ancora: “Tutte le forze democratiche e rivoluzionarie in Turchia, in Medio Oriente e nel mondo, dovrebbero insorgere per evitare di essere parte di questa persecuzione ai danni del Kurdistan. La gente di Cizre dovrebbe essere sostenuta allo stesso modo in cui è stata sostenuta la resistenza di Kobanê. E' il momento di insorgere e sostenere il popolo del Kurdistan Bakur, in primo luogo il popolo di Cizre”.
L'appello è stato accolto da tutte le città del Kurdistan. A Suruç, dove ci troviamo, l'adesione è stata totale. Il Bazar, cuore sociale ed economico, solitamente animato da negozi e botteghe di ogni tipo, oggi è completamente deserto. Nel frattempo l'esercito e la polizia hanno intensificato la guardia alle caserme e alla prefettura che si trovano a poche centinai di metri dal centro città.
Ritirandosi da Cizre, il governo turco ha comunque sferrato il suo colpo di coda. È di questa mattina, infatti, la notizia che il ministro dell'interno ha destituito Leyla Imret, la giovane donna sindaco di Cizre, colpevole secondo Ankara di aver “incitato la popolazione alla rivolta armata”. A lei va tutta la nostra simpatia.
Marco, Pasquale,Tommaso
Dal 4 settembre i suoi centodiecimila abitanti sono stati stretti dalla morsa dell'esercito turco. I carri armati hanno sbarrato le strade di accesso alla città per circa sei giorni, mentre truppe di polizia antisommossa caricavano tutti quelli che tentavano di passare, arrestavano giornalisti, allontanavano i (pochi) osservatori stranieri presenti. All'interno, intanto, le truppe dei reparti speciali hanno letteralmente scatenato l'inferno. Esattamente come l'Isis a Kobane, i cecchini militari si sono piazzati sul tetto dell'ospedale con l'ordine preciso di aprire il fuoco su tutti i civili che avessero violato il coprifuoco imposto da Erdogan: e così hanno fatto. Per gli abitanti non è stato possibile uscire da casa nemmeno per prendere pane, acqua e medicine. Fonti curde parlano di 31 morti in 8 giorni, tutti civili, il più piccolo dei quali aveva solo 35 giorni. Come a Kobane la popolazione si è barricata nei propri quartieri, costruendo barriere con sacchi di sabbia e stendendo teli tra le case per ostacolare la visibilità ai cecchini, esattamente come abbiamo visto fare dentro Kobane contro gli sniper del Califfato Nero.
Il blocco delle autorità turche alle reti internet e GSM non è riuscito a fermare le notizie che arrivavano dall'interno, anche se nessuno tra i principali media mainstream ha riportato nulla di ciò che è accaduto. Forse perchè l'aguzzino questa volta non era un califfo jihadista e tagliagole, ma un solido partner dell'occidente e pilastro della NATO, atteso anche all'EXPO milanese tra un paio di giorni.
Ora che il coprifuoco è finalmente finito, la dimensione e la crudeltà dell'assedio sono sotto gli occhi di tutti: edifici sventrati, centinaia di caricatori vuoti lungo le strade, pullman e automezzi crivellati di colpi. Le foto stanno facendo il giro del web, mentre decine di migliaia di persone in festa hanno invaso le strade e si sono riprese la città, acclamando a migliaia Selahattin Demirtas, il co-presidente dell'HDP, partito filocurdo che a Cizre ha incassato il 93% delle preferenze alle ultime elezioni.
In solidarietà ai cittadini di Cizre, il KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) ha indetto una serie di mobilitazioni rivolte a tutta la popolazione. “Il popolo curdo”, si legge nel comunicato, “deve insorgere immediatamente nelle quattro regioni del Kurdistan e ovunque si trovi, mostrando anche solidarietà con tutti i propri affini sottoposti a strage, repressione e persecuzione”. E ancora: “Tutte le forze democratiche e rivoluzionarie in Turchia, in Medio Oriente e nel mondo, dovrebbero insorgere per evitare di essere parte di questa persecuzione ai danni del Kurdistan. La gente di Cizre dovrebbe essere sostenuta allo stesso modo in cui è stata sostenuta la resistenza di Kobanê. E' il momento di insorgere e sostenere il popolo del Kurdistan Bakur, in primo luogo il popolo di Cizre”.
L'appello è stato accolto da tutte le città del Kurdistan. A Suruç, dove ci troviamo, l'adesione è stata totale. Il Bazar, cuore sociale ed economico, solitamente animato da negozi e botteghe di ogni tipo, oggi è completamente deserto. Nel frattempo l'esercito e la polizia hanno intensificato la guardia alle caserme e alla prefettura che si trovano a poche centinai di metri dal centro città.
Ritirandosi da Cizre, il governo turco ha comunque sferrato il suo colpo di coda. È di questa mattina, infatti, la notizia che il ministro dell'interno ha destituito Leyla Imret, la giovane donna sindaco di Cizre, colpevole secondo Ankara di aver “incitato la popolazione alla rivolta armata”. A lei va tutta la nostra simpatia.
Marco, Pasquale,Tommaso
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