mercoledì 5 novembre 2014

Il melograno del Rojava

Suruc è una cittadina di 100.000 abitanti nel kurdistan turco. Dopo l'avanzata dei tafkiri dell'Isis, sono stati aperti una decina di campi profughi aumentando la popolazione di altri 150000 rifugiati: due di questi sono gestiti direttamente dal governo turco, ospitano le popolazioni siriane e non è consentito accedervi. Gli altri otto sono gestiti dalla municipalità di Suruc, ospitano le popolazioni kurde scacciate dall'isis e non è stato facile, emotivamente parlando, entrarci.
Quando si entra nella cittadina di Suruc, nella piazza centrale si erge un monumento raffigurante una mano che stringe un melograno, frutto simbolo di questa terra e anche di questo periodo. Tant'è che anche di fronte alla piazza c'è dipinto un altro melograno aperto in due su una parete gigante. Questo bellissimo frutto, a nostro avviso, contiene in sé l'essenza e la sintesi del quadro politico e sociale che i kurdi vivono attualmente e lo utilizzeremo come metafora per raccontare questo secondo giorno di carovana che stiamo cercando di avviare al meglio delle condizioni possibili.
Prendiamo la nostra giornata e dividiamola in due, come quando si spacca il melograno: da un lato c'è la buccia che brilla di un amaranto irregolare e lo scrigno bianco, dall'altra, all'interno, custoditi come perle preziose, ci sono i chicchi.
L'amaro della buccia lo abbiamo assaporato questo pomeriggio quando siamo entrati all'interno dei campi profughi per distribuire i dolci ai bambini. Vedere centinaia di loro correre, a volte scalzi e magari senza genitori, aggrapparsi alle nostre braccia e riuscire comunque a ridere, vederci come un'ancora che distribuisce sicurezza, per noi che non c'è mai capitato di entrare in questi luoghi è stato qualcosa che ci ha lasciato senza parole e con le lacrime agli occhi. Distribuivamo delle merendine che per i nostri figli sarebbero state banali, eppure per loro erano un tesoro che fermava le lacrime e apriva un sorriso che si estendeva immediatamente ai loro occhi. Quando abbiamo finito di distribuire i dolcetti, siamo stati invitati ad entrare in una tenda per bere il tradizionale cay , il the che si beve ad ogni ora della giornata. In una tenda di otto mq saremmo stati in più di quindici; seduti in cerchio via hanno servito il cay e poi le donne hanno cominciato a intonare dei canti tradizionali ed altri che inneggiavano a Kobane e a tutta la resistenza kurda. A volte diventa facile capire una lingua che non si conosce, e le donne e gli uomini kurdi in questo sono maestri.
Quando siamo usciti da quegli accampamenti ci siamo diretti verso la postazione dove partono gli autobus per Mehser, il villaggio dove siamo ospiti, e quelli per Kobane. Nei secondi abbiamo visto tantissimi giovani ragazzi e nei loro occhi abbiamo intuito la fierezza e la determinazione di chi magari ha anche perso tutto, ma sa benissimo perché e contro chi si combatte: contro chi ha distrutto i propri villaggi e ucciso i propri cari e per un'idea nuova di libertà ed autonomia che si chiama Rojava. Ed è proprio il Rojava, Kobane e tutti villaggi liberi dei kurdi a comporre quel mosaico dei fantastici chicchi che trasformano l'amaro della buccia nel sapore unico dell'autonomia.
Stamattina sul confine fra Mehser e Kobane abbiamo sentito il rumore dell'artiglieria, l'odore della polvere da sparo e abbiamo riconosciuto il sapore del melograno. Perché se come crediamo questo mondo va ricostruito, bisogna farlo a partire dall'esempio che queste donne e questi uomini danno all'umanità.
E allora: che la lotta continui, che il simbolo della vittoria si posi su Kobane, che il Rojava si diffonda, che i melograni diventino anticorpi contro l'ignoranza e le malvagità di questo mondo! Lunga vita alle ribelli e ai ribelli di tutto il mondo!
Roberto Cipriano, cso Labàs

martedì 4 novembre 2014

Viaggio a Suruç

4 novembre 2014
Siamo arrivati a Suruç da meno di due ore, accolti da un calore immenso. Nel quartier generale del partito DBP c'è fermento. Le porte delle stanze si aprono in continuazione, la fila per arruolarsi per combattere i tafkiri (termine dispregiativo che indica gli estremisti dell'Isis, il cui significato letterale riguarda chi accusa gli altri di infedeltà, apostasia) cresce esponenzialmente durante il corso della giornata. Abbiamo la fortuna di incontrare Khaled Barkal, vice governatore del cantone di Kobane, che ci rilascia questa breve intervista. A margine cita un detto curdo: un leone è sempre un leone. Non importa se sia uomo o donna.
Siamo a SURUC e vorremmo sapere prima di tutto di Kobane . Qual è la politica del governo di Kobane ?
Vuoi sapere della politica riguardante il conflitto o più in generale la politica di governo?
Qual è la carta costituente del cantone di Kobane?
Come saprai a Kobane  noi siamo un'autonomia democratica. Noi siamo parte della Siria, ma proponiamo una Siria democratica, una Siria progressista, una Siria rappresentativa, una Siria equa che appartenga a tutti i siriani. Vorremmo questo mondo in tutte le zone. La nostra regione è il cantone di Kobane. Noi vorremmo lasciare libertà alla popolazione di scegliere la propria religione, la possibilità di autogovernarsi senza limitazioni, così che la gente possa decidere per se stessa. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ognuno viene giudicato solo per questo, senza guardare partiti o appartenenze religiose. Nel nostro cantone si combatte chi perseguita e giudica a partire dal proprio credo, che è quello che accade nel Daesh ( stato islamico, dispregiativo). Quella del Daesh è una guerra settaria e di discriminazioni. La nostra è una guerra ideologica. Chi ci fa la guerra ce la dichiara perché contrari alle nostre idee progressiste e contrari alla nostra idea di democrazia, ma soprattutto perché siamo riusciti a creare un'autonomia democratica e genuina. La nostra idea grida che la Siria è di tutti i siriani e siamo riusciti a rendere questo reale in tutto il Rojava ed anche nel cantone di Kobane. Questa è la più grande minaccia per i takfiri del Daesh.
Nella tua risposta ci sono molte domande che volevo porti. Qual è il ruolo delle donne a Kobane?
Dal punto di vista della rappresentanza fino ad arrivare al punto di vista del avoro della terra, la donna ha un ruolo centrale. Lo si vede come esempio nel ruolo che le donne ricoprono all'interno dell'Ypg. A differenza degli altri eserciti dove le donne hanno dei ruoli secondari e dove ci sono pregiudizi nei riguardi delle loro capacità, tra noi curdi e all'interno dell'Ypg non esiste assolutamente questa distinzione. Da noi nel Rojava non esiste nessuna separazione fra uomo e donna. Noi abbiamo delle donne che combattono mentre i mariti si occupano della casa e della terra.
Quando è nato l'Ypg? Cosa è? Da chi è formato? Curdi? Arabi? Stranieri che arrivano da fuori come volontari?
L'Ypg è nato come un contenitore che potesse essere riempito da chiunque lo desideri. Innanzitutto è composto da tutti coloro che hanno voluto difendere se stessi dagli assassini che si sono trovati di fronte nel proprio territorio. L'Ypg è stato riempito da tutti gli uomini e le donne dei villaggi che hanno subito scorribande a cui poi si sono uniti rivoluzionati da tutti i paesi del mondo: curdi, arabi, tedeschi...che però si uniscono per condividere l'idea di una Siria progressista, democratica che guarda ad una redistribuzione equa delle ricchezze, con nessuna separazione fra lo straniero che sceglie di vivere quelle terre, e l'arabo o il curdo che ci sono nati.

Come fa chi è in Europa, chi condivide questo pensiero a dare un aiuto concreto a Kobane?
Noi prendiamo tutti gli aiuti senza distinzione, anche volontari che vengono dalla Germania  e dagli Stati Uniti; hanno scelto di arruolarsi come combattenti nelle nostre fila. L'unica discriminante per chi viene da fuori è che sia mosso d'amore, e con ciò non si crea nessun problema in assoluto.
Come sta andando la guerra? 
Innanzitutto siamo tutti resistenti, tutta la nostra popolazione è la resistenza. Da oltre un mese e mezzo stiamo vivendo un conflitto devastante, una battaglia ad alta intensità. C'erano forze militari in Iraq, in Siria, che si sono opposte e che sono state spazzate via in poco tempo. Tutte le armi che i takfiri hanno preso, le hanno prese dagli eserciti in fuga, e hanno preso armi leggere e pesanti, corazzati, mezzi d'artiglieria e blindati anti proiettili e con questi hanno scorrazzato in lungo e in largo senza incontrare resistenze efficaci. Fino a quando non hanno trovato Kobane, fino a quando non hanno trovato noi. 
Daesh è riuscito a spazzare via l'intero esercito iracheno con tutti i suoi carri armati e armi avanzate in 24 ore. Eppure da un mese e mezzo hanno concentrato gran parte delle loro forze su una piccola città come quella del nostro cantone che non conta niente a livello geografico e militare. La resistenza ha difeso e continua a difendere questo piccolo pezzo di terra con sole poche armi leggere, rischiando di ritrovarsi le case bruciate, i parenti uccisi, ritorsioni di ogni genere. Perché queste persone sentono di difendere la comunità,  il comune, Kobane e tutto quello che rappresenta. Sentono che questa è la loro guerra, una guerra per la terra, una guerra per il futuro. Tutti i resistenti dicono che difenderanno Kobane fino all'ultima goccia di sangue e tutta la sua popolazione. E se i takfiri gridano "Kobane cadrà ", noi gridiamo "Kobane vivrà!" Inch' Allah.
Intervista a cura di Karim Franceschi dei Centri Sociali delle Marche, Sara Montinaro e Roberto Cipriano  Ya Basta! Bologna per www.globalproject.info

domenica 2 novembre 2014

Anche Rainews documenta come la Turchia appoggia ISIS

Dopo il video pubblicato dal Daily Mail  e altri video amatoriali dove si vedono combattenti dell'Isis scambiarsi saluti coi soldati turchi, in esclusiva per Rainews24, Gian Micalessin dalla città siriana di Qamishli ha documentato quelle che sembrano le prove del presunto appoggio di Ankara ai miliziani del terrore: Esclusiva Rainews.

Fermate la vendita delle donne schiave del sesso


Arresti per le manifestazioni pro Kobane

Decine di persone sono state poste sotto custodia in quattro centri con l’accusa di aver preso parte alle iniziative di solidarietà con Kobanê e alle proteste contro ISIS. La polizia turca e i corpi speciali hanno organizzato irruzioni nelle case nel distretto Tekman di Erzurum,nelmus distretto Nazili di Aydin,nel distretto Derik a Mardin e a Varto.Nelle irruzioni nelle case in questi centri,31 persone,per la maggior parte giovani,sono stati posti sotto custodia.I cittadini sono stati posti in detenzione con l’accusa di aver partecipato alle iniziative di solidarietà con Kobanê e aver protestato contro ISIS.

lunedì 27 ottobre 2014

ISIS intensifica gli attacchi a Kobanê

Violenti scontri continuano sui fronti sud, est e ovest della città di Kobanê del Kurdistan occidentale, Rojava nel 41° giorno di attacchi intensificati delle bande di ISIS che mirano a occupare la città.
Reporter di ANHA sul posto hanno fatto sapere che i combattimenti tra le forze delle YPG [Unità di Difesa del Popolo] e le bande di ISIS sono diventati più pesanti sul fronte sud dove viene riferito che sono stati uccisi 14 componenti delle bande.
Pesanti scontri sono in corso anche sul fronte est, dove secondo i primi rapporti riusciti a trapelare, sono stati uccisi 9 componenti delle bande. Combattenti delle YPG si sono impossessati di una bomba che doveva essere usata in un attacco suicida.
Viene riferito che le bande stanno lanciando continui attacchi con mortai sul centro della città e che mirano ai civili.
Sul fronte ovest, i combattenti delle YPG hanno fatto un’azione contro le bande nella zona tra i villaggi di Pinder e Sosanê, distruggendo due veicoli e infliggendo pensanti perdite alle bande.
Combattenti delle YPG hanno anche distrutto un veicolo carico di armi pesanti appartenente alle bande nella zona tra il sud e l’ovest di Kobanê.
Altri due component di bande sono stati uccisi in un’altra azione dei combattenti delle YPG tra i villaggi di Menazê e Gulmet

Il prezzo di una donna al mercato del terrore

di Emanuela Irace – Un’intervista shock ad una giovane yazida rapita dai terroristi dello Stato islamico. Lei è riuscita a fuggire, le altre donne della sua famiglia sono rimaste prigioniere degli jihadisti.
Ci sono dolori troppo forti per essere raccontati. Le immagini ricompaiono. E la paura toglie il fiato. Difficile riuscire ad esprimere sentimenti, specie se hai solo diciassette anni e il tuo paese è in guerra. Una guerra asimmetrica. Preparata minuziosamente dall’estremismo islamico quasi un decennio fa. È il 2006, l’anno in cui la cellula irachena di Al-Qaeda si salda con lo Stato Islamico dell’Iraq. Il movimento nato per unificare sotto una unica sigla la galassia jihadista post Saddam Hussein. Ma il salto di qualità è nel 2010, quando Abu Bakra al-Baghdadi trasforma lo scacchiere siriano nella piattaforma del terrorismo internazionale finanziato da comparti geo-politici antagonisti. Ad agosto lo sceicco proclama lo Stato Islamico della Siria del Levante e dell’Europa sud occidentale. Conosciuto in Italia come ISIS. È l’inizio della fabbrica del terrore.
Il califfato tra Siria e Iraq sembra diventare un problema da affibbiare nel 2017 al prossimo inquilino della Casa Bianca. E la recente coalizione più un’operazione di facciata che una reale deterrenza. Politicamente la forza della barbarie, che negli ultimi mesi ha spazzato via intere comunità è un coacervo inestricabile. Alla volontà di riscatto sunnita verso gli sciiti – saliti al potere in Iraq in seguito all’invasione statunitense del 2003 – c’è il solito corollario. Il controllo delle risorse energetiche e la suddivisione della rendita petrolifera. Il resto è cronaca di questi giorni. Cronaca di guerra. Come per il Rojava, dove i kurdi difendono da mesi il proprio territorio e la città di Kobane. Diventata simbolo di resistenza per tutte le minoranze. Yazidi e cristiani compresi. Popolazioni perseguitate e massacrate sotto lo sguardo silenzioso della comunità internazionale. È l’emergenza profughi. Un milione e mezzo solo nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno.
Abasha è yazida. Ha i capelli lunghi e il fisico minuto. Fino a due mesi fa viveva a ovest di Mossul. In un villaggio a pochi chilometri dal confine con la Siria. Per settanta giorni e stata ostaggio dei terroristi dello Stato Islamico. Rapita. Insieme ad altre quindici donne della sua stessa famiglia. Ora abita nel distretto di Dahuk. Nel Kurdistan Iracheno. Abasha è un nome di fantasia. Mi chiede di non essere fotografata. Ha paura della vendetta jihadista. “Se parlo le uccideranno tutte. Io sono riuscita a scappare ma loro sono ancora li”, dice. Sediamo su un tappeto. Con me c’è l’interprete. Una cooperante francese e una attivista kurda. Abasha ha gli occhi grandi e seri. La sua età è poco più di quella di mia figlia. L’abbraccio e inizia a raccontare. Con fatica. “Sono scappata due volte ma la prima non è andata bene. Mi hanno catturata e rinchiusa”.
Ti ha aiutata qualcuno?
“No. Ho fatto tutto da sola”
Hai elaborato un progetto di fuga e in che modo sei riuscita a scappare?
“Avevo notato che il momento migliore era durante la cena. C’era più confusione e meno controllo. Una sera ci siamo messi a mangiare alle otto. Eravamo in tanti. Ho preso qualcosa, del cibo, e mi sono sporcata le mani. Ho chiesto di andare al bagno per lavarmele. Invece sono entrata in una stanza dove c’erano tutti i niqab, i veli neri preparati dai jiadisti per la nostra conversione, ne ho indossato uno e sono uscita. Ho corso e sono entrata in una casa. Ma quando hanno capito che ero una delle ragazze rapite mi hanno mandata via. Allora sono andata in un altra casa. E loro mi hanno aiutata. E adesso sono qui. Ma le altre donne sono ancora prigioniere”.
Cosa succede alle donne sequestrate?
“Donne e ragazze sono vendute al mercato. Vengono portate in Siria…”.
Abasha non se la sente più di proseguire. “Può raccontarti lui” mi dice indicandomi l’interprete, “lui lo sa. Era presente quando sono arrivata qui. Sono passati pochi giorni e per me è troppo doloroso. Troppo faticoso parlare..”. L’interprete è un ragazzo giovane. Mi dice che quando Abasha è arrivata al villaggio è stato straziante. Ha raccontato di una bambina violentata da 20 soldati. E la paura che potesse succedere anche a lei. E poi la fuga. E le botte. Dice che lei non è stata violentata. Ma non riesce più a dormire e ha smesso di sorridere. Ha il terrore che possa succedere qualcosa alle donne della sua famiglia.
Quanto costano e a chi vengono vendute le donne rapite?
“I prezzi variano dai 30.000 dinari ai 200 dollari. Ma adesso non valgono più niente. Spesso vengono cedute e basta. O usate dai soldati dello Stato Islamico. Abasha non è stata valutata. Ma è stata trattenuta, il suo prezzo sarebbe stato 200 dollari. Quelli che le comprano sono capi di tribù arabe e gli sceicchi delle Monarchie del Golfo .”
La comunità yazida accoglie queste ragazze?
“Adesso le accoglie. Prima sarebbe stato diverso. Meno di un mese fa Babasher, uno dei capi della comunità yazida responsabile del Consiglio Religioso, ha detto pubblicamente che bisogna rispettare le ragazze rapite. Ha anche parlato di aiuti psicologici e ha chiesto l’appoggio di associazioni europee”.
Abasha si alza in piedi e mi saluta. Si è fatto tardi anche per noi. Le dico di essere forte. Annuisce senza sorridere. Poi mi abbraccia.

fonte : NoiDonne

giovedì 23 ottobre 2014

Appello per la prevenzione immediata di una tragedia umana nella regione di Sinjar

Nuovi attacchi dell’ISIS ai kurdi Yezidi sui Monti Sinjar.I kurdi Yezidi si trovano ancora una volta sotto la costante minaccia di genocidio.
I terroristi dell’ISIS hanno intensificato gli attacchi, iniziati una settimana fa, per portare a termine la pulizia etnica della catena del Shengal, nel Kurdistan iracheno.
Il nuovo attacco mira ad allontanare i curdi Yezidi dalla propria terra durante la stagione invernale, per massimizzare le atrocità e le sofferenze. Le uniche forze a Shengal, che stanno proteggendo gli abitanti, sono le HPG (Forze di Difesa del Popolo) e YBS, che è l’unità di protezione degli Yezidi. Sinjar (Shengal), una città considerata sacra dai curdi Yezidi, è stata occupata da bande ISIS fin dalla notte del 2 agosto. Quando le bande sono entrate nella città di Sinjar e hanno appeso le loro bandiere nere, le persone sono fuggite per paura di un massacro. L’occupazione della città ha sfollato circa 200.000 curdi Yezidi.
Ci sono ancora più di 12.000 civili sui Monti Sinjar e, in questo momento, stanno affrontando un massacro. Seguirà sicuramente una tragedia umanitaria, poiché essi non hanno accesso ad acqua e cibo.
Tra i civili ci sono migliaia di bambini. La comunità internazionale, in particolare l’ONU e l’UE, non dovrebbe abbandonare i civili al loro destino. Deve essere evitata immediatamente una tragedia umanitaria, poiché vi è un alto rischio di morti per fame e sete.
L’ISIS continua a compiere crimini contro l’umanità, dopo i suoi attacchi brutali contro la popolazione nel Rojava e contro i cristiani a Mosul. L’ISIS ha dichiarato apertamente che ha intenzione di trasformare la demografia della regione. Con i suoi metodi spietati, ha gettato l’intera regione in un futuro incerto e pericoloso.
La minaccia di un nuovo massacro contro il popolo curdo Yezidi di Sinjar sta diventando una possibilità reale e il pericolo sta aumentando ora dopo ora. Sostenere la resistenza curda contro l’ISIS significherebbe impedire l’ennesimo genocidio degli Yezidi.
KNK-Congresso Nazionale del Kurdistan

ISIS starebbe usando armi chimiche a Kobane

Asya Abdullah co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD), che si trova a Kobane, ha raccontato a Kurdish Question che questa sera (21 ottobre) è stato compiuto un attacco chimico in un quartiere orientale della città. Abdullah ha affermato che non sanno da dove sia arrivato l’attacco perché non si è registrata alcuna esplosione.
Essa ha dichiarato: “Potrebbe essere stato un missile silenzioso o un missile piazzato precedentemente nel quartiere. Molte persone hanno perso conoscenza e stanno lottando per riuscire a respirare e vedere. Stiamo indagando la situazione ma non abbiamo l’attrezzatura tecnica necessaria per fare i test.”
Il Dr. Welat, uno dei quattro medici a Kobane, ha riferito a Guney Yildiz, un giornalista della BBC World, che sospettava che l’attacco chimico fosse gas cloro o proiettili al fosforo. Il Dr Welat ha dichiarato: “Non possiamo confermare un attacco chimico senza prove adeguate e chiediamo perciò che le attrezzature mediche possano essere paracadutate.”
Questo è il secondo incidente che si verifica, in cui lo Stato Islamico potrebbe aver usato armi chimiche a Kobane.

domenica 19 ottobre 2014

Il muro della vergogna tra Turchia e Kobane

Il report del primo giorno in Kurdistan degli attivisti Egidio Giordano e Luca Manunza
Pubblichiamo un testo inviatoci dagli attivisti partiti ieri per il Kurdistan ed arrivati nella città di Suruç, la città curda sul confine turco che accoglie i profughi della battaglia di Kobane che si svolge pochissimo oltre il confine. Il loro scopo, è di fare informazione dal basso, video-documentare le voci di chi è arrivato nei campi profughi da Kobane, ma anche di chi sul confine cerca di sostenerli e subisce la repressione turca che è sempre attiva in Kurdistan. E soprattutto cercano di capire con relazioni dirette quali sono le forme per esprimere solidarietà internazionalista concreta per le donne e gli uomini che si trovano là.
La prima impressione che abbiamo a poche ore dall’arrivo a Suruç è quella di una città divisa. Da una parte il tetro colore dell’esercito, che chiude cinicamente ogni varco, ogni strada, ogni via d’accesso al confine e non contento si fa rifornire ancora dal Governo di Ankara di mezzi per impermeabilizzare ancora di più la frontiera. Dall’altra l’umanità viva e vera dei curdi. L’enorme massa umana che si distribuisce tra i campi profughi in cui si accalcano le famiglie (soprattutto anziani e bambini) dei partigiani che lottano incessantemente dall’altra parte dei blocchi.
Una massa a cui si uniscono progressivamente anche i feriti, che tornano indietro e superano il confine per farsi curare, clandestinamente e rischiando l’arresto. Poi ci sono i giovani, tanti ma non sappiamo ancora dire quanti, che si accalcano sulle colline in attesa che si apra una porta. La sensazione che si respira forte è che questa città stia solo aspettando di speronare quel muro di soldati e vergogna per invadere Kobane e riprendersi i territori dalle mani fasciste di ISIS.
Dall’altra parte, ci dicono, il cibo e le munizioni stanno finendo, nonostante la resistenza continui e porti risultati importanti. Suruç però sa cosa accade dall’altra parte, a una manciata di chilometri, e preme per tendere la mano a chi resiste. Tra poche ore incontreremo il sindaco della città e proveremo a farci raccontare cosa è accaduto in queste ultime settimane in questo posto ai confini dell’Europa, dove va in scena delle più eclatanti rappresentazioni dell’ingiustizia delle frontiere e della necessità di distruggerle.
Intanto a Kobane si combatte ancora, infatti pochi minuti fa a 1 km dalla città si udivano spari ed esplosioni, ed in questo momento sono iniziati i bombardamenti aerei sulle basi d’appoggio dell’IS.
fonte : Global Project

Sciopero della fame per Kobane

18 ottobre:
Circa 4 mila detenuti del PKK e del PAJK(Parito della liberazione delle donne del Kurdistan) hanno avviato in 92 carceri i uno sciopero della fameper protestare contro la collaborazione del governo dell’AKP con ISIS di fronte agli attacchi in corso delle bande di ISIS alla città curda di Kobanê nel Kurdistan occidentale, il Rojava.
Allo sciopero irreversibile e a tempo indeterminato avviato dalle detenute del PAJK il 9 Ottobre a Gebze ,vi hanno aderito di migliaia di altri in 92 carceri dal 15 Ottobre.
Rilasciando un comunicato per conto dei detenuti, Deniz Kaya ha affermato che:”Come detenuti del PAJK e del PKK dichiariamo la nostra solidarietà ai combattenti delle YPG e delle YPJ e annunciamo che stiamo avviando uno sciopero della fame per condannare la collaborazione AKP-ISIS,l’atteggiamento ostile della polizia dell’AKP contro la rivolta della nostra gente,e continueremo questa azione fino a quando la minaccia del genocidio incombe su Kobane,fino a quando continuerà la collaborazione AKP-ISIS e fino a quando il governo aprirà un corridoio umanitarione nel Rojava.Se la nostra richiesta non verrà accolta radicalizzeremo la nostra azione.
Kaya ha anche chiesto al popolo curdo di aumentare la loro solidarietà con l’eroica resistenza di Kobanê e di esporre la collaborazione AKP-ISIS.

lunedì 13 ottobre 2014

Kobani, le lacrime di chi combatte per la vita

Mi sono ricordata di te e ho pianto. Azad ha una bella voce. Anche lui ha pianto quando stava cantando. Anche a lui manca sua madre che non vede da un anno.
Ieri abbiamo aiutato un amico ferito. É stato ferito da due proiettili. Non sapeva molto della seconda ferita quando stava indicando la prima pallottola nel petto. Stava sanguinando troppo dai suoi fianchi. Abbiamo fasciato la ferita e gli ho dato il mio sangue. Siamo nel lato est di Kobani, madre…A sole poche miglia ci troviamo tra noi e loro. Vediamo le loro bandiere nere, sentiamo le loro radio, qualche volta non capiamo cosa dicono quando parlano lingue straniere, ma possiamo dire che sono spaventati.
Noi siamo un gruppo di nove combattenti. Il più giovane Resho è di Afrin. Ha combattuto a Tal Abyad è si unito a noi. Alan è di Qamishlo, la zona migliore ,ha combattuto a Sere Kaniye e poi si è unito a noi. Ha qualche cicatrice sul suo corpo. Ci ha detto che sono per Avin. Il più vecchio è Dersim, viene dalle montagne di Kandil e sua moglie ha subito il martirio a Diyarbekir e lo ha lasciato con 2 bambini.
Siamo in una casa alla periferia di Kobani. Non sappiamo molto dei suoi proprietari. Ci sono foto di un uomo anziano e una di un giovane uomo con un nastro nero, un martire… C’è una foto di Qazi Mohamad, Mulla Mustafa Barzani, Apo e una vecchia mappa ottomana che cita il nome Kurdistan.
Non abbiamo avuto il caffè per un po‘, abbiamo scoperto che la vita è bella anche senza caffè. Onestamente non ho mai avuto un caffè buono come il vostro mamma. Siamo qui per difendere una città pacifica. Non abbiamo mai preso parte all’uccisione di nessuno, invece abbiamo ospitato molti feriti e rifugiati dei nostri fratelli siriani. Stiamo difendendo una città musulmana che ha decine di moschee. Le stiamo difendendo da forze barbare.
Mamma, io vi verrò a trovare una volta che questi sporca guerra, che è calata su di noi, sarà finita. Io sarò lì con il mio amico Dersim che andrà a Diyarbekir per incontrare i suoi figli. A noi tutti manca casa e vogliamo tornare, ma questa guerra non sa cosa significa mancare.
Forse non tornerò madre. Allora sii certa che ho sognato di vederti per così tanto tempo ma io non sono stata fortunata.
So che visiterete Kobani un giorno e cercherete la casa che ha visto i miei ultimi giorni… è sul lato est di Kobani. Parte di essa è danneggiata, ha una porta verde che ha molti buchi da colpi da cecchino e vedrete tre finestre, su di una sul lato est, vedrete il mio nome scritto in inchiostro rosso … Dietro quella finestra madre, ho aspettato contando i miei ultimi momenti, guardando la luce del sole mentre penetrava nella mia stanza dai fori di proiettile in quella finestra... Dietro quella finestra, Azad ha cantato la sua ultima canzone su sua madre, aveva una bella voce quando diceva “mamma mi manchi”.
tua figlia Narin (da Retekurdistan.it)

“Mi sono ricordata di te e ho pianto” scrive alla propria madre una miliziana kurda delle Unità di difesa del popolo asserragliata nella Kobanê assediata. E sembra di vederla quella mamma simile alle donne incontrate sulla via d’un più antico dolore.
Scempi che si rinnovano e trovano nuovi attori nei jihadisti dell’Isis che assediano il simbolo d’una speranza, mentre sono rinnegati da islamici pronti a rigettare ogni presunzione di guerra santa. Una santificazione che appare malata e percorre esaltazioni prodotte dall’imperialismo, quello arabo saudita da anni suggeritore e finanziatore di certo fondamentalismo, quello occidentale cui piace il fuoco della “pax romana”. Sembra la santificazione reazionaria della guerra ‘igiene del mondo’ percorsa dai nazionalismi più biechi, anche quando a cantarne le lodi erano aedi d’indubbie qualità letterarie come Ernst Jünger e Louis-Fernand Céline. Diversamente da loro c’è chi non crede alle guerre come “il più potente incontro fra popoli”. C’è chi come la guerriglia kurda le combatte, è costretta a combatterle, sia che si ribelli cercando una società nuova, sia che si difenda opponendo dignità e speranze, rincorrendo un futuro di vita, non di morte.
Non lanciamo manicheismi. Non si vuole santificare una parte e mostrare gli avversari come demoni senz’anima. Fuori da apriorismi ideologici, s’osserva un panorama fortemente ideologizzato che espone chiaramente da un lato il senso di coesione e gestione armonica dell’esistenza non inficiata da esasperazioni etniche, religiose, politiche, all’opposto un desiderio d’imposizione, omologazione, pensiero unico. Due tipologie di presente e futuro, una rivolta alla vita, la seconda oscura come i propri vessilli. Vorremmo leggere, se mai verrà scritta, la missiva d’un jihadista dell’Isis alla propria madre, per comprendere se al possibile lirismo mostrato da altri esaltatori della sopraffazione s’unisce l’afflato del sentimento. Ora abbiamo sotto gli occhi le descrizioni minute di chi ha un gran cuore: un manipolo di nove combattenti asserragliati in una casa difesa con armi leggere. Tutto mentre il nemico bombarda dalle colline e possibili ‘alleati’ sono fermi sul proprio confine. C’è speranza nella mente della guerrigliera Narin, c’è anche l’ipotesi di non poter vedere cosa accadrà domani. E lo strazio delle madri che sopravvivono ai figli è attenuato solo dall’ideale di trovare nel loro sacrificio un percorso che continua. Salvare Kobanê è l’impegno di Narin e dei guerriglieri dell’Ypg perché la vita prosegua.
fonte contropiano.org

domenica 12 ottobre 2014

ISIS attacca i civili vicino al confine

11 ottobre
In un comunicato che annuncia il bilancio degli scontri che hanno avuto luogo tra venerdì e sabato mattina,il centro stampa delle YPG ha dichiarato che l’avanzata di ISIS è stata fermata sui fronti orientale,occidentale e meridionale.
Le YPG hanno riferito che 70 membri delle bande sono stati uccisi e che anche gli attacchi aerei degli ultimi giorni si sono dimostrati influenti e hanno contribuito a infliggere perdite alle bande.
Le YPG hanno anche affermato che 5 combattenti sono morti negli scontri nelle ultime 24 ore.Affermano che le loro forze stanno resistendo con una forte determinazione e spirito di devozione contro le bande che attaccano con tutte le loro forze da est,ovest e a sud di Kobanê con l’obbiettivo di impadronirsi della città.
Le YPG hanno richiamato l’attenzione che”le bande hanno un alto vantaggio tecnico,ma,di fronte alla forte risposta delle nostre forze,hanno quindi difficoltà nell’ avanzare nel centro della città, e adesso hanno iniziato a lanciare attacchi suicidi e a bombardare i civili in città e nelle zone vicino ai confini.
I duri scontri che sono iniziati ieri mattina a est di Kobanê sono continuati fino a questa mattina,affermano le YPG aggiungendo:”Le nostre forze,lanciando offensive di volta in volta, hanno fermato l’avanzata delle bande, per quanto abbiamo potuto accertare ,29 membri delle bande sono stati uccisi sul fronte orientale”.
Il comunicato informa che sul fronte meridionale le bande hanno avviato bombardamenti con carri armati e artiglieria sulle postazioni delle forze delle YPG:”Mentre le bande hanno tentato di avanzare attraverso i bombardamenti,le nostre forze hanno risposto duramente e per quanto possa essere uccidendone 17 membri”.
Poichè sono stati ostacolati sul fronte orientale e meridionale, le bande hanno tentato di ottenere alcuni risultati attraverso l’uso di camion carichi di esplosivo.
1 attacco suicida sul fronte orientale, e un altro sul fronte meridionale sono stati impediti prima che i camion carichi di esplosivo raggiungessero le postazioni delle YPG ed i camion sono stati distrutti nelle loro aree.
Sul fronte occidentale,afferma il comunicato,le forze delle hanno YPG la scorsa notte hanno lanciato un’operazione contro una base delle bande situato appena fuori della città.Due veicoli sono stati distrutti e 22 loro membri sono stati uccisi nell’attacco.
Il comunicato afferma che 5 combattenti delle YPG sono caduti negli scontri.Le YPG hanno anche condiviso informazioni sugli attacchi aerei delle forze della coalizione:””A parte gli scontri tra le nostre forze e le bande di ISIS,nei giorni scorsi sono stati effettuati attacchi aerei da parte della coalizione attorno a Kobanê.
Gli attacchi aerei della coalizione hanno dimostrato essere influenti infliggendo perdite sulle bande.Hanno dimostrato che è importante che gli attacchi aerei continuino in modo più influente al fine di rompere la forza delle bande e di respingerle.