Roma, 19 gennaio 2013, Nena News - Si complica la situazione
nella regione semiautonoma del Kurdistan iracheno. Lo scorso
mercoledì è giunta notizia di un raid effettuato da una pattuglia
di F-16 turchi sulle montagne del Qandil, roccaforte-santuario del
PKK.
L'azione militare è destinata ad allargare la frattura che divide la
comunità curda, chiarendo ulteriormente come il crescente appoggio
del governo turco al KRG (Governo regionale curdo) abbia l'intento
di isolare e depotenziare il PKK. L'offensiva rende ancora più
complessa la situazione nella scacchiera curda, vanificando i
flebili effetti delle aperture al dialogo di Ankara e dei negoziati
di pace che per la prima volta coinvolgono il fondatore del Partito
dei Lavoratori del Kurdistan, Abdullah Ocalan.
Diyarbakir, città di 500mila abitanti nell'Anatolia Sud-Orientale, è
in questi giorni epicentro delle cronache del conflitto: dalle sue
basi militari sono partiti gli F-16 che hanno bombardato le montagne
del Kurdistan iracheno per distruggere i bunker dove sono
asserragliati i capi del PKK. Ankara ritiene che oltre duemila
militanti del partito si nascondano nell'area montuosa, le cui
impervie cime sono difficili da raggiungere con veicoli militari.
Erdogan ha fatto sapere che gli attacchi si protrarranno finché i
militanti del partito non decideranno di deporre le armi. Cinquanta
postazioni dei ribelli sono state colpite, ma non sono noti dati
sul numero delle vittime.
Sempre a Diyarbakir si sono tenuti il 17 gennaio i funerali delle
tre attiviste del PKK uccise la scorsa settimana a Parigi. Decine
di migliaia sono scesi in piazza per piangere la morte di Sakine
Cansaz, 55enne fondatrice del PKK, di Fidan Dogan e di Leyla
Soylemez, rispettivamente 30 e 24 anni. Se permane l'incertezza sui
mandanti dell'omicidio - Erdogan ha parlato negli scorsi giorni
di "faida interna al movimento", mentre politici e attivisti curdi
parlano di un'azione collegabile ai servizi segreti turchi -
risultano chiari l'intento e l'effetto dell'azione: sabotare il
dialogo e generare nuove violenze.
A partire dallo scorso dicembre, per ammissione dello stesso capo
dei servizi segreti nazionali Hakan Fidan, è stato intrapreso un
dialogo di pace con Abdullah Ocalan, capo spirituale del PKK.
L'ex leader del partito è tenuto in isolamento nella prigione-isola
di Imrali dal 1999. La richiesta di Erdogan è chiara e univoca:
disarmo dei militanti del PKK. Le concessioni che Ankara
sarebbe disposta a fare sono varie, dalla liberazione di alcuni
prigionieri del PKK e di altri partiti indipendentisti curdi, fino
all'eliminazione del divieto di insegnare la lingua curda in alcune
scuole della Turchia. Secondo The Economist rimane però
un'incognita: Ocalan è venerato dalla comunità curda, ma non è
chiaro quanta influenza possa ancora vantare sui nuovi capi del
partito dopo oltre dieci anni di isolamento.
All'interno del Kurdistan la situazione è complessa. La
crescente cooperazione tra Ankara e Erbil vede una forte ipoteca
turca sullo sfruttamento delle ingenti risorse petrolifere
presenti nel Kurdistan iracheno. Il denaro che la Turchia sta
investendo nel potenziamento delle infrastrutture della regione
autonoma non prescinde però da maggiori garanzie sulla piena
collaborazione del KRG nell'isolare i militanti del PKK. Un
Kurdistan sempre più lontano da Baghdad dovrà impegnarsi a risolvere
il conflitto che separa l'opinione pubblica interna alla regione.
Il crescente appoggio della Turchia al Kurdistan iracheno va contro
la tradizionale intenzione di Ankara di mantenere unito l'Iraq: una
sua frammentazione era sempre stata vista come causa d'indebolimento
regionale, destinata ad eliminare un utile baluardo anti-iraniano. Gli
atteggiamenti del primo ministro iracheno Al-Maliki e il suo
avvicinamento a Teheran hanno però progressivamente turbato la
Turchia che ha aumentato il suo appoggio alla regione
semi-autonoma del Kurdistan, cercando di vincolare Barzani a un
maggior impegno a richiamare i membri più ostili della comunità
curda presenti in Turchia e a mettere ordine all'interno della
propria regione.
Prosegue intanto il conflitto tra l'Iraq e la regione curda. La
devoluzione del 17% del bilancio statale dell'Iraq nelle casse di
Erbil non è stata sufficiente a trattenere il governo di Barzani dal
cedere alle lusinghe dei grandi investitori internazionali,
allettati dall'enorme disponibilità di risorse petrolifere ancora
non sfruttate nell'area. La decisione del Kurdistan di non
utilizzare più dallo scorso aprile l'oleodotto nazionale per le
esportazioni di petrolio ha generato ulteriore acredine,
risoltasi in un aumento delle tensioni lungo i confini con l'Iraq.
Nell'area proseguono intanto le violenze: in quest'ultima settimana
due attentati hanno insanguinato Tikrit e Tuz Khurmatu, uccidendo
oltre 30 persone e ferendone più di 200.
Una grande quantità di elementi va quindi a dipingere un quadro
fosco per il futuro della comunità curda. L'ambigua politica di
Ankara che alterna aperture alla trattativa e pugno di ferro,
l'opposizione dei nazionalisti turchi e delle frange più estreme e
irredentiste del PKK la fanno da padroni in un conflitto che da
decenni dissangua la Turchia. Le oltre 40mile vittime del conflitto
tra Turchia e PKK dagli anni Ottanta ad oggi continuano a interporsi
tra le due parti, rendendo difficile un effettivo progresso nei
rapporti.
Nena News
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