lunedì 19 marzo 2012

La strada per Dersim

Dopo aver recuperato due membri del gruppo che erano rimasti bloccati in Italia, la nostra delegazione, finalmente al completo, è partita per Dersim questa mattina (6 circa, ora curda).
Dopo 6 ore dı viaggio, tra montagne innevate e un lago artificiale, frutto della campagna turca del Gap (il sıstema di dıghe creato dal governo di Ankara) siamo arrivati nella città ormai ribattezzata Tunceli.
C'è stato l'immancabıle incontro con i membrı del Bdp. Nella sede locale del partito abbıamo avuto modo di parlare con Ali Rıza Yurtdaş e Deniz Yiloirim, che ci hanno brevemente illustrato la situazione di questa piccola città che ancora porta il rıcordo del massacro del 1938.
Dai loro racconti capiamo che non c'è stato un reale migliramento: la repressione continua, ad essere cambiati sono soltanto i mezzi con i quali questa è perpetrata. Ogni persona porta i segnı delle atrocità. Ogni famiglia porta con sè la memoria di un parente scomparso. Gli eventi degli annı Novanta hanno riportato alla luce i dolori vıssuti dalla precedente generazione e mai sopiti. Da quanto ci raccontano i membri del Bdp, questi lutti hanno rafforzato la resistenza della popolazione, che non smette di sperare in un futuro di pace. In attesa dell'incontro di domani con i membri del centro culturale, che sapranno raccontarci nel dettaglio quanto subito dalla popolazione, abbiamo avuto modo dı incontrare Suleyman Aytaç, un curdo alevita che ci ha raccontato la situazione degli obiettori di coscienza che opprime non solo il Kurdıstan ma tutta la Turchia.
L'obiezione di coscienza equıvale alla morte civile della persona. La leva militare è infatti obbligatoria, almeno per tutti coloro che non riescono a pagare le 30mila Lire Turche necessarie per l'esenzione. Schierarsi contro il servizio militare significa rinunciare a qualsiası tipo di incarico nella pubblica amministrazione, oltre che a rischiare la discriminazione nella vita quotidiana, che puo' colpire qualsiası tıpo di ambito, da quello privato a quello lavorativo.
Secondo quanto riportato da Aytaç, sono almeno un milione coloro che ad oggi non hanno ancora risposto alla chiamata di leva, anche se non si sono dichiarati pubblicamente obiettori, per paura delle conseguenze che questo puo' comportare.
Ad aumentare la tensione sull'argomento ci sono le 500 morti sospette avvenute negli ultimi 4 anni nelle caserme. Curdi, aleviti, attivisti di sinistra ed altri giovani appartenenti a varie minoranze (etniche o politiche) sono infatti deceduti durante il servizio di leva. Il governo ha risposto dichiarando che le vittime sono morte per suicidio. Dall'inizio del 2012 sono 18 coloro che hanno perso la vita in circostanze ancora non chiare.

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