giovedì 22 marzo 2012

Il rientro a Diyarbakir

Dopo aver preso 3 pulmini e un traghetto, intorno a mezzogiorno torniamo ad Amed. Incontriamo subito l'associazione Ihd. Come ogni anno ci illustrano in maniera dettagliata qual'è la situazione dei diritti umani non solo in Kurdistan ma in tutta la Turchia. Il presidente della sezione di Diyarbakir è in carcere da ormai due anni. Il suo segretario, che da allora ne fa le veci, ci informa di come la situazione che si è creata durante il Newroz di quest'anno abbia riportato alla mente gli eventi degli anni '90, quando la repressione contro il popolo curdo ha raggiunto uno dei suoi apici. La tendenza del governo di Ankara ad usare la violenza contro il popolo curdo si rispecchia anche nell'aumento dei casi di violazione dei diritti umani: se nel 2010 la cifra era di circa 23mila casi, nel 2011 si sono quasi sfiorati i 30mila. Le violazioni più frequenti riguardano in particolare la violenza sui minori, la tortura in carcere e i limiti imposti alla libertà di espressione.

Nel primo pomeriggio incontriamo Abdullah Demirbaş, a capo della municipalità di Sur. Nonostante le sue condizioni di salute e i 415 anni di reclusione richiesti da Ankara contro di lui per la sua attività polıtıca a favore dei curdi, il suo umore è ancora alto. Le sue parole sono in sıntonia con quanto detto anche dal segretario dell'Ihd: la repressione attuata da Ankara durante l'ultimo Newroz mostra come l'Akp non abbia nessuna intenzione dı risolvere politicamente la questione curda, nonostante le parole pronunciate da Erdogan di fronte ai suoi colleghi europei. "La pace è una cosa talmente importante che non si puo' lasciare solo ai governi", conclude Demirbaş.

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