Irfan Gurz con voce pacata, senza risentimento né animosità ci racconta la sua storia, simile a moltissime altre.
Ecco le sue parole:
“L'essere giunti oggi a una condizione per cui, in televisione e negli articoli di giornale, si possa discutere di argomenti che un tempo mettevano paura persino a nominarli e che erano consideratireato, è un gran bel progresso. Purtroppo, assieme a ciò, nessuno fa riferimento alle cause di certi argomenti...
Il giorno 5 Ottobre del 1994 sono stato cacciato con la forza dal villaggio di Buzlutepe, del distretto
di Ovacık, nella provincia di Tunceli. Le nostre case sono state svuotate, la roba da una parte, i bambini da un'altra, gli animali da un'altra ancora; abbiamo vissuto il nostro giorno del giudizio. Qui non voglio trattare della dimensione drammatica e traumatica di ciò che abbiamo vissuto.
Quello che mi preoccupa oggi è quando potremo ritornare ai nostri villaggi. Dopo aver vissuto 17anni di esilio, per la prima volta nell'estate del 2010, sono potuto andare per qualche ora a vedere il mio villaggio. Nell'estate dell'anno successivo, abbiamo potuto rimanere nel nostro villaggio per due mesi nella misura in cui alloggiavamo nei pascoli. Dopo essere stato cacciato dal mio villaggio io non sono mai riuscito a ricrearmi una nuova vita in città. La ragione di ciò, oltre all'attesa del giorno in cui sarei potuto ritornare al mio villaggio, è questa: la gente che vive in città in che misura può mai crearsi una vita?
Mentre da un lato sta la dura verità che dice che nel nostro paese ci sono milioni di giovani disoccupati, io e le migliaia di persone come me che sono state cacciate dai villaggi dove possono lavorare? Per di più, gli studi sociologici che diversi accademici hanno compiuto su questo argomento sono alla luce del giorno: coloro che emigrano dai villaggi alle città in cerca di lavoro o che come noi sono stati fatti emigrare a forza, come risultato della disoccupazione, della povertà e dello spiazzamento culturale, non potendo raggiungere uno stile di
vita adatto alla città, divengono un fattore importante nelle percentuali dei crimini.
Io voglio tornare al mio villaggio, produrre e vivere sul mio pezzo di terra, voglio friggere nel mio olio. Oggi come oggi non c'è nessun ostacolo legale al ritorno al villaggio. Allo stesso tempo, lo stato non ci offre una soluzione. Ci si dice: “Andate e stabilitevi nel vostro villaggio”. Purtroppo però io non posseggo la forza economica che mi consenta di tornare al villaggio e rifondare lì una vita. Senza dire che io non mi sono separato dal villaggio per piacere. Sono stato cacciato a forza dallo stato. A questo proposito lo stato ha prodotto la legge numero 5333 che comincia “Per far sì che non rimangano vittima del terrorismo...”, dando il via a un serie di pagamenti a coloro che, cacciati dal proprio villaggio, avevano un possedimento catastale: il risarcimento viene pagato in base alla quota catastale. (E di questa legge si è avvalsa gente che aveva abbandonato il villaggio 50 anni fa e addirittura gente il cui villaggio non è mai stato evacuato). Grazie a questa legge il denaro che mi spetta è 24 mila lire turche (Pari a circa 10.000 euro). Ovviamente io non ho accettato questo denaro e ho fatto ricorso. E non penso minimamente di prendere questo denaro. Ora vi chiedo: per
una persona che è stata cacciata da casa sua, costretta a vendere il suo bestiame per niente, costretta a vivere per 17 anni in esilio in un'altra città, può essere questo denaro un risarcimento alle perdite non solo economiche, ma anche, ancora più importanti, a quelle morali? Con questi soldi voi riuscireste a costruire una casa al villaggio?
Per di più, al villaggio non c'è acqua, non c'è elettricità, non c'è la strada! Queste cose devo farle io con 24 mila lire oppure spettano allo stato? Io non voglio soldi dallo stato. Questi soldi rimangano nelle sue mani, a me basta che la mia vita al villaggio venga ricostruita. Su questo argomento i questori dello stato dicono “Potete stabilirvi al villaggio, non c'è nessun tipo di impedimento legale, anzi vi sosteniamo attraverso vari progetti”, presunti tali (come Köydes, Kdrp, Sodes e simili progetti istituzionali); ma quando la questione
arriva al punto di dover costruire le infrastrutture non ci danno più alcun sostegno, e, con tutta una serie di ragioni, e senza mai disconoscere la ragionevolezza della nostra richiesta, in maniera molto educata, si girano dall'altra parte. Riguardanti questo argomento si possono trovare centinaia di petizioni da me presentate dal 1995 a oggi alla questura di Tunceli, al Ministero degli Interni, alla Questura di Ovacık, al Direttorato per l'Agricoltura di Tunceli, all'amministrazione di Tunceli. Ancora lo scorso anno, nell'incontro che ho avuto con il questore di Ovacık, mi si è detto che loro mi sarebbero stati d'aiuto nella costruzione della casa, ma che io dovevo far richiesta per l'acqua e l'elettricità agli enti competenti. Solo che per l'installazione dell'elettricità l'ente competente vuole che io possieda una casa al villaggio e solo con l'autorizzazione che ne deriva posso fare richiesta. Il succo che sono riuscito a spremere da tutto ciò è che lo stato non vuole che noi torniamo ai nostri villaggi.
Oggi io voglio chiedere un favore a tutti i politici, gli intellettuali, gli scrittori, i pensatori del nostro paese: per favore qualcuno di voi porti all'ordine del giorno questo argomento. Nel 1994 a Tunceli la gente è stata evacuata con la forza dai propri villaggi. La gente ha vissuto drammi, pene e ingiustizie bastanti per scrivere un romanzo a testa. E oramai tanta gente come me, vuole poter tornare a vivere nei villaggi. Prego che qualcuno porti l'argomento all'ordine del giorno e che si trovi una soluzione.”
(ringraziamo Francesco per al traduzione)
Mazgirt Belediyesi
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