domenica 12 ottobre 2014

Kobane: la resistenza curda respinge di nuovo i jihadisti

11 ottobre:
Secondo le notizie rilanciate da numerosi media locali, i combattenti delle milizie popolari sarebbero riuscite a bloccare durante la notte l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico verso il centro della città di Kobane, nel Rojava siriano al confine della Turchia.
"C'è stato un assalto dell'Isis dalla parte meridionale della città, con l'obiettivo di raggiungere il centro, ma è stato respinto dai combattenti curdi dopo violenti combattimenti" ha spiegato alla France presse Rami Abdel-Rahman, il direttore dell'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, una ong vicina ai ribelli islamisti 'moderati' con base a Londra.
Scontri sporadici sono in corso questa mattina nella zona meridionale, sud-occidentale e orientale della città, e all'alba la coalizione internazionale guidata dagli Usa ha lanciato due nuovi raid aerei nel sud e nell'est della zona.
In queste ore i combattenti curdi stanno anche lanciando "operazioni speciali" nell'est della città, penetrando nelle zone controllate dall'Isis per uccidere membri dell'organizzazione jihadista e ritirarsi poi nelle loro postazioni.
I jihadisti dello Stato islamico hanno conquistato ieri una porzione consistente della città, compreso il quartier generale delle forze curde. A cadere nelle mani dell'Isis era stata ieri l'intera "area di sicurezza" cittadina, che comprende il complesso militare delle Unità di protezione del popolo (YPG), la base di Assayech e la sede del consiglio locale.
Intanto ieri sera era arrivato a 31 morti e a più di 360 feriti il bilancio ufficiale dei quattro giorni di violenta repressione da parte delle forze di sicurezza turche contro le manifestazioni dei curdi e dei gruppi della sinistra antimperialista turca che sono scesi in piazza in tutto il paese contro la complicità del regime islamista di Erdogan con lo Stato Islamico. A fornire il bilancio è stato il ministro degli Interni turco Efkan Ala nel corso di una conferenza stampa realizzata ad Ankara. La stragrande maggioranza delle vittime sono manifestanti curdi, a volte giovanissimi (c'è anche un bambino di otto anni) falciati dalle pallottole sparate dai militari, dai poliziotti ma anche dai membri dell'estrema destra turca legata ai 'Lupi Grigi', e di organizzazioni islamiste radicali come Hezbollah (movimento fondamentalista sunnita turco fondato negli anni '80 e che non ha nulla a che fare con l'omonimo partito sciita libanese) o i 'cugini' curdi di Huda-par. Negli scontri hanno perso la vita anche due poliziotti e 139 sono rimasti feriti.
I civili feriti sono stati 221, in 35 città nelle quali sono scoppiati gli scontri. Oltre mille i fermati, 58 dei quali poi arrestati formalmente. "Negli scontri 778 edifici sono stati danneggiati o distrutti tra cui 212 scuole, 67 stazioni di polizia, 25 uffici pubblici e 29 sedi di partiti politici" ha dichiarato il ministro del governo Davutoglu.
fonte : Contropiano

venerdì 10 ottobre 2014

Lettera di una combattente alla madre da Kobane

10 ottobre
Mi sono ricordata di te e ho pianto.Azad ha una bella voce.Anche lui ha pianto quando stava cantando.Anche a lui manca sua madre che non vede da un anno.
Ieri abbiamo aiutato un amico ferito.É stato ferito da due proiettili.Non sapeva molto della seconda ferita quando stava indicando la prima pallottola nel petto.Stava sanguinando troppo dai suoi fianchi.Abbiamo fasciato la ferita e gli ho dato il mio sangue.Siamo nel lato est di Kobani,madre…A sole poche miglia ci troviamo tra noi e loro.Vediamo le loro bandiere nere,sentiamo le loro radio,qualche volta non capiamo cosa dicono quando parlano lingue straniere,ma possiamo dire che sono spaventati.
Noi siamo un gruppo di nove combattenti.Il più giovane Resho è di Afrin.Ha combattuto a Tal Abyad è si unito a noi.Alan è di Qamishlo,la zona migliore,ha combattuto a Sere Kaniye e poi si è unito a noi.Ha qualche cicatrice sul suo corpo.Ci ha detto che sono per Avin.Il più vecchio è Dersim, viene dalle montagne di Kandil e sua moglie ha subito il martirio a Diyarbekir e lo ha lasciato con 2 bambini.
Siamo in una casa alla periferia di Kobani.Non sappiamo molto dei suoi proprietari.Ci sono foto di un uomo anziano e una di un giovane uomo con un nastro nero, un martire …C’è una foto di Qazi Mohamad, Mulla Mustafa Barzani, Apo,e una vecchia mappa ottomana che cita il nome Kurdistan.
Non abbiamo avuto il caffè per un po‘, abbiamo scoperto che la vita è bella anche senza caffè. Onestamente non ho mai avuto un caffè buono come il vostro mamma. Siamo qui per difendere una città pacifica. Non abbiamo mai preso parte nell’uccisione di nessuno,invece abbiamo ospitato molti feriti e rifugiati dei nostri fratelli siriani. Stiamo difendendo una città musulmana che ha decine di moschee. Le stiamo difendendo da forze barbare.
Mamma, io vi verrò a trovare una volta che questa sporca guerra ,che è stata costretta su di noi, è finita.Io sarò lì con il mio amico Dersim che andrà a Diyarbekir per incontrare i suoi figli.A noi tutti manca casa e vogliamo tornare,ma questa guerra non sa cosa significa mancare.
Forse non tornerò madre.Allora sii certa che ho sognato di vederti per così tanto tempo ma io non sono stata fortunata.
So che visiterete Kobani un giorno e cercherete la casa che ha visto i miei ultimi giorni …è sul lato est di Kobani. parte di essa è danneggiata,ha una porta verde che ha molti buchi da colpi da cecchino e vedrete 3 finestre,uno sul lato est, vedrete il mio nome scritto in inchiostro rosso …
Dietro quella finestra madre, ho aspettato contando i miei ultimi momenti, guardando la luce del sole mentre penetrava nella mia stanza dai fori di proiettile in quella finestra ..
Dietro quella finestra, Azad ha cantato la sua ultima canzone su sua madre, aveva una bella voce quando diceva “mamma mi manchi”.
MAMMA MI MANCHI Tua figlia, Narin

mercoledì 8 ottobre 2014

Kobanê è sola?

Pubblichiamo con piacere questo contributo di Sandro Mezzadra apparso su Euronomade che, oltre a inquadrare con lucidità la genealogia della resistenza che si sta portando avanti a Kobanê, dà anche una prospettiva di mobilitazione europea. Un movimento contro la guerra può essere ricompositivo e trasversale a tutto il continente nel momento in cui si posiziona contro i motivi del conflitto, trovando un filo conduttore con la straordinaria esperienza della Rojava: una nuova forma di vita comunitaria basata sull'autogoverno inconciliabile con la guerra stessa. Contrapporsi allo scontro armato non vuol dire vedere ogni sua componente in modo indifferenziato: significa scendere in piazza perché si crede che l'autogoverno, l'inclusività della cittadinanza oltre i nazionalismi, l'uguaglianza reale di diritti e decisionale sia una condizione necessaria alla cessazione della guerra. Questo è ciò che impariamo dalla grandiosa lotta dei e delle curdi/e. Buona lettura.

Nei giorni scorsi, H&M ha lanciato per l’autunno una linea di capi d’abbigliamento femminili chiaramente ispirata alla tenuta delle guerrigliere curde le cui immagini sono circolate nei media di tutto il mondo. Più o meno nelle stesse ore, le forze di sicurezza turche caricavano i curdi che, sul confine con la Siria, esprimevano la propria solidarietà a Kobanê, che da settimane resiste all’assedio dello Stato islamico (IS). Quel confine che nei mesi scorsi è stato così poroso per i miliziani jihadisti oggi è ermeticamente chiuso per i combattenti del PKK, che premono per raggiungere Kobanê. E la città curda siriana è sola davanti all’avanzata dell’IS. A difenderla un pugno di guerriglieri e guerrigliere delle forze popolari di autodifesa (YPG/YPJ), armati di kalashnikov di fronte ai mezzi corazzati e all’artiglieria pesante dell’IS. Gli interventi della “coalizione anti-terrorismo” a guida americana sono stati – almeno fino a ieri – sporadici e del tutto inefficaci. Già qualche bandiera nera sventola su Kobanê.

Ma chi sono i guerriglieri e le guerrigliere delle YPG/YPJ? Qui da noi i media li chiamano spesso peshmerga, termine che evidentemente piace per il suo “esotismo”. Peccato che i peshmerga siano i membri delle milizie del KDP (Partito Democratico del Kurdistan) di Barzani, capo del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno: ovvero di quelle milizie che hanno abbandonato le loro posizioni attorno a Sinjar, all’inizio di agosto, lasciando campo libero all’IS e mettendo a repentaglio le vite di migliaia di yazidi e di appartenenti ad altre minoranze religiose. Sono state le unità di combattimento del PKK e delle YPG/YPJ a varcare i confini e a intervenire con formidabile efficacia, proseguendo la lotta che da mesi conducono contro il fascismo dello Stato islamico.

kobaneSì, perché è pur vero che l’IS è stato “inventato” e favorito da emirati, petromonarchie, turchi e americani: ma sul terreno non è altro che fascismo. Ce lo ricorda l’ultima pallottola con cui si è uccisa l’altro giorno a Kobanê la diciannovenne Ceylan Ozalp, pur di non cadere nelle mani degli aguzzini dell’IS. Qualcuno l’ha chiamata kamikaze: ma come non vedere il nesso tra quella pallottola (tra quell’estremo gesto di libertà) e la pastiglia di cianuro che, dall’Italia all’Algeria e all’Argentina, hanno portato in tasca generazioni di partigiani e combattenti contro il fascismo e il colonialismo?

E come non vedere le ragioni per cui l’IS ha concentrato le proprie forze su Kobanê? La città è il centro di uno dei tre cantoni (gli altri due sono Afrin e Cizre) che si sono costituiti in “regioni autonome democratiche” di una confederazione di “curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni”, come recita il preambolo della straordinaria Carta della Rojova (come si chiama il Kurdistan occidentale o siriano). È un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di “ricerca di un equilibrio ecologico”. Nella Rojova il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora: coerentemente con la svolta anti-nazionalista del PKK di Öcalan, a cui le YPG/YPJ sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo curdo. E questo nel Medio Oriente di oggi, dove per ragioni confessionali o etniche semplicemente si scanna e si è scannati.

Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’YPG/YPJ, che non è difficile trovare in rete, per capire che questi ragazzi e queste ragazze, questi uomini e queste donne hanno preso le armi per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare. È facile allora capire le ragioni dell’offensiva dell’IS contro Kobanê. Ma è facile anche capire perché non intervengano a sua difesa i turchi, colonna della NATO nella regione, e perché sia così “timido” l’appoggio della “coalizione anti-terrorismo”. Vi immaginate che cosa possono pensare gli emiri del Golfo dell’esperimento della Rojova e del principio della parità di genere? E gli americani, gli “occidentali”? Be’, le ragazze che sorridono con il kalashnikov in mano saranno pure glamour, ma per gli USA e per la UE il PKK è pur sempre un’organizzazione “terroristica”, il cui leader è stato consegnato alle galere turche dall’astuzia della “volpe del tavoliere” (Massimo D’Alema, per chi non ricordasse). E d’altronde: non è nato come organizzazione marxista-leninista, il PKK? Dunque, si tratta pur sempre di comunisti.

YGPE allora? Dovremmo essere noi a rivendicare quel comunismo, a scendere in strada e a schierarci a difesa di Kobanê e della Rojova. A reinventare a partire da qui, del tutto materialmente, l’opposizione alla guerra. Nella Rojova dobbiamo riconoscere le connessioni con la nostra storia più recente, dobbiamo essere in grado di ascoltare gli echi di Seattle, di Genova, dello zapatismo. Perché questi echi ci sono. E dobbiamo soprattutto vedere che se c’è un filo di continuità che si dipana dalle rivolte nel Maghreb e nel Mashreq del 2011, passando attraverso il 15M spagnolo e occupy, le sollevazioni brasiliane e turche dello scorso anno, quel filo oggi passa per le strade di Kobanê e della Rojova.

La guerra lambisce oggi i confini dell’Europa, entra nelle nostre città attraverso i movimenti di donne e uomini in fuga, quando non restano sui fondali del Mediterraneo. Ma, dentro la crisi, la guerra minaccia anche di saldarsi con l’irrigidimento dei rapporti sociali e con il governo autoritario della povertà. Guerra e crisi: non è un binomio nuovo. Ma nuove sono le forme con cui si presenta: nella relativa crisi dell’egemonia statunitense, che costituisce un tratto saliente di questa fase della globalizzazione, la guerra dispiega la propria violenza “destituente” senza che all’orizzonte si profilino scenari realistici – fossero pure a noi avversi – di “ricostruzione”. Le vicende della “coalizione anti-terrorismo” sono una plastica illustrazione di questa impasse.

Rompere l’impasse è una condizione necessaria perché le stesse lotte contro l’austerity in Europa abbiano successo. Ed è possibile soltanto affermando in modo del tutto materiale principi di organizzazione della vita e rapporti sociali radicalmente inconciliabili con le ragioni della guerra: è per questo che l’esperienza della Rojova assume per noi caratteri esemplari. Mentre a Kobanê si combatte casa per casa, migliaia di persone manifestano a Istanbul e in altre città turche, scontrandosi con la polizia, e centinaia di curdi hanno fatto irruzione nel Parlamento europeo di Bruxelles. Si sente spesso dire che chi parla di un’azione politica a livello europeo pecca d’astrazione. Ma provate a immaginare quale sarebbe la situazione in questi giorni se a fianco dei curdi ci fosse un movimento europeo contro la guerra, capace di una mobilitazione analoga a quella del 2013 contro l’attacco all’Iraq ma finalmente con un interlocutore sul terreno! Non ve ne sono le condizioni? Ragion di più per impegnarsi a costruirle. È un sogno? Qualcuno diceva che per vincere bisogna sognare.

Notizie da Kobani

7 ottobre 2014
Nei quartieri a est di Kobanê sono in corso intensi e violenti scontri tra le bande di ISIS che stanno compiendo attacchi intensificati contro Kobanê e le forze delle YPG che resistono eroicamente agli attacchi. Anche gli attacchi di ISIS dal fronte sud incontrano una forte resistenza da parte delle YPG.
La storica resistenza di Kobanê contro gli attacchi delle bande continua eroicamente per il 22° giorno. Secondo informazioni da un reporter di ANHA sul posto, gli attacchi di ISIS che entrava nei quartieri a est di Kobanê sono proseguiti per tutta la notte. Rispondendo con forza agli attacchi, i combattenti delle YPG hanno inflitto gravi perdite alle bande. Mentre dagli attacchi non hanno ottenuto risultati, le bande hanno avuto dozzine di perdite.
Violenti scontri hanno avuto luogo sui fronti sud, est e ovest della città per tutta la notte. Mentre non è stato chiarito l’esatto numero delle perdite subite dalle bande, viene riferito che gli scontri nelle prime ore del mattino si sono intensificati sui fronti a est e a sud.

Il sacrificio di Arîn Mirkan, la linea della resistenza delle YPG

6 ottobre 2014
Il centro stampa delle YPG (Unità di Difesa del Popolo) ha rilasciato una dichiarazione sugli ultimi scontri a sud e a est di Kobanê, in cui si afferma che ci sono stati combattimenti corpo a corpo in 50 punti. Ha anche annunciato che una donna combattente, Arîn Mirkan, ha condotto un attacco suicida a Miştenur. Le YPG hanno affermato che 74 componenti delle bande [di ISIS] sono stati uccisi e che anche 15 combattenti [delle YPG] hanno perso la vita nel corso di scontri.
Le YPG hanno anche fornito dettagli sull’identità della combattente della YPJ Arîn Mîrkan che si è sacrificata in un attacco contro postazioni delle bande a Miştenur.
Combattimenti corpo a corpo in 50 punti
Le YPG hanno riferito che “Le nostre forze stanno continuando a resistere agli attacchi delle bande [di ISIS] contro Kobanê, che sono ora al 20° giorno. Dalla prima mattina di oggi ci sono stati combattimenti corpo a corpo nelle zone di Megtel e Botan nel sud e nell’est della città. Abbiamo accertato che 74 componenti delle bande [di ISIS] sono stati uccisi in questi scontri.”
Sono morti 15 combattenti delle YPG/YPJ
La dichiarazione afferma che 15 combattenti delle YPG/YPJ sono morti eroicamente resistendo agli attacchi delle bande [di ISIS] contro Kobanê
Il sacrificio di Arîn Mirkan, la linea della resistenza delle YPG
“La compagna Arîn, una delle 15 nostre compagne e compagni caduti, ha condotto un’azione contro le bande [di ISIS] sacrificando la sua vita. Con questa azione ha ucciso dozzine di componenti delle bande [di ISIS] e dato prova della determinazione della resistenza delleYPG e YPJ. Se necessario, tutti i/e le combattenti delle YPG e YPJ seguiranno il suo esempio e alle bande [di ISIS] non verrà permesso di raggiungere il loro obiettivo di conquistare”, hanno sottolineato le YPG e fornito i seguenti dati sull’identità della combattente delle YPJ:
Nome di battaglia: Arîn Mîrkan
Nome e Cognome: Dilar Gencxemîs
Nome della madre: Wahîde
Nome del padre: Şûkrû
Luogo di nascita: Afrîn
Caduta il: 5 ottobre 2014 a Kobanê.

Salih Muslim:Chi ha intenzione di agire deve agire ora

6 ottobre 2014
Il co-presidente del PYD Salih Muslim ha richiamato l’attenzione sull’intensificarsi degli attacchi a Kobanê, dicendo:”chi ha intenzione di agire dovrebbe farlo ora.Che il nostro popolo si sollevi adesso ovunque.”Muslim ha aggiunto che hanno informato tutti gli organismi internazionali sugli attacchi a Kobanê,e che sono rimasti in silenzio,chiedendo alle forze internazionali un intervento urgente.
Il co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD) Salih Muslim ha riferito ad ANF che gli attacchi delle bande di ISIS stavano continuando e che c’erano scontri nei quartieri esterni della città. Muslim ha aggiunto :”Le YPG e le YPJ e la popolazione di Kobanê stanno sostenendo una grande resistenza.Tutti devono vederlo e dimostrare solidarietà”.
Salih Muslim ricorda che il popolo curdo sta fronteggiando il massacro aggiungendo:”Il mondo è rimasto in silenzio come se in collaborazione con questi massacri.Tutto sta avendo luogo di fonte a loro,ma non fanno niente.Vogliamo armi,ma non vogliono nemmeno vendercele”.
I curdi dovrebbero insorgere ovunque
Salih Muslim ha anche condannato lo stato turco per aver attaccato le popolazioni che aspettano al confine, affermando:La gente preoccupata per i loro parenti è andata al confine.Li hanno attaccati con gas lacrimogeni.I razzi di ISIS cadono su questo lato,ma loro collaborano ancora con ISIS.
Il co-presidente del PYD ha aggiunto che hanno informato tutti gli organismi internazionali sugli attacchi a Kobanê, dicendo:”Dicono che abbiamo ragione ma non dicono nulla.Gli Stati Uniti hanno bombardato alcune posizioni attorno a Kobanê,ma non è sufficiente.Se gli Stati Uniti erano seri potevano respingerli in breve tempo”.
Salih Muslim ha chiesto al popolo curdo di intensificare le proprie azioni,aggiungendo:”chi ha intenzione di agire dovrebbe farlo ora.Che il nostro popolo si sollevi adesso ovunque”.

giovedì 24 aprile 2014

La mia amica Leyla

Leyla ha 37 anni, capelli neri, lunghi e fluenti , occhi scuri e penetranti , il sorriso dolce e ribelle. E' una partigiana del PKK, da 15 anni in carcere, accusata di separatismo, ne deve scontare ancora altri 20.
Per i primi 5 anni , dopo l'arresto , la detenzione in incommunicado e le torture subite , è stata rinchiusa in un carcere di tipo F, di massima sicurezza. Era sola in cella, aveva solamente un'ora di aria , in un cortiletto unicamente per lei, da cui non vedeva nemmeno il sole , non aveva contatti con le altre detenute politiche , le uniche persone che poteva vedere erano le guardie carcerarie , alcune violente , altre meno.
In seguito è stata trasferita in un'altra prigione , tipo E , dove aveva compagne di cella, poteva leggere, studiare , incontrare, attraverso una grata ,i familiari, uscire nel cortile insieme alle altre. Ma questo carcere era molto più lontano dalla residenza della famiglia, per cui il costoso e lungo viaggio per la madre e la sorella diventava problematico.
Da 6 mesi, Leyla è stata nuovamente trasferita, ancor più lontano, vicino al mar Nero, lei che ,con la famiglia, abitava a Wan. Le condizioni sono migliori, ma la lontananza pesa parecchio. Qui finalmente ha potuto, dopo 15 anni, toccare ed abbracciare sua madre e i suoi familiari, lo può fare, però, una volta al mese.
Da 4 anni condivide la cella anche con sua sorella, condannata per aver preso parte ad una manifestazione studentesca per denunciare le condizioni carcerarie inumane e degradanti di Ocalan, era un corteo pacifico.
Leyla è la mia “ amica di penna”, ci scriviamo da diversi anni. Non è facile, perchè non conosco la lingua turca , che usiamo per comunicare, per cui ho bisogno di qualche amica o amico che mi traducano la lettera che ricevo e quella che spedisco. Si potrebbe usare un altro idioma, l'inglese, ad esempio, ma la censura del carcere le chiederebbe 100 euro per ogni lettera che riceve.
Ho conosciuto anche la madre di Leyla, , qualche mese prima che il terremoto devastasse Wan e la sua casa.Da bambina Leyla e la sua famiglia abitavano in un villaggio , avevano un po' di terra e vivevano di quella. Negli anni '90 i militari turchi lo distrussero , per cui, senza più nulla ,furono costretti a trasferirsi nei sobborghi della città più vicina, Wan, dove la loro vita diventò un inferno, senza lavoro, con i figli da mantenere e con la continua e violenta oppressione turca.
Il padre si ammalò, e la madre fece ogni sacrificio possibile per mandare i figli a scuola.
A scuola si deve essere turchi, parlare il turco e comportarsi come turchi, loro che sono kurdi, che parlano un'altra lingua e proprio i turchi hanno distrutto la loro vita , la loro casa e la loro terra . A 18 anni Leyla si unisce ai partigiani del Pkk, perchè non può più sopportare l'arrogante ferocia dei militari , anche il fratello va in montagna, mentre la sorella minore continua gli studi e quella maggiore aiuta la madre.
Leyla a 22 anni viene catturata, mentre il fratello viene sequestrato dai militari, solo da pochi mesi si è saputo il luogo in cui è stato ucciso e dove è sepolto.
Quasi tutte le famiglie kurde hanno una storia simile, credo che sia giusto , almeno, dar voce alle loro voci.
Nelly

domenica 20 aprile 2014

Rezan & Ayşe, il cuore nella lotta

Le 2 sindache kurde più combattive e toste , che abbiamo incontrato durante la nostra settimana al Newroz...il filmato su Rezan & Ayse è visibile su youtube ... e visto che si avvicina il 25 aprile, per ciascuna di loro "esistere è resistere"!
 Hasta la victoria

domenica 30 marzo 2014

Video da Diyarbakir

Kurdistan l'orgoglio di un popolo. Come in Palestina violenza, muri, distruzione di villaggi, arresti.
Su Youtube è online il filmato della della delegazione di pace.

mercoledì 26 marzo 2014

Ultime notizie da Amed

22 marzo

Siamo a Nusaybin, al confine con la Siria o meglio il Rojava;fino a poco tempo fa , prima della guerra , si poteva attraversare senza grossi problemi,  bisognava fare attenzione alle mine antipersona , ma gli abitanti avevano trovato sentieri e luoghi sicuri. Ora tutto è cambiato, una recinzione di filo spinato alto 2 metri marca  il confine e le autoblindo continuano a pattugliare , per dividere  e separare,  però,  questo muro della vergogna ha invece  ulteriormente rinsaldato i legami tra le persone delle due parti .  E'stato costruito dal governo centrale
in un mese, senza chiedere il permesso né alla sindaca né alla popolazione locale. Doveva essere lungo 7km , ma , per le proteste della popolazione ne è stato  costruito solo una parte, 1,5 km.
Per questo Ayse Gokkan, la coraggiosa sindaca di Nusaybin per 10 giorni ha fatto lo sciopero della fame  Prima di iniziare la sua protesta si era rivolta ai militari, al governo centrale, a Erdogan , senza  nessuna risposta, così si è seduta sul prato vicino al muro e ha iniziato lo sciopero della fame , i militari che pattugliavano la zona la schernivano, la impaurivano, soprattutto di notte, ma la sua determinazione ha vinto la paura. Ayse denuncia anche le pessime condizioni  in Rojava, la violenza che le donne subiscono, gli attacchi suicidi di Al Nusra , la chiusura dei confini da parte turca, anche per i convogli che portano aiuti umanitari , mentre i   così detti ribelli passano tranquillamente con carichi di armi.In Rojava mancano cibo e farmaci, sottolinea la sindaca, per la mancanza di vaccini  è tornata la poliomielite. Senza gli scambi con la Siria  anche l'economia di Nusaybin è in crisi e tante piccole attività sono state costrette a chiudere.
Ayse Gokkan , durante il suo mandato, ha cercato di battersi per migliorare le condizioni dei suoi concittadini , non si ricandiderà per le immineti elezioni, ma la sua lotta  continuerà , nonostante i 150 procedimenti penali a suo carico.


23 marzo

Di buon mattino partiamo per Lice , cuore  della lotta  partigiana, infatti  in un villaggio di questa municipalità c'è Fis, dove si è costituito il PKK. Incontriamo la giovanissima candidata sindaco Rezan Zuguli , ha 25 anni , bellissima e combattiva” Il cuore del Kurdistan è Amed, il cuore di Amed  è Lice” così ci dice accogliendoci. Il governo centrale non fa nulla per migliorare le condizioni della municipalità, per cui sono stati fatti piccoli progetti , portati avanti dalla popolazione. Molti villaggi non hanno ancora acqua potabile e luce . Prima, negli anni '80 c'erano 56 villaggi,  i militari  , in quel periodo , ne hanno distrutto 49 , ma dal 2007 diverse famiglie tornano alle loro case distrutte e le ricostruiscono , ma i problemi ci sono e sono molto pesanti se si pensa che oggi ci sono a Lice 16000 abitanti e 10000 militari. Qui la filosofia di Apo è viva più che mai ,soprattutto per quanto riguarda le donne e l'ambiente.

Ci spostiamo di pochi chilometri per andare a visitare il Cimitero dei Martiri , costruito  nel 2013 dalla municipalità con l'aiuto di privati. Una spianata con 200 tombe, bianche , piene di fiori e rosmarino, su ogni lapide è scritto il nome  e la data di morte, un memoriale raccoglie le foto dei martiri , vicino sorgerà una moschea . All'entrata  sventolano le bandiere di Ocalan, e del  Kurdistan, con orgoglio  ci dicono che è bello vedere la bandiera di Apo sventolare in terra turca.

 Infine andiamo in alcuni villaggi distrutti, Sisè, dove c'erano 250 case, ora ne rimagono 3
 Ci fermiamo in un altro villaggio, ricostruito dagli abitanti   , non c'è acqua potabile e la luce è garantita per qualche ora.

venerdì 21 marzo 2014

Newroz ed elezioni 2014

20 marzo: 3 incontri hanno caratterizzato la nostra seconda giornata.
Il primo con Serdar Celebi, vice presidente dell'IHD. Le violazioni dei Diritti Umani nei confronti della popolazione Kurda rimangono continue e pressanti; ci concentriamo sulle condizioni carcerarie: 600 sono i detenuti politici gravemente malati nell'area di Amed, di cui 202 gravissimi per i quali la permanenza in carcere li condannerebbe a morte sicura, ma le autorità preposte non prendono alcuna decisione. A loro sono anche negate le cure necessarie. Ultimamente ci sono state diverse denunce di detenzioni di minori nelle carceri per adulti: nessun provvedimento è stato preso. Da circa 7 mesi i detenuti politici vengono trasferiti in carceri lontanissime dal luogo in cui vivono le famiglie.
Il secondo incontro è stato con le madri della pace: ci accolgono con i loro veli bianchi, ci raccontano le loro storie di dolore con una grande dignità, di chi sa di aver scelto la pace e la giustizia e di averla insegnata ai propri figli.
Condividono gli stessi dolori, le stesse ingiustizie e per questo si sentono più forti ed in grado di continuare a chiedere verità e giustizia per i propri figli e pace per il Kurdistan.
L'ultimo incontro è con Vechi Aydogan e Fatma Esmer di Goc Der. L'argomento sono i villaggi, più di 4000, distrutti scientemente dai militari turchi con l'aiuto dei guardiani di villaggio, negli anni '90. 
Gli sfollati che hanno perso tutto e vivono anche oggi in condizioni di povertà nelle periferie delle città, non hanno mai smesso di chiedere giustizia. Si sono appellati ai tribunali turchi e a quello dell'Aia, invano. Non sperano più in nessuno se non in loro stessi. Chiedono di poter tornare nelle loro case e che le loto terre diano liberate dalle mine antiuomo. Una legge turca, antiterrorismo, colpevolizza addirittura gli abitanti stessi dei villaggi distrutti in quanto conniventi, secondo il governo, con i partigiani del PKK.

21 marzo
Azadì Ochalan, azadì Kurdistan: questo è il messaggio del Newroz più numeroso e festoso del Kurdistan. Certamente più di un milione di persone scandivano slogan, cantavano, ballavano, sventolavano bandiere di Apo e Rojhava. Erano presenti delegazioni dal Kurdistan Iracheno, Iraniano e dalla regione autonoma del Kurdistan siriano, dall'Europa e dalla Bolivia.
Il messaggio di Ochalan si può sintetizzare così: "sappiamo che la Turchia non ha fatto nulla per il processo di pace, certamente il cammino verso la pace è lungo e difficoltoso, forse occorre dare più tempo per attendere una risposta, comunque condividerò tutto ciò che i Kurdi, le Kurde e il PKK decideranno".
Il testo integrale verrà inviato e tradotto nel più breve tempo possibile; anche noi, seppur presenti, non abbiamo capito completamente la lettera di Apo perché mancava la traduzione in Inglese.

Ieri, con una legge emessa in poche ore, il governo turco ha chiuso Twitter violando il diritto di libertà di espressione e accesso all'informazione di tutta una nazione.

Per il gruppo Amed
Nelly e Caterina

mercoledì 19 marzo 2014

Prima giornata della delegazione ad Amed

La nostra prima giornata in Kurdistan è stata particolarmente intensa; dopo aver incontrato i giovani del MKM Dicle Firat e i cantastorie nella casa dei Deng Bej, che mantengono viva la cultura e le tradizioni Curde, siamo andati al parco Hewwsel, la Gezy Park di AMED.

Un gruppo di studenti presidia una immensa distesa di prati e boschi per impedire la costruzione di condomini, abitazioni e supermercati. Il presidio dura da 20 giorni col sostegno del BDP e dei movimenti ecologisti Kurdi. La presenza dei militari è concreta, sopra di noi infatti volava un elicottero militare e autoblindo presidiano gli accessi. 
Un altro incontro interessante è stato con DOHK, il movimento di liberazione delle donne che si battono per il rispetto dei diritti delle donne e contro la violenza di genere.
È una lotta particolarmente difficile perché devono scontrarsi col maschilismo delle forze dell'ordine, dei giudici, degli imam. Un'altra piaga è il matrimonio combinato: ragazze giovanissime, spesso minorenni, vengono vendute dalle famiglie a uomini ben più vecchi di loro; oppure vengono ufficiati dagli imam matrimoni tra minorenni.
Concludiamo la giornata con la visita della sede del BDP di Baglar, dove condividiamo il clima festoso dei membri del partito che si augurano di vincere le elezioni in tutte e 5 le municipalità.

Per il gruppo AMED
Caterina e Nelly

Newroz 2014

Ieri, 18 marzo 2014 è partita la delegazione italiana che seguirà i festeggiamenti del Newroz 2014 nel Kurdistan turco e come ogni la seguiremo e raconteremo in diretta da questo blog.

domenica 12 maggio 2013

Turchia, il Pkk si ritira in Iraq : Duemila guerriglieri in viaggio

I posti di blocco alla frontiera resi permeabili agli uomini che hanno combattuto per l’indipendenza dei curdi. Promesso oltre confine l’inserimento nella società
marta ottaviani
La Turchia da oggi inizia a sperare, tenendo nello stesso momento il fiato sospeso. Dalla mezzanotte le prime cellule del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, hanno iniziato a lasciare il suolo della Mezzaluna, in quello che dovrebbe essere il primo passo verso la fine della lotta armata. Sono circa 2000 i guerriglieri che nei prossimi 3-4 mesi passeranno la frontiera, riparando in Nord Iraq, dove si trovano i campi più importanti del Pkk e dove il presidente della Regione Autonoma Curda, Massoud Barzani, di concerto con il governo di Ankara, è pronto ad accoglierli, offrendo loro una nuova vita e possibilità di inserimento nella società.  
Stando a quanto riporta il quotidiano filogovernativo Sabah, nelle ultime ore sono arrivati nel sud est del Paese medici che parlano in curdo, i posti di blocco sulla frontiera sono stati allentati e i guardiani del villaggio, gente di etnia curda, incaricata dallo stato turco di controllare il territorio, sta lentamente vedendo diminuiti i loro margini di azione. Il quotidiano Milliyet scrive che il ritiro è già iniziato da 48 ore ma non sarebbe stato detto nulla per limitare al massimo gli incidenti e i rischi. I primi a muoversi sarebbero stati i 40 militanti che stazionavano sul Mar Nero, uno dei luoghi meno congeniali all’organizzazione separatista, vista la forte componente nazionalista della regione. Per agevolare le operazioni, il governo avrebbe anche disattivato i droni puntati sul confine con il Nord Iraq. L’agenzia Firat news, vicina al Pkk, parla di ritiro pianificato e ordinato. 

Il processo ha preso avvio ufficialmente lo scorso 21 marzo, quando in occasione del Nevruz, il capodanno curdo, Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk e detenuto sull’isola di Imrali, aveva chiesto all’organizzazione di abbandonare la lotta armata e ritirarsi. L’appello è arrivato dopo tre mesi di negoziati con il governo turco, dove “Apo” sta agendo da mediatore e il cui punto principale sarebbe la fine della lotta armata in cambio dei riconoscimenti costituzionali che la minoranza attende da decenni. 
Per cantare vittoria, è decisamente troppo presto. Il Bdp il partito curdo in parlamento, ha accusato il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan di aver compiuto alcune operazioni militari nei giorni scorsi che rischiano di minare l’intero processo. Dall’altra parte il premier Erdogan ha criticato le modalità con le quali l’organizzazione sta gestendo il ritiro dalla Turchia, in particolare l’annuncio della data ufficiale di inizio delle operazioni. “L’annuncio della data – ha detto Erdogan ieri durante il discorso al suo gruppo parlamentare – è sbagliato. Voglio dire, se tu hai intenzione di fare una cosa, non c’è bisogno di annunciare la data precisa. Il punto principale è deporre le armi e andarsene”. Il primo ministro si riferiva alla conferenza organizzata dal Pkk lo scorso 25 aprile e che ha polarizzato tutta l’attenzione del processo sull’organizzazione e non sugli sforzi del premier. 

Il Partito curdo è preoccupato e teme operazioni militari contro i guerriglieri sulla strada del ritiro. “Considereremo il governo responsabile di ogni operazione militare” ha detto Gultan Kisanak, co-segretario del Bdp.  
La situazione interna del Paese non è certo più tranquilla. Gruppi di nazionalisti rappresentano una minaccia costante per la sicurezza interna, soprattutto nel sud-est del Paese, dove la minoranza curda è più numerosa. I sondaggi mostrano l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo guidato da Erdogan, in calo sensibile dei consensi proprio a causa della trattativa.  
C’è poi il problema, enorme, della nuova costituzione. L’opposizione laica e quella nazionalista hanno abbandonato i lavori in segno di protesta nei confronti della trattativa e contrari al progetto di riforma presidenzialista di Erdogan, che l’anno prossimo ambisce a diventare capo dello Stato con super poteri. Il premier è in un momento di difficoltà e rischia di vedere sfumare i suoi sogni di gloria. Proprio ieri i giornali riportano le dichiarazioni di Abdullah Gul attuale Capo di Stato, sempre più in rotta di collisione con il primo ministro e suo possibile avversario alle prossime presidenziali, che si rammaricava per il nulla di fatto a cui sono arrivati i lavori sulla bozza fino a questo momento. Un messaggio chiaro per Erdogan: la trattativa con i curdi, che doveva rappresentare il suo capolavoro politico, rischia di ritorcersi contro. E il premier, in previsione delle elezioni politiche, presidenziali e amministrative ha assolutamente bisogno di tornare con gli indici di popolarità ai massimi livelli. 

Fonte: la Stampa ,08/05/2013