mercoledì 1 aprile 2015
sabato 28 marzo 2015
In memoria delle vittime del Newroz di Hasakah
Le
Unità di difesa del popolo e le unità di difesa delle donne (YPG-YPJ)
hanno lanciato un’operazione militare in memoria delle persone che hanno
perso la vita negli attentati di ISIS ad Hasakah durante le
celebrazioni del Newroz.
L’operazione,
che è stata lanciata nell’ambito delle operazioni avviate per ripulire
l’intera regione di Kobanê dalle bande di ISIS è segnalata per essere
stata un successo, con cinque membri delle bande morti. Le YPG hanno
anche riferito che sono stati presi i cadaveri di 27 membri delle bande
negli scontri delle ultime 24 ore, oltre a una grande quantità di
munizioni.
Secondo
una dichiarazione rilasciata dall’Ufficio Stampa delle YPG, le forze
delle YPG/YPJ hanno lanciato un’operazione contro le bande di ISIS in
memoria dei martiri di Hasakah, uccisi in attentati dinamitardi da parte
delle bande nelle celebrazioni del Newroz a Hasakah. Circondando le
bande piazzate nel villaggio di Horik, a sud-est di Kobanê, le forze
delle YPG/YPJ hanno compiuto attacchi contro le bande, uccidendo 5 di
loro e distruggendo 2 veicoli.
Le
YPG hanno inoltre riferito che i villaggi di Qazan, Baxe, Til Xemir e
la collina di Derfilik sono stati liberati dalle bande, mentre le strade
per i villaggi di Xerabeşk e Çelebi a sud est di Kobanê, che hanno
un’importanza strategica per la difesa, sono state prese sotto il
controllo delle forze YPG/YPJ.
Le
YPG hanno anche detto che i cadaveri di 27 membri delle bande sono
stati presi durante gli scontri delle ultime 24 ore, oltre a grandi
quantità di munizioni.
Le
YPG hanno concluso la loro dichiarazione ribadendo che le operazioni
delle forze YPG/YPJ proseguono su tutti e tre i lati di Kobanê.
24 marzo 2015
ANF/Kobane
ANF/Kobane
giovedì 26 marzo 2015
Newroz a Diyarbakir
Diyarbakir (Turchia), 24 marzo 2015, Nena News -
“Biji Biji Kobane, Viva Viva Kobane”: questo lo slogan intonato a gran
voce dalle oltre un milione di persone presenti il 21 marzo 2015 al
Newroz di Diyarbakir (Amed in lingua curda), il saluto alla primavera, la più importante festività kurda.
Un momento di celebrazione vietato dal governo di Ankara fino
all’anno 2000; ancora oggi seppur ormai legalizzato, viene spesso
represso o osteggiato in varie forme. Quando si tenta di reprimere un
popolo la prima cosa su cui si agisce è la sua felicità: in questo
giorno dai colori sgargianti verde, giallo e rosso l’identità kurda si
esprime al suo massimo livello, cosi la volontà di resistere e di andare
avanti.
Nonostante la forte pioggia i discorsi si alternano a musiche e
balli, gli applausi si mescolano al segno di vittoria fatto con la mano.
“Questo è un Newroz di resistenza – inizia così Asia Abdullah,
co-presidente del PYD, il Partito dell’unione Democratica del Rojava,
qui appositamente da uno dei cantoni kurdi presenti in Siria – Nessun
potere può indebolire il fuoco del Newroz” continua, riferendosi ai
due sanguinosi attacchi terroristici avvenuti proprio il giorno prima al
Newroz di Hesekê nel cantone Cizirê del Rojava, dove due autobombe
hanno lasciato 20 morti e 70 feriti.
Secondo l’osservatorio per i diritti umani della Siria oltre ai due
veicoli vi è stata una terza esplosione nel quartiere di Al-Mufti
causata da un kamikaze dell’Isis. Le gang del califfato di Al-Baghdadi
avevano già minacciato i kurdi di trasformare in un bagno di sangue la
loro festività principale.
“Biji Biji kobane,Viva Viva Kobane” viene scandito nuovamente in
segno di resistenza. Infine, quando la lettera di Ocalan, il leader
kurdo per antonomasia, giunge dal carcere Imrali dove è detenuto dallo
stato turco fin dalla sua cattura avvenuta nel 1999, il boato fra della
folla è immenso. Il messaggio viene letto emblematicamente sia in curdo
che in turco e tra i vari punti recita come le “guerre di
identità insensate e spietate” sono il risultato della “crisi
neo-liberale causata dal capitalismo imperialista e dai suoi
collaboratori a livello locale”.
Ribadisce inoltre la linea tenuta dal 2013, sempre annunciata durante un Newroz : “Riteniamo
che sia necessario che il Pkk convochi un congresso straordinario per
mettere fine a 40 anni di conflitto armato con la Repubblica di Turchia e per adeguarsi allo spirito di questa nuova era”.
La folla si perde all’orizzonte, le bandiere sfuggono alle
moltitudini, il volto del loro leader, le effigi dei due principali
gruppi combattenti in Siria YPG e YPJ, il simbolo dell’associazione per
le donne e molti altri, non si contano davvero più. Nena New
*Osservatore internazionale, delegazione Italiana Newroz 2015 – Diyarbakir (Amed)
http://nena-news.it/videofoto-un-milione-di-kurdi-festeggiano-il-newroz-e-la-lotta-di-liberazione/
http://nena-news.it/videofoto-un-milione-di-kurdi-festeggiano-il-newroz-e-la-lotta-di-liberazione/
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mercoledì 25 marzo 2015
Il genocidio degli Yazidi e la solidarietà del PKK
Diyarbakir (Turchia), 20 marzo 2015, Nena News – Nel giorno e
nelle ore in cui l’alto commissariato Onu per i diritti umani accusa
Daesh (acronomo arabo per Isis) di aver compiuto un efferato
genocidio contro l’indifesa popolazione degli yazidi, popolo di origine
sincretica presente secolarmente sul territorio mesopotamico, la
delegazione italiana di Osservatori Internazionali per il Newroz 2015 –
Diyarbakir si trova proprio di fronte ai cancelli di un campo profughi
Yazid. Sono profughi dei monti del Gebel Singiār (Iraq) e il
campo rappresenta un esempio tangibile della fuga dal massacro, a quelli
che si possono definire, già oggi, i sopravvissuti.
Un signore dallo sguardo sofferto ma ancora ospitale ci racconta la
sua storia, emblema di molte altre che abbiamo ascoltato, compreso e
condiviso, con la mente attenta e il cuore solidale: “Ringraziamo il Pkk
perché se non fosse per loro (del popolo degli Yazidi) non ne sarebbe
sopravvissuto neanche uno”.
La comunità internazionale si trova di fronte ad un genocidio ancora
in corso, ancora vivido, ancora disperatamente presente in questi
giorni.
I kurdi combattenti, diramazione del partito clandestino Pkk, sono i soli ad aver aiutato la popolazione degli yazidi, ad aver garantito loro una via di fuga conquistata con il sangue ed il sudore, per poi ospitare i sopravvissuti in un evidente coerenza solidale in quella che è considerata da molti la capitale del Kurdistan Turco: Diyarbakir. Nena News
I kurdi combattenti, diramazione del partito clandestino Pkk, sono i soli ad aver aiutato la popolazione degli yazidi, ad aver garantito loro una via di fuga conquistata con il sangue ed il sudore, per poi ospitare i sopravvissuti in un evidente coerenza solidale in quella che è considerata da molti la capitale del Kurdistan Turco: Diyarbakir. Nena News
*Osservatore internazionale, delegazione Italiana Newroz 2015 – Diyarbakir (Amed)
domenica 22 marzo 2015
sabato 21 marzo 2015
Notizie da Amed
Le visite della delegazione italiana si sono spostate verso Est nella provincia di BATMAN a 90 km ad Est di Diyarbakyr.
Chiamateli EZIDI, non YEZIDI !
Dopo un violento acquazzone arriviamo al Campo “Ugurku Village” di
Besiri a nord di Batman, dove l’amministratore del campo ci accoglie
nella tenda all’ingresso, presto affollata di ragazzi incuriositi.
E’ la seconda volta che visitiamo un campo di rifugiati EZIDI, dopo quello alle porte di Diyarbakyr.
Il campo ospita una comunità circa 1000 persone giunte qui a metà
settembre, dopo un lungo viaggio che li ha portati da Shengal (e solo in
parte da Mosul), passando la frontiera tra Iraq e Turchia il 26 Agosto
2014 presso Robosky. Hanno scelto Besiri perché nella zona sono già
presenti 3 villaggi fondati dopo precedenti esodi che caratterizzano la
storia di questo popolo perseguitato da centinaia di anni.
Paradossalmente qui si sono sentiti subito accolti dalla comunità
locale. Una persona del luogo di stesse origini, ha messo a disposizione
il terreno su cui sorge la distesa di tende.
La Municipalità di Batman e i “compagni”, come li chiama, hanno poi
fatto trovare loro tutto già predisposto: le tende, i servizi igienici,
l’ambulatorio, la scuola, le cucine per ogni tenda, che permette loro
una certa autonomia. Anche qui, come nell’altro campo di Diarbakir,
vengono visitati settimanalmente da medici volontari e solo per le
emergenze ricorrono all’ospedale. La discriminazione nei loro confronti è
tale che molti medici turchi si rifiutano di visitarli o dar loro
medicine. Il supporto sanitario quindi, nei casi più gravi passa per la
rete di solidarietà organizzata dalla municipalità che da loro anche un
certo sostegno economico. Denunciano che il Turco invia fondi solo per i
profughi siriani e mentre le organizzazioni internazionali si sono
attivate per aprire corridoi umanitari per mettere in salvo i cristiani,
per loro si profilano lunghe attese. Anche nella condizione di
rifugiati sono considerati di “secondo grado”.
Alcuni di loro sono riusciti ad ottenere agli uffici di Ankara, e a
proprie spese, il tesserino di “extra comunitario”, che non ha nessun
valore giuridico, permette loro di essere almeno riconosciuti in caso di
fermo. Per il resto viene confermata la storia raccontataci nel Campo
“Shengal” : Per ottenere lo status di rifugiato, le prefettura fissano
appuntamenti a 3/7 anni. Nonostante la condizione di clandestinità e
grazie alla solidarietà delle organizzazioni Kurde ( “del Partito”) si
sentono paradossalmente a casa propria. Nessuno di loro tornerebbe a
Shengal. “Impossibile vivere in una terra di arabi musulmani che hanno
compiuto tante atrocità”. E’ qui che ritornano i racconti delle atrocità
vissute nei secoli passati fino al regime di Saddam Hussein. All’epoca
nessuno di loro, pur in possesso di un titolo di studio, poteva accedere
ad alcuna carica amministrativa, politica, pur essendo ben 800.000
persone. Le proprie comunità erano abbandonate senza servizi ed
assistenza e molte persone sono morte ben prima dell’attacco finale
dell’ISIS.
Ci confermano che i primi attacchi avvennero dagli abitanti sunniti
dei villaggi vicini a SHENGAL, che si sono uniti ai “barbari” al loro
arrivo. Gli americani lasciarono al zona 5 anni prima, lasciandola in
mano a gruppi che appartenevano alla forza militare sunnita di Saddam
Hussein. Molti ufficiali del vecchio esercito iracheno sono infatti
confluiti nelle file di Isis e la sola differenza fra prima e dopo è che
ora le torture e le uccisioni e vengono divulgate in tv.
Nella zona di Shengal c’erano invece i Peshmerga, esercito federale
curdo che, nonostante un buon armamento pesante ha abbandonato il
territorio, lasciandoli di fatto soli. Anche prima della offensiva ISIS
l’unico supporto proveniva dalla popolazione kurda, non certo dal
Governo Regionale di Barzani. L’arrivo dell’ISIS li fa piombare nel
dramma e fa iniziare la loro fuga verso le montagne. Ci parlano di
almeno 1.500 bambini sono caduti in mano all’Isis che li addestra a
diventare assassini, Donne stuprate a decine ogni giorno e vendute al
mercato per 100 dollari, seguendo un’antichissima tradizione araba. In
tutto sono scomparse oltre 7.000 persone delle quali nonostante siamo
nell’epoca della alta tecnologia non si sa più nulla. Ci racconta anche
di un incredibile episodio in cui alle donne, separate dai loro figli
per giorni, sono stati dati da mangiare i loro bambini. Sembra una
storia ai limiti dell’impossibile.
E’ stato solo l’aiuto delle forze combattenti KURDE del PKK e del
ROJAVA (YPG-YPJ) che molti di loro sono stati tratti in salvo.
L’intervento militare (mentre la comunità internazionale guardava basita
n.d.r.) ha permesso l’apertura di un corridoio umanitario che ha
salvato la vita ad almeno 200.000 persone. Mentre si preparano a vivere
una estate sotto il sole cocente nelle tende del campo, cominciano a
rivendicare una terra per il loro futuro. E’ l’unica richiesta forte che
ci fanno: aprire dei corridoi umanitari per permettere loro di trovare
una terra, ovunque sia, dove possano vivere in pace, con la loro
cultura, la loro religione e la loro identità, quella degli Ezidi, e non
Yezidi, che è il termine dispregiativo con cui venivano indicati dagli
iracheni che li accostavano agli YEZIZI, gli assassini del nipote di
Maometto…un torto alla loro religione basata sulla non violenza e sul
rispetto degli altri.
INCONTRO ALLA DIGA DI HASANKAYEF CHE CANCELLERA’ 12.000 ANNI DI STORIA
La resistenza del popolo curdo non si ferma solo all’affermazione dei
propri diritti e alla realizzazione di quel progetto lanciato dal
leader Ocalan di Confederalismo Democratico che garantirebbe a tutti
pari dignità, ma riguarda anche la salvaguardia dell’ecosistema e
dell’ambiente dalle politiche neoliberiste.
Per questo abbiamo incontrato gli attivisti dei partiti HDP e BDP che
si battono contro la costruzione della diga di Hasankayef, nella
provincia di Batman, a circa 90 km dalla città di Diyarbakir.
Il Movimento è composto da contadini e da tutti gli abitanti che non
vogliono essere deportati in un’altra zona del territorio di Hasankayef
dove saranno costretti a pagare profumatamente le nuove case costruite.
Hasankayef è una città che si trova sul fiume Tigri con una storia di
oltre 12.000 anni che dovrebbe essere parte del patrimonio dell’UNESCO
(visto che soddisfa i 10 criteri stabiliti) e che con la costruzione
della diga sarebbe completamente sommersa, cancellando la sua storia e
la sua natura.
Ma la diga, che serve per alimentare le centrali idroelettriche,
sommergerà non solo Hasankayef ma anche altri 170 villaggi, stravolgendo
la vita di oltre 170.000 persone. Il progetto è ormai in fase di
completamento (siamo all’85%) , si trova a 77 km dalle rovine
dell’antica città eavrà un bacino enorme di oltre 400 km2.
Il primo progetto venne inizialmente sostenuto da banche svizzere,
austriache, tedesche che a seguito di una forte campagna internazionale
furono costrette a ritirare i loro finanziamenti. Oggi è in mano a
Banche Turche ( ma c’è anche l’interessamento di Unicredit) ha un costo
di 20 miliardi di dollari e l”esecuzione dei lavori è stata affidata ad
aziende turche .
La Turchia ha in progetto di realizzare 1500 centrali idroelettriche;
questi progetti faraonici servono al governo turco per garantirsi in
futuro una risorsa fondamentale come l’acqua e costruire la sua egemonia
sul tutto il Medioriente. Da tempo il movimento contro la diga propone
al governo turco di puntare sulle energie rinnovabili abbandonando per
sempre questi grandi opere che devastano territori ricchi di storia.
“Qui in Mesopotamia nacque la civiltà è per questo che tutto il mondo si dovrebbe opporre a tale progetto”.
ASCOLTA LA CORRISPONDENZA A RADIO ONDA ROSSA
http://www.ondarossa.info/newsredazione/alla-vigilia-del-newroz
BATMAN – INCONTRO CON ASSOCIAZIONE delle FAMIGLIE DEI MARTIRI
Incontriamo Sukru Baytar, co-presidente della sede di Batman, aperta
nel 2007, che conta circa 20 volontari. La sede centrale
dell’associazione, diffusa in tutto il paese, si trova a Amet
(Diyarbakir).
L’associazione segue le famiglie di circa 1.200 “martiri”, intendendo
tutti coloro che sono morti sostenendo la lotta de popolo curdo. Quindi
militanti del PKK ma anche del MLKP – il partito marxista leninista
della Turchia che si è unito alla lotta dei curdi -; combattenti delle
YPG, YPJ, YJstar (Unità di difesa delle donne)
L’associazione si occupa prevalentemente del sostegno psicologico,
supporto nella gestione delle relazioni, aiutando nella ricerca di un
impiego, mentre per il supporto economico c’è l’impegno delle
municipalità
Non si fidano del processo di pace in corso né del Governo turco del
rest quest’ultimo pur non esercitando violenze direttamente su di loro è
sempre stato ostile alle associazioni curde, cercando di screditarle
agli occhi della popolazione, impedendo il regolare svolgimento delle
loro attività (ad esempio ostacolando il normale svolgimento dei cortei
funebri cercando in ogni modo di farle chiudere.
E’ per tale motivo che cercano di stare vicini alle famiglie, spesso
strette nella morsa della povertà, per tenerle aggiornate e collegate a
tutto il movimento.
Riguardo alle persone scomparse, sono in collegamento con le Madri
della pace, anche se hanno ruoli diversi. Dei 1200 martiri, circa 200
sono persone scomparse nella zona di Batman, in città e nei villaggi
vicino, anche se il numero esatto non si conosce. Tuttora nella zona, in
particolare nei cantoni di Sason, Haskif, Kozlig e Kercewse, si stanno
continuando a trovare fosse comuni con decine di corpi, che non vengono
denunciate al Governo per timore che questo “archivi il caso”
indicandoli come resti di animali. Ma intanto si stanno attrezzando ad
effettuare test del DNA, per costruire una vera e propria banca-dati che
permetterà in futuro di dare riconoscimento a questi crimini, che si
stanno perpetuando dagli anni 80 e sono proseguiti orientativamente fino
ai primi anni del 2000.
La delegazione Italiana a Diyarbakir/Amed
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Strage al Newroz di Hasake
20 marzo 2015
Almeno 35 persone sono morte e 70 sono rimaste ferite nei multipli attacchi alle celebrazioni del Newroz (nuovo anno curdo) nella città nel cantone di Cezira di Hasake, nel Rojava-Kurdistan occidentale (Siria settentrionale).
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani un IED (ordigno esplosivo improvvisato) è esploso nell’area delle celebrazioni del Newroz ad Hasake, e poi un sospetto membro di una banda ISIS si è fatto esplodere nel quartiere di Al-Mufti della stessa città, dove le celebrazioni del Newroz si svolgevano.
È stato riferito che molte persone gravemente ferite sono state condotte nei vicini ospedali e che è stato fatto un appello urgente per il sangue. Le bande di ISIS stanno minacciando di trasformare il Newroz in un bagno di sangue e oggi hanno decapitato tre combattenti peshmerga nel Kurdistan del sud, con il ricatto che se le celebrazioni del Newroz continueranno, bruceranno altri 21 peshmerga.
Reports continuano ad arrivare e il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare.
KQ News Desk
mercoledì 18 marzo 2015
martedì 17 marzo 2015
Rojbas
Rojbas, siamo di partenza per la settimana in Kurdistan, come delegazione italiana. Andremo a Diyarbakir, Amed in Kurdo, per partecipare al più numeroso Newroz, si attendono 2 milioni di Kurdi.
Assisteremo alle lettura della lettera di Ocalan e festeggeremo insieme ai compas.
Saremo anche nei campi profughi di Amed e Suruc per incontrare le tante persone costrette a fuggire da Kobane e Singar, parleremo con gli esposnenti del partito filo kurdo e con gli attivisti per i diritti umani. Saremo in tantissimi , 136, ripartiti in 7 delegazioni.
Ogni tanto leggeteci su questo blog o nel sito di uikionlus...
Biji Kurdistan
Nelly e i 17 della delegazione
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venerdì 13 marzo 2015
lunedì 9 marzo 2015
Aiutaci a fare tornare a casa quattromila profughi di Kobane
A
poco più di un mese dalla nascita della Mezzaluna Rossa Kurdistan
Italia Onlus, vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto la
nostra associazione, che, così giovane, conta già quasi quattrocento
soci. In queste settimane abbiamo collaborato con realtà di tutta
Italia, impegnate nell’organizzazione di eventi, dibattiti e proiezioni,
raccolte di farmaci, progetti a favore delle popolazioni civili colpite
dalla guerra.
Entrando
in contatto con associazioni e singoli, enti locali e aziende, dovunque
abbiamo trovato una grande attenzione verso ciò che sta accadendo nel
sud-ovest e nel sud del Kurdistan e verso l’emergenza umanitaria dei
profughi di Kobanȇ e Șengal, unita a una grande voglia di portare
solidarietà attiva alle popolazioni del Kurdistan che ormai da anni
stanno resistendo ai brutali attacchi dell’ISIS.
Nelle
prossime settimane una delegazione della nostra Onlus farà visita al
campo profughi di Suruҫ per valutare di persona le iniziative più
urgenti da mettere in campo nei mesi a venire.
I primi aiuti finanzieranno il rientro a Kobanȇ di circa 4mila persone che, fuggite durante i mesi dell’assedio, si trovano adesso a centinaia di chilometri da casa.
Il
ritorno di queste famiglie nella loro terra e nelle loro case, il
ritorno degli uomini e delle donne alle proprie attività e dei bambini e
delle bambine alle proprie scuole, è uno dei tanti interventi necessari
alla ricostruzione di Kobanȇ e alla creazione di un presente e di un
futuro di pace e serenità per i suoi abitanti.
Solo per il trasporto servono 20mila euro: donando anche solo 5 euro, si consentirà a una persona di tornare finalmente a casa.
Facciamo
quindi appello a sostenere questo importante progetto, donando anche
piccole quote tramite i riferimenti bancari e il link per la donazione
on-line che trovate sul sito www.mezzalunarossakurdistan.org, indicando come causale “rientro dei profughi”.
“La resistenza e la vittoria di Kobanȇ è
stata una vittoria per l’umanità e sarà un esempio nella storia. Di
fronte alla barbarie di ISIS, Kobanȇ si è sollevata per l’umanità. Ora, è
tempo che l’umanità della comunità internazionale si sollevi per
Kobanȇ.”
domenica 8 marzo 2015
Ocalan: la nostra rivoluzione è la rivoluzione delle donne
Messaggio di saluto per l’8 marzo del rappresentante del popolo curdo Abdullah Öcalan di quest’anno!
“Uguaglianza
e libertà possono essere ottenute solo a partire dalla questione
femminile. Per questo la nostra rivoluzione è una rivoluzione delle
donne,” recita il messaggio del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan
per l’8 marzo, Giornata Internazionale delle Donne.
Ceylan
Bağrıyanık, Congresso delle Donne Libere (KJA, già DÖKH) componente
della delegazione di İmralı, ha letto un messaggio del leader del popolo
curdo Abdullah Öcalan per l’8 marzo, Giornata Internazionale delle
Donne. Leggendo il messaggio indirizzato alle donne, che già si sono
raccolte nel villaggio di Mehser, al confine di Kobanê, Bağrıyanık ha
riferito il seguente messaggio del leader curdo: “Le donne hanno aperto
gli occhi verso una nuova vita e civilizzazione personificata a Kobanê
nello spirito della resistenza di Arin Mirkan. Con questi sentimenti vi
saluto con rispetto, donne coraggiose, e celebro la vostra Giornata
Internazionale delle Donne.”
‘Un amore sociale e comunitario’
Öcalan
ha sottolineato che vogliono incrementare la libertà delle donne,
proseguendo come segue: “Ora tutto il mondo ha iniziato a vedere la
resistenza delle donne e a rappresentare questa bellezza su riviste e
giornali. È da qui che è cresciuta la passione per la libertà delle
donne. Per questa realtà bisogna conoscere il Kurdistan e la sociologia
dell’amore nella realtà curda. Non rinnego l’amore, l’affetto e la
famiglia. La lealtà rispetto a questo è una lealtà nobile, ma non
significa niente senza una vita libera. Ciò di cui parlo è un amore
sociale e comunitario.”
‘La donna più bella è quella che conduce una vita libera’
Nel
suo messaggio il leader curdo ha detto che la libertà delle donne è per
lui la cosa più importante, sottolineando che per lui la donna più
bella è quella che conduce una vita libera. Ha proseguito; “Nessuna
bruttezza può essere disonorevole e disgustosa come unirsi e integrarsi
con donne schiave e uomini dominanti. Nessuna unità e integrità potrebbe
essere bella e giusta come vivere una vita libera con donne libere e la
mascolinità liberata dal dominio. Ormai da 30 anni tutti i miei
sostenitori più importanti sono le donne. Il mio dialogo e accordo con
le donne è importante. Migliorerete il contratto sociale delle donne che
devono combattere tutti i tipi di pratiche dal femminicidio alla
circoncisione femminile e allo stupro. Va affrontato in modo
approfondito. Non fidatevi degli uomini e distruggete il dogma maschile.
Fidatevi della vostra femminilità. Uguaglianza e libertà possono essere
ottenute solo a partire dalla questione femminile. Questa è la ragione
perché la nostra rivoluzione è una rivoluzione delle donne.”
‘Senza donne non può esistere alcuna vita’
Evidenziando
che non può esistere vita senza donne e nessuna etica e estetica senza
libertà, il leader curdo ha detto: “Quella che chiamo etica delle donne è
il potere delle donne di decidere. Accettare o permettere è
inaccettabile per una donna. Le donne devono rivendicare di appartenere a
loro stesse e a nessun altro, compresi i loro mariti, padri, fratelli o
sorelle. Le donne devono essere se stesse e la formula per compiere
questo è lavorare con passione, concentrarsi per illuminare l’oscurità.”
‘Non posso far parte di un paese dove le donne vengono uccise’
Sottolineando
che il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta dicendo l’esatto
opposto, Öcalan ha detto: “Sta parlando di tre figli e di sposarsi
presto. Lo sta dicendo deliberatamente, come lo sto dicendo io. Le due
prospettive si contrappongono. Vedremo chi vincerà, o lui o noi. La
libertà delle donne è il primo articolo nei titoli della Risoluzione
Democratica che ho evidenziato. Non lo capiscono, chiedendo ‘cosa
c’entra questo con una risoluzione democratica?’ Io parlo in modo
chiaro; la libertà delle donne ha un’evidente relazione con una
risoluzione democratica. Come ho detto prima, non posso fare parte di un
paese dove così tante donne vengono uccise. Il raggiungimento di una
risoluzione dipende dallo stato della libertà. La condizione delle donne
e la libertà per me sono fondamentali.”
‘Sono vostro compagno per la risoluzione’
Il
messaggio di Öcalan prosegue; “So che le donne traggono forza da me e
io mi identifico come vostro compagno per la risoluzione. La cultura del
dominio maschile vecchia di cinquemila anni è una cultura dello stupro.
Con le donne libere stiamo cercando di rivitalizzare la realtà delle
donne, vecchia di novemila anni. Questa è la ragione per la quale il
lavoro delle donne costituisce l’essenza di tutti i nostri sforzi
negoziali perché la questione delle donne è una questione politica,
economica e sociologica. Il mio dialogo con lo stato si basa sull’unire
il progetto di società democratica in favore della libertà delle donne.”
‘Io sono libero, anche voi sarete libere’
Il
leader curdo ha concluso il suo messaggio con le seguenti osservazioni:
“Lo slogan delle donne ‘Non saremo libere finché non sarà liberato
Öcalan’ è bello perché io sono libero e anche voi sarete libere. Su
questo confido molto in voi, donne resistenti. Devo dire che il fatto
che per la prima volta delle donne sono parte di una delegazione
negoziale in questo processo storico è di importanza storica. Credo che
il 21° secolo vedrà la liberazione delle donne. Su questa base vi saluto
con amore e rispetto e vi auguro successo nella lotta per la libertà.”
mercoledì 4 marzo 2015
A Kobane vince la terza via
La città di Kobane, nel nord della Siria è stata liberata dopo aver resistito per 135 giorni all’assalto del sedicente “Stato Islamico”. In prima fila per impedire la caduta della città le Unità di difesa popolare e femminili, composte prevalentemente da curdi.
Le donne e gli uomini che hanno eroicamente resistito hanno innalzato la loro bandiera sulle ultime colline che circondano la città, dopo averle liberate dalle forze dell’ISIS.
La resistenza contro l’estremismo islamico è stata guidata soprattutto da combattenti vicini al partito di liberazione curdo PKK, attivo nelle regioni curde della Turchia e al Partito di Unione Democratica (PYD), presente nelle zone settentrionali della Siria, tradizionalmente abitate da curdi e da altre minoranze.
All’inizio del 2014 alcuni cantoni come Kobane, appartenenti alla Rojava, denominazione che indica le zone occidentali del Kurdistan, si sono proclamati autonomi e hanno iniziato ad autogestirsi. Si è trattato di un vero e proprio processo rivoluzionario basato su una concezione laica, democratica e progressista di governo dal basso, che ha rifiutato la deriva settaria e integralista che ha coinvolto e sconvolto molte altre realtà del Medio Oriente.
Le Unità di Difesa Popolare curde avevano lanciato da tempo l’allarme sull’azione delle forze integraliste e sulle complicità che queste ricevevano dall’esterno.
Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno pensato invece di poterle usare contro il regime baasista di Assad. Solo quando queste forze hanno messo in pericolo il regime irakeno e il governo regionale del Kurdistan dell’Iraq, guidato da forze da tempo alleate all’occidente, l’occidente si è mobilitato per fermare l’ISIS.
L’Unione Europea e gli USA hanno messo da anni nella “lista nera” delle organizzazioni considerate terroristiche, il PKK e altre organizzazioni del movimento di liberazione curdo.
All’interno della Siria il movimento di liberazione curdo non si è allineato né con il regime di Assad, né con le forze subordinate alle potenze occidentale e soprattutto alle milizie integraliste e reazionarie (non solo dell’ISIS), finanziate da Arabia Saudita e Qatar, con la complicità più o meno aperta della Turchia. La vicenda di questi mesi a Kobane, come in altre realtà
del mediorientale, dimostra invece che le forze realmente terroristiche e criminali sono in gran parte nutrite e finanziate dagli stati alleati degli USA e dell’Europa.
Per questo le forze democratiche chiedono la cancellazione del PKK dalla “lista nera”.
Il successo della difesa di Kobane è derivato dalla determinazione e dal coraggio del popolo curdo ma anche dal fatto che esso rappresenta un’alternativa in una regione dominata dall’odio etnico e religioso.
L’obbiettivo dei curdi di Rojava, ispirati dal pensiero di Oçalan, il leader del PKK da anni imprigionato dai turchi in una piccola isoletta rigidamente controllata dai militari, non è di costituire uno Stato ma di creare un’alternativa al capitalismo globale rivendicando l’autonomia regionale, la liberazione delle donne e la cooperazione di tutti i popoli della regione attraverso quello che è stato definito come un sistema di “confederalismo democratico”.
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