domenica 26 agosto 2012

A Derik dove sventola la bandiera curda

Una battaglia parallela, sotterranea, dai limiti e dagli obiettivi ambigui: questa secondo diversi osservatori la situazione che si sta sviluppando nelle regioni curde della Siria progressivamente liberatesi dal controllo di Damasco a partire dalla metà di luglio.
Per la prima volta da quando il partito Ba’ath è arrivato al potere (1963), la città di Derik, a una manciata di chilometri dalle frontiere con Iraq e Turchia, ha da luglio un sindaco curdo, Subhi Ali Elias. In dichiarazioni riprese da mezzi di informazione curdo-iracheni, Elias ha detto che la sua nomina è stata fatta dal Consiglio del popolo, poco dopo il ritiro dell’esercito di Damasco. Elias è un esponente del Partito di unione democratica (Pyd, l’acronimo in inglese) che Ankara accusa di essere vicino al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), la formazione che combatte per l’autonomia delle regioni curde in Turchia.
Per capire cosa sia in gioco e quali scenari possa aprire l’attuale conflitto in Siria occorre considerare la forza numerica di una etnia, quella curda, dispersa in più Stati e forte di una popolazione di 25/30 milioni di persone per lo più stabilita in un’area contigua divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Secondo alcuni esponenti politici turchi vicini al primo ministro Recep Tayyip Erdogan, Damasco si sarebbe in realtà ritirata volontariamente dalle sue regioni curde e starebbe dando ospitalità al Pkk. Questo è per esempio il parere di Yalcin Akdogan, parlamentare e consigliere di Erdogan. Sentito da Rudaw, notiziario online del Kurdistan iracheno, Akdogan ha accusato Damasco di “provocare” Ankara attraverso il Pkk e il Pyd con quest’ultimo che si starebbe presentando come il più forte soggetto politico tra i curdi siriani.
A negare la “preoccupazione” che il movimento curdo in Siria possa avere in realtà altre mire che non la semplice defenestrazione del regime è stato il colonnello Riad al Asaad, il comandante dell’Esercito siriano libero (Esl). Lo stesso ha sottolineato che la Siria è una e indivisibile e che non esistono regioni sunnite o curde.
Eppure, qualcosa si muove in direzione di un territorio curdo autonomo. “A Derik non si combatte, ma ai primi posti di blocco si viene accolti dai colori giallo, rosso e verde della bandiera curda” dice intervistato da Rfi, Etienne Huver, uno dei pochi giornalisti riuscito a visitare queste zone. Huver sottolinea come a Derik e nelle altre città curde “liberate” non ci siano tracce di pesanti combattimenti, tutti gli edifici pubblici sono intatti e ci sono forme di collaborazione tra i curdi e i rappresentanti della vecchia amministrazione. Una sorta di “intesa cordiale” dice il giornalista che in alcuni casi diventa evidente come alla Casa della cultura: “Al mattino – spiega Huver – sono gli arabi che vi lavorano, al pomeriggio i curdi”.
Cosa stia avvenendo nelle città curde del nord-est della Siria lo spiegano, forse meglio, alcuni segnali: le icone pubbliche non sono più le immagini di Bashar Al Assad o del padre Hafez – sebbene soprattutto di quest’ultimo siano rimaste in piedi le statue – ma sono ormai diventati i volti di Abdullah Ocalan – leader del Pkk in prigione in Turchia – e di Massoud Barzani, presidente della regione del Kurdistan iracheno.

fonte : Misna

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