Una battaglia parallela, sotterranea, dai limiti e dagli obiettivi ambigui:
questa secondo diversi osservatori la situazione che si sta sviluppando nelle
regioni curde della Siria progressivamente liberatesi dal controllo di Damasco a
partire dalla metà di luglio.
Per la prima volta da quando il partito Ba’ath è arrivato al potere (1963),
la città di Derik, a una manciata di chilometri dalle frontiere con Iraq e
Turchia, ha da luglio un sindaco curdo, Subhi Ali Elias. In dichiarazioni
riprese da mezzi di informazione curdo-iracheni, Elias ha detto che la sua
nomina è stata fatta dal Consiglio del popolo, poco dopo il ritiro dell’esercito
di Damasco. Elias è un esponente del Partito di unione democratica (Pyd,
l’acronimo in inglese) che Ankara accusa di essere vicino al Partito dei
lavoratori del Kurdistan (Pkk), la formazione che combatte per l’autonomia delle
regioni curde in Turchia.
Per capire cosa sia in gioco e quali scenari possa aprire l’attuale conflitto
in Siria occorre considerare la forza numerica di una etnia, quella curda,
dispersa in più Stati e forte di una popolazione di 25/30 milioni di persone per
lo più stabilita in un’area contigua divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran.
Secondo alcuni esponenti politici turchi vicini al primo ministro Recep
Tayyip Erdogan, Damasco si sarebbe in realtà ritirata volontariamente dalle sue
regioni curde e starebbe dando ospitalità al Pkk. Questo è per esempio il parere
di Yalcin Akdogan, parlamentare e consigliere di Erdogan. Sentito da Rudaw,
notiziario online del Kurdistan iracheno, Akdogan ha accusato Damasco di
“provocare” Ankara attraverso il Pkk e il Pyd con quest’ultimo che si starebbe
presentando come il più forte soggetto politico tra i curdi siriani.
A negare la “preoccupazione” che il movimento curdo in Siria possa avere in
realtà altre mire che non la semplice defenestrazione del regime è stato il
colonnello Riad al Asaad, il comandante dell’Esercito siriano libero (Esl). Lo
stesso ha sottolineato che la Siria è una e indivisibile e che non esistono
regioni sunnite o curde.
Eppure, qualcosa si muove in direzione di un territorio curdo autonomo. “A
Derik non si combatte, ma ai primi posti di blocco si viene accolti dai colori
giallo, rosso e verde della bandiera curda” dice intervistato da Rfi, Etienne
Huver, uno dei pochi giornalisti riuscito a visitare queste zone. Huver
sottolinea come a Derik e nelle altre città curde “liberate” non ci siano tracce
di pesanti combattimenti, tutti gli edifici pubblici sono intatti e ci sono
forme di collaborazione tra i curdi e i rappresentanti della vecchia
amministrazione. Una sorta di “intesa cordiale” dice il giornalista che in
alcuni casi diventa evidente come alla Casa della cultura: “Al mattino – spiega
Huver – sono gli arabi che vi lavorano, al pomeriggio i curdi”.
Cosa stia avvenendo nelle città curde del nord-est della Siria lo spiegano,
forse meglio, alcuni segnali: le icone pubbliche non sono più le immagini di
Bashar Al Assad o del padre Hafez – sebbene soprattutto di quest’ultimo siano
rimaste in piedi le statue – ma sono ormai diventati i volti di Abdullah Ocalan
– leader del Pkk in prigione in Turchia – e di Massoud Barzani, presidente della
regione del Kurdistan iracheno.
fonte : Misna
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